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Vino marino Nesos, prodotto unico tra tradizione e innovazione

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Vino marino Nesos


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Dichiarazione dell’Ass. Ciuoffo

Riceviamo e pubblichiamo da Agenzia Toscana Notizie.

È stato presentato in anteprima assoluta stamattina, 13 novembre, nella sede di Toscana Promozione Turistica, a Villa Fabbricotti a Firenze, il vino marino Nesos, ricavato da un esperimento enologico realizzato dall’Azienda Agricola Arrighi dell’isola d’Elba in collaborazione con il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura dell’Università degli studi di Milano e Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di viticoltura ed enologia dell’Università di Pisa.
Alla presentazione, avvenuta nell’ambito di un convegno organizzato in collaborazione con Regione Toscana, Toscana Promozione Turistica, Fondazione Sistema Toscana e Vetrina Toscana, sono intervenuti l’Assessore regionale al turismo Stefano Ciuoffo, il Direttore di Toscana Promozione Turistica Francesco Palumbo, il Direttore di Fondazione Sistema Toscana Paolo Chiappini ed il Vicepresidente del Parco Nazionale Arcipelago Stefano Feri.

Ha detto Ciuoffo:

Oggi presentiamo un percorso di recupero della storia. Un’esperienza di produzione di vino che ha radici antiche, che oggi viene riproposta e che racconta molto del mare toscano, del suo Arcipelago e dell’Isola d’Elba.

Un metodo di produzione che risale all’antica Grecia e che ha lasciato le sue tracce nel Mediterraneo, in particolare lungo la costa e le isole toscane.

Il commercio di questo vino nelle corti romane è documentato. Questo tentativo di produzione ha dato risultati molto apprezzati e mi auguro che questo progetto possa proseguire nei prossimi anni per arrivare ad ottenere un prodotto innovativo, in grado di raccontare una storia.

Ha aggiunto Palumbo:

Un progetto che nasce con Vetrina Toscana e che è importante per tre motivi. Primo, perché è la testimonianza della capacità dell’Italia, e della Toscana nello specifico, di fare innovazione.

Secondo perché sposta l’attenzione dalla storia alla contemporaneità, con la produzione di un vino ‘nuovo’ subito apprezzato, frutto della tradizione che si mescola con la sperimentazione. Ed infine, in chiave turistica, perché valorizza un territorio aperto ad essere vissuto anche fuori stagione.

L’idea di ripercorrere dopo 2500 anni, sulle tracce di un mito, le varie fasi della produzione di un vino antico, nacque proprio all’Elba, quando Antonio Arrighi, piccolo produttore dell’isola, che da oltre dieci anni sperimentava e vinificava nelle anfore di terracotta di Impruneta, sentì il Professor Scienza parlare della sua ricerca sul vino dell’isola di Chio.

I vini di Chio, piccola isola dell’Egeo orientale, facevano parte di quella ristretta élite di vini greci considerati prodotti di lusso sul ricco mercato di Marsiglia e successivamente di Roma. Varrone li definiva “vini dei ricchi” e, come ricorda Plinio Il Vecchio, Cesare li offrì al banchetto per celebrare il suo terzo consolato.

Come i vini di Lesbo, Samos o di Thaso, quello di Chio era dolce e alcolico – unica garanzia per sopportare i trasporti via mare – ma aveva qualcosa che gli altri vini non avevano, un segreto che i produttori di Chio custodivano gelosamente e che rendeva questo vino particolarmente aromatico: la presenza del sale derivante dalla pratica dell’immersione dell’uva chiusa in ceste, nel mare, con lo scopo di togliere la pruina dalla buccia ed accelerare così l’appassimento al sole, preservando in questo modo l’aroma del vitigno.

L’uva utilizzata per ricreare questo particolare metodo di vinificazione è l’Ansonica, uva bianca tipica dell’Elba, probabile incrocio di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, varietà caratterizzate da una buccia molto resistente ed una polpa croccante che ha permesso una lunga permanenza in mare.

Le uve sono state immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, protette in ceste di vimini. Questo processo ha consentito di eliminare parte della pruina superficiale, accelerando così il successivo appassimento al sole sui graticci, senza arrivare alla produzione di un vino dolce. Il sale marino durante i giorni di immersione, per “osmosi” penetra anche all’interno, senza danneggiare l’acino. Il successivo passaggio delle uve avviene in anfore di terracotta con tutte le bucce, dopo la separazione dei raspi.

La presenza di sale nell’uva, con effetto antiossidante e disinfettante, ha permesso di provare a non utilizzare i solfiti, arrivando a produrre, dopo un anno in affinamento in bottiglia, un vino estremamente naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa. Nella vendemmia 2018 sono state prodotte solo 40 bottiglie; quella 2019 è nelle anfore di terracotta ancora a contatto con le bucce. Dalle analisi svolte dall’Università di Pisa è emerso che il contenuto in fenoli totali del vino marino è il doppio rispetto a quello prodotto tradizionalmente, e questo grazie alla maggiore estrazione legata alla parziale riduzione della resistenza della buccia.

Il legame di questo vino mitologico con l’isola d’Elba è anche di tipo storico. Come tutti i commercianti greci anche quelli del vino di Chio, facevano scalo sulla via del ritorno in patria, all’isola d’Elba e a Piombino, per caricare materiali ferrosi, venendo quindi a contatto con il mondo etrusco. I ritrovamenti di anfore in relitti di navi affondate, nelle tombe o nella costruzione di drenaggi, testimoniano che molte città costiere della Toscana etrusca erano tra i luoghi di maggior frequentazione dei commercianti di Chio.

Inoltre, analizzando il DNA di un set di vitigni dell’Isola del Giglio e della Toscana tirrenica e confrontandoli con altri provenienti dal bacino del Mediterraneo, i ricercatori del DIPROVE dell’Università di Milano hanno trovato notevoli analogie genetiche tra il vitigno Ansonica – Inzolia e due vitigni provenienti dall’Egeo orientale, il Rhoditis ed il Sideritis.

La particolare vocazione enologica dell’isola d’Elba è documentata da Franco Cambi e Laura Pagliantini dell’Università degli studi di Siena, co-direttori dello scavo archeologico della villa rustica romana di San Giovanni, nella rada di Portoferraio. Gli scavi, infatti, hanno portato alla luce delle anfore vinarie e in particolare i dolia defossa: grandi vasi interrati che contenevano ciascuno più di mille litri. I cinque doli ritrovati potevano contenere circa 6.000 litri.

Durante il convegno è stato proiettato in anteprima italiana il documentario ‘Vinum Insulae’ diretto e prodotto da Stefano Muti, Cosmomedia, che racconta l’esperimento enologico di Nesos. Reduce dai successi del 26° Festival International Œnovidéo di Marsiglia, primo premio come Miglior Cortometraggio e riconoscimento della Revue des Œnologues, per l’originalità e il valore della sperimentazione.

Vinum Insulae’ è in concorso anche alla IX edizione del Most Festival 2019, Festival internazionale del cinema del vino e della cava, che si sta svolgendo in Spagna a Vilafranca del Penedès, durante la celebrazione della Giornata europea del turismo del vino. Il corto partecipa nella sezione competitiva: ‘Collita’ composta da 36 film provenienti da tutto il mondo. Il 17 novembre ci sarà l’annuncio dei vincitori e la premiazione.

Ricerca scientifica, scoperte archeologiche, arte, in questo caso la settima, passione per la coltura e la cultura della vite, un territorio ineguagliabile come quello del Parco dell’Arcipelago Toscano hanno dato vita ad un prodotto unico che racconta una storia millenaria.