Paolo Grossi (s.d.)
La pretesa di proiettare sull’oggi modelli passati è un gesto di suprema presunzione da parte di chi dovrebbe, al contrario, esercitare la virtù somma dell’umiltà: umiltà di rispettare il distendersi della storia nella sua sequela di tante maturità di tempi. La linea storica, a giudizio di Grossi, va interpretata non come un forziere di modelli da trapiantare nell’oggi e a cui ispirare l’azione dell’oggi; una linea che in mano allo storico, non solo non diminuisce il suo rispetto e la sua disponibilità piena verso passato e presente, ma che significa soltanto ricchezza e consapevolezza per i suoi occhi. Una linea discontinua fatta di tante maturità di tempi, ciascuna delle quali in grado di offrire un messaggio meritevole di essere ascoltato. Non modelli necessariamente carichi di assolutezza, ma momenti dialettici capaci di rendere più complessa e ricca la coscienza del giurista di oggi. Il nostro presente per Grossi va edificato in base alle nostre esigenze, alle nostre forze, secondo i nostri valori, rispettando cioè la maturità del nostro tempo. Occorrono dei momenti comparativi, non da imitare fedelmente o da tradurre passivamente, ma contributi alla nostra riflessione critica e alla nostra autonomia di costruttori della nostra maturità. Il monito dell’antica sapienza “omnia tempus habent” è sempre valido: il flusso storico si scandisce in tante e diverse maturità di tempi. Malgrado tutto ciò, sono sempre protagonisti la sprovvedutezza culturale, l’ingenuità, la pigrizia del giurista. Ed è per questo che giova l’intervento dello storico del diritto nella veste di coscienza critica del cultore di diritto positivo in grado di relativizzare e demitizzare. Non si può parlare di medioevo prossimo futuro. Non vi è dubbio che il “moderno” sia stato costruito e strutturato come rifiuto del “medievale”; il primo si afferma come rifondazione della società su valori diversi, anzi opposti a quelli dell’età precedente. Il “medioevo” crede intensamente in una “società di società”, valorizzando ogni aggregazione comunitaria, tanto da impedire per tutta la sua durata la realizzazione di una conversione della società in quell’entità unitaria che sarà lo Stato. Il medioevo è pertanto, una società senza Stato e il diritto che ha come referente la società, è un diritto senza Stato. Il medioevo vive la assoluta fusione tra dimensione religiosa e dimensione politico-sociale, tra metafisica e storia; il moderno punta invece su un’opera insistente di individualizzazione. I riferimenti medievali si infittiscono durante il Novecento, quando le ferme certezze dell’età borghese divengono instabili, quando i due pilastri dell’ordine giuridico, lo Stato e l’individuo, subiscono incrinature in una società sempre più di massa e sempre più sollecitatrice di una dimensione collettiva: il medioevo diviene un forziere di messaggi storici. Dobbiamo a Francesco Calasso lo spostamento dell’attenzione sullo studio del secondo medioevo, sul medioevo sapienziale. Il medioevo giuridico è stato creatura storica originale, perché costruzione lentissima di una prassi investita del compito di edificare dopo il crollo della civiltà romana, riscoprendo forze e valori reperiti nell’esperienza quotidiana. Il canone vincente del costume giuridico instaurato non fu la validità, ossia la corrispondenza ad un modello autorevole, bensì la effettività, ossia la forza interiore che certi fatti recavano in sé incidendo sulla vicenda storica. Il medioevo fu originale perché fattuale: i fatti nascono nel particolare e di esso si impregnano. Da qui anche l’originalità del processo di costruzione del diritto medievale, quell’indole sostanzialmente consuetudinaria. Fattualità significa che non c’è un potere centrale e centralizzante forte, capace di controllare i fatti riducendoli a modelli imperativi generali; significa che il diritto medievale ha una sua irripetibile storicità: è un diritto all’insegna del particolarismo più esasperato ma anche di un sostanziale pluralismo. Il pluralismo giuridico è l’assestamento spontaneo della dimensione giuridica di una civiltà che vive autonomamente e con autonomia si realizza. Medioevo giuridico significa appunto una coscienza collettiva che genera forme giuridiche plastiche, dall’intensa storicità, che individua il diritto come sua espressione riconducendolo alla globalità e complessità della società. Il pluralismo giuridico come pluralità di fonti, convivenza di fonti e diritti: non a caso Santi Romano guardava al medioevo come ad un laboratorio di ordinamenti giuridici conviventi e covigenti. Nel mondo medievale c’è una continua interconnessione