Nel cuore di Napoli, a pochi passi da Forcella, nel quartiere Pendino, troviamo una della più belle Basiliche della città.
Adiacente alla Reale Casa dell’Annunziata, con annesso ospedale, orfanotrofio e conservatorio, lega la sua fama alla Ruota degli esposti, dove bambini, come abbiamo visto nel precedente articolo ‘O pertuso de’ creature: Real Santa Casa dell’Annunziata, venivano abbandonati da madri povere o abusate.
La chiesa della Santissima Annunziata Maggiore fu edificata nel XIII secolo grazie agli Angioini. Tra il 1436 e 1438 vi fu un primo restauro a causa dei rilevanti danni provocati dal terremoto. Nel XVI secolo, Ferdinando Manlio si adoperò per ampliarla.
Il gravissimo incendio del 1757 danneggiò gran parte della chiesa, l’unica ala dove le fiamme non riuscirono ad arrivare fu la parte destra, in cui ci sono la Cappella Carafa, con monumenti sepolcrali del 1500, la sacrestia, circondata da boiserie di Giovanni da Nola e l’affresco di Belisario Corenzio raffigurante ‘Le storie del vecchi testamento’, e la cappella del tesoro