Il moderno flusso delle informazioni ci ha quasi assuefatto all’associazione automatica dei termini violenza e genere.
L’attenzione e la risonanza dei tanti casi di violenza di genere, che vengono presentati con allarmante frequenza, ed in particolare proprio sulle donne, non deve tuttavia distogliere la nostra attenzione dall’accezione primaria del fenomeno: ovvero la sopraffazione, intesa come un prevalere accidentale o peggio programmato e preordinato di comportamenti miranti alla lesione, alla prevaricazione e culminanti nell’annientamento fisico di componenti della nostra stessa società, gruppo sociale o addirittura famiglia.
E non basta, il maltrattamento è spesso esteso verso animali e cose, causando in apparenza danni di minore portata ma rimanendo, in potenza, un fenomeno della stessa gravità del vulnus nei confronti di un nostro simile.
Essere quotidianamente saturati da notizie ed informazioni che, in un modo o nell’altro, riconducono ad episodi in cui la ferocia è sempre protagonista, fa sì che la nostra soglia di sensibilità e di fastidio siano progressivamente elevati sino a considerare gli eventi che ci vengono proposti quasi una narrazione estranea alla vita reale, riferita piuttosto a fatti immaginari ed appartenenti al fantastico.
Questo rischio o attitudine è tanto più forte quanto più gretto o semplicemente non formato è l’animo di chi è oggetto di una tale sequenza di notizie. Vivendo in un mondo dove non vengono vissuti in prima persona i fatti più impegnativi, più duramente crudi della realtà quotidiana si finisce per considerare la cronaca della violenza, di ogni violenza, alla stessa stregua di un evento fittizio.
Non ci immedesimiamo nei protagonisti, o, se lo facciamo, rischiamo persino di sentirci dalla parte dei sopraffattori; non percepiamo il grave danno e la sofferenza che ci arreca, perché il flusso continuo ed ininterrotto di notizie fa sì che la nostra coscienza provveda ad archiviare rapidamente quanto ci viene proposto, passando da un episodio all’altro senza che si possa formare un serio giudizio etico, senza che l’esperienza che non viviamo ci porti a considerare, in maniera seria e critica, quello che apprendiamo.
La sequenza di violenze di genere e di ogni genere di violenza fa sì che da un lato anestetizziamo la nostra sensibilità, il nostro senso morale, la nostra capacità di giudizio attraverso le leggi naturali e dall’altro, con il processo di saturazione di fatto, ci impedisce di riflettere e meditare su ciascun singolo episodio.
Dobbiamo rivolgere lo sguardo al passato, esaminando i molteplici cicli storici della società umana ed individuando, per ognuno di essi, gli elementi soggetto ed oggetto di violenza e prevaricazione, disconoscimento dei valori nell’ambito della società di appartenenza.
Andiamo così ad evidenziare che la violenza di genere non è sempre stata l’unica componente dell’anima nera del genere umano, anzi, la nascita e lo sviluppo di idee di tipo monocratico ha sempre portato ad atrocità, persecuzione e, addirittura, genocidio.
Abbiamo agevolmente scoperto che l’uomo non è affatto un essere buono e mediamente in tutti sono presenti componenti primordiali di vessazione e sopruso, che possono essere risvegliati ed alimentati sia da situazioni di tensione interpersonale che da categorizzazioni di genere, razza, tipologia sociale.
Tutto quanto accaduto ci evidenzia, in maniera inequivocabile, la dualità bene / male presente nell’animo umano, eredità forse della natura aggressiva che presupponeva la difesa della propria vita, delle proprie cose e che si è progressivamente estesa anche a quello che, direttamente o indirettamente, veniva ad essere considerato sotto il controllo o il dominio personale.
Nonostante l’esistenza, progressivamente più cogente, di convenzioni sociali e leggi, la prevalenza della componente prevaricatrice e violenta trovava il modo di emergere ed affermarsi in ognuno dei rapporti sociali che la nascente civiltà andava stabilendo, specie con i diversi, soprattutto con gli estranei ma anche nell’ambito dello stesso gruppo culturale, con i dissidenti e con i più deboli.
Assai strano, forse imprevedibile, è il nascere della violenza, e spesso della peggiore specie, proprio in quelle attività che, con liturgie e cerimoniali specifici, miravano ad avvicinare il sacro e a stabilire il contatto con il trascendente, il divino che veniva percepito come permeare in qualche modo tutto il creato.
La fusione, presente soprattutto nel pensiero più antico, fra bene e male, la loro indistinguibilità nell’accesso alla sacralità è forse uno degli elementi più misteriosi ed inspiegabili presenti nell’animo umano e nel suo primitivo sviluppo del sentimento religioso.
Sono assai sottili ed insidiosi i cammini che la violenza di genere, ed ogni genere di violenza, può percorrere oggi per colpire e sono quasi tutti immateriali, anche se spesso la natura sconfitta e risentita della vittima e del carnefice possono entrambe arrivare a materializzare atti violenti fino all’estrema conseguenza o alle lesioni fisiche.
È facile smarrire la propria strada, confondere il bene ed il male perché fra essi non c’è poi una grande differenza: ogni azione, ogni comportamento ci espone alla definizione, mai esatta e rigorosa, di vittima o di carnefice.
Non sono solo di casi di cronaca, eclatanti e pieni di orrore, che ci devono far riflettere, bensì i comportamenti quasi quotidiani di chi, dimenticando il sottile, ma imprescindibile legame che unisce un essere umano a tutti gli altri, agisce in maniera tale che, in qualche parte del tempo e dello spazio vada a creare la sua vittima.
Questa pesante responsabilità accompagna ognuno di noi nella vita quotidiana. Che la saggezza ci possa sempre illuminare affinché le nostre azioni siano sempre e solo positive.
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.