di fonti, ciascuna rappresentante una dimensione specifica della società. È la Chiesa che produce regole nel proprio ordine o è il ceto feudale o quello mercantile, senza che una dimensione misuri sull’altra il proprio grado di giuridicità. Diritto plurale, espressione di una realtà plurale e sfaccettatissima, la società. Oggi si parla frequentemente di lex mercatoria: il riferimento è all’età del maturo medioevo quando un vivace ed intelligente ceto mercantile intuì e costruì un complesso attivo di strumenti congeniali alle attività mercatorie. Allora i mercanti crearono un ordinamento giuridico che si aggiungeva ad altri senza alcun complesso di inferiorità o di eccessiva separatezza. Nacquero una serie di istituti e di invenzioni nuove tipicamente mercantili, ad es. i titoli di credito. Oggi i grandi mercanti del mondo contemporaneo hanno dato vita alla cosiddetta globalizzazione giuridica, parallela al grande canale del diritto dello Stato e degli Stati con una reciproca ignoranza. C’è però sempre una cultura statalistica che ancora domina e determina nella coscienza comune la inconcepibilità di un diritto senza Stato. Il post-moderno cerca di liberarsi invano da moderno; del moderno rimane il peso e l’ingombro dello Stato che il medioevo non conobbe. Oggi che tentiamo di liberarci dell’abbraccio soffocante dello Stato, che tentiamo di costruire un diritto sempre più proiettato alla transnazionalità se non addirittura all’universalità, il messaggio medievale sempre più proficuo. Nel pluralismo giuridico sta un profondo messaggio: ascolto rispettoso e confronto con gli attuali valori, che esige una comparazione dialettica, dove le rispettive diversità non solo non vengono annullate o contratte, ma siano messe in evidenza. Con la coscienza che ogni cosa ha il suo tempo. L’esperienza medievale caratterizzata da un diritto senza Stato, ci mostra che la giuridicità è connessa alla società. Oggi, non a torto, si dubita del grande strumento ordinatore ma controllore della vita giuridica dei privati, il Codice, ormai inadeguato al mutamento dei tempi. La legge non è l’unico canale di manifestazione della giuridicità; lo è se il potere esige di controllarla. Nel medioevo non fu la legge lo strumento ordinatore, anche perché il Principe non si sentì legislatore, ma la consuetudine affidata all’interpretazione dei giuristi. Questa giuridicità così centrale per la società e affidata solo marginalmente alla legge e al legislatore, trovò solo inizialmente nelle consuetudini il requisito fondamentale dell’ordinamento del sociale. Il medioevo sapienziale dette vita al diritto giurisprudenziale . Oggi occorre invece riesaminare il ruolo della scienza giuridica e del giudice. Scienza e prassi applicativa hanno goduto di una duplice rivalutazione: teorica, con la ridicolizzazione del giudice “bocca della legge” o del maestro di diritto quale esegeta; pratica, perché attualmente è il trionfo di invenzioni tecniche nuovissime che la prassi ha intuito e la scienza ha categorizzato, mentre il legislatore ha tardato ad avvertire e disciplinare. Oggi ci è una coscienza nuova nel giurista, più attiva e propulsiva. Il giurista vede le deficienze e sordità del legislatore e tenta di supplirvi facendosi portatore di un diritto transnazionale. Occorre che i giuristi recuperino il diritto e realizzino un pluralismo giuridico verso un diritto senza Stato. La complessità della società deve rispecchiarsi nella complessità plurale dell’universo giuridico. Diritto senza Stato significa che il diritto è una ragione del vivere civile e che la sua proiezione più naturale è quella universale. Senza dubbio il medioevo compie la sua giuridicità come ius commune, diritto accomunante cioè la dimensione religiosa e quella civile, nonché le varie regioni formanti il campo europeo: diritto universale dunque. Lo ius commune è diritto scientifico; alla scienza è affidato il compito di ordinare giuridicamente il tessuto socio-politico del proprio tempo; il diritto come realtà non legata alle miserie dei particolarismi giuridici, ma proiettata universalmente. Un sistema di integrazione tra universale e particolare. La manifestazione naturale, geograficamente precisata dello Stato è la sovranità, ossia un potere assolutamente indipendente. Il mondo del diritto comune per Grossi è un mondo di autonomie e non di sovranità, tessuto universale unitario ma complesso, non compatto anzi articolatissimo, in grado di fornire un messaggio di profonda simbiosi tra scienza, costruzioni scientifiche, invenzioni della prassi e regole di comunità particolari.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.