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Una pratica operativa iniziatica: l’esercizio dello stop

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Ognuno di noi è convinto di conoscersi perfettamente ma in realtà si tratta di una convinzione illusoria. Il metodo più efficace per raggiungere l’auto conoscenza è la cosiddetta pratica dell’auto-osservazione o auto ricordo. Essa era al centro dell’insegnamento del maestro Russo Gurdjieff (…) il punto di partenza consiste nel rendersi conto del fatto che la maggior parte del tempo in cui noi crediamo di essere svegli e coscienti in realtà viviamo in uno stato che potremmo definire di sonno.

I nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni si svolgono in modo quasi esclusivamente automatico senza che in un dato momento siamo consapevoli del fatto che siamo proprio noi a fare quello che stiamo facendo.

Praticando l’auto ricordo ci renderemo conto di come la nostra unità corpo-mente, questa meravigliosa macchina, non sia guidata da un unico io ma da una multitudine di ego che assumono, di volta in volta, il comando del nostro essere.
Hermeticus – Le dieci porte, ed. Venexia

La potenzialità di una scheggia di sacralità operativa, ci può donare un tempo eterno.

George Ivanovich Gurdjieff, la cui scuola esoterica ha influenzato insigni personaggi come Frank Lloyd Wright, René Daumal, Katherine Manslield, Peter Brook e Franco Battiato, insegnava ai suoi discepoli l’esercizio dello stop.

Mentre uno era intento alle quotidiane incombenze – cucinare, pulire il pavimento, magari scrivere un articolo – Gurdjieff improvvisamente diceva: ‘stop’. L’allievo si doveva subito fermare nella posizione assunta in quel preciso istante. Come morto, come una statua, senza battere nemmeno un ciglio.

L’esercizio era finalizzato a liberare la consapevolezza di sé, a scorgere, guardare se stessi con lucidità e trasparenza. A “cogliersi sul fatto”. Il blocco improvviso della cosiddetta unità psicofisica, che tanto unitaria non è, genera un sorprendente e fecondo disorientamento.

Quando il corpo si ferma anche la mente si ferma. E nel silenzio dirompente e completo di un attimo, può nascere un’occasione di lucida meditazione sulla meccanicità della “macchina” umana.

Ricorda Osho nel suo From Personality to Individuality che mentre Gurdjieff era a New York, offrì al pubblico un saggio della sua Scuola scegliendo una situazione veramente particolare. Nel momento in cui tutti i danzatori venivano in avanti fino all’orlo del palcoscenico. Proprio allora, mentre si trovarono tutti in fila, al primo di loro, collocato proprio sul bordo, Gurdjieff disse: ‘stop’!

La prima persona cadde, la seconda cadde, la terza cadde… tutta la fila cadde, gli uni sugli altri. Eppure ci fu silenzio completo, nessun movimento.

Un uomo del pubblico, assistendo a tutto questo, sperimentò la sua prima esperienza reale di meditazione. Era uno spettatore, non era lui a danzare. Ma la vista di tante persone che si fermavano di colpo e poi cadevano, come se fossero improvvisamente congelate, senza nessuno sforzo per cambiare la propria posizione, come se tutti fossero improvvisamente rimasti paralizzati gli diede uno shock percettivo.

Quell’uomo, che era semplicemente seduto lì, nella prima fila, senza rendersene conto si fermò anche lui, sospeso nella posizione in cui si trovava: le palpebre immobili, il respiro fermo. In fondo era solo andato a teatro per assistere a una danza. Ma che tipo di danza era mai questa?

Improvvisamente sentì nascere in sé un nuovo tipo di energia. Scoprì dentro di sé la dimensione del Silenzio e si sentì colmo di consapevolezza. E così divenne un discepolo.

Ecco, proprio da questo straniamento – ribaltamento della realtà si apre la possibilità di poter ri-iniziare. Di rinascere alla nostra esistenza cristallizzata. Da oggi proviamo a regalarci uno stop d’ascolto e di silenzio. Usiamoli come attrezzi per martellare l’invisibile armatura iper-razionale dell’ego.

Ascolto e silenzio: uno stato di passività attiva che può condurre al cambiamento. Uno stato di “imminenza” simile ad una partitura trattenuta che sta per risuonare nella testa e nel cuore.

Pensiamo a Beethoven, fisicamente sordo ma spiritualmente udente.

Pensiamo ad un istante prima dell’incipit orchestrale. Ad un istante prima della Creazione. Quell’istante adesso siamo noi. Il testimone.

Pensiamo, infine, a una canzone. Una canzone fatta di pause. Di sottintesi. Di parole, di metafore e di allusioni. Una canzone che canta nell’anima e proviene dalla nostra stessa anima.

Non trovo miglior chiusura che affidarmi ad un grande verso di Paolo Conte tratto dalla canzone ‘Madelaine’, mai nome fu più appropriato:

Qui, tutto il meglio è già qui, e non ci sono parole per spiegare ed intuire e capire, Madeleine e casomai per ricordare. Tanto, io capisco soltanto il tatto delle tue mani e la canzone perduta e ritrovata come un’altra vita (…)  Tutto il meglio è già qui, non ci sono parole…

Autore Hermes

Sono un iniziato qualsiasi. Orgogliosamente collocato alla base della Piramide. Ogni tanto mi alzo verso il vertice per sgranchirmi le gambe. E mi vengono in mente delle riflessioni, delle meditazioni, dei pensieri che poi fermo sul foglio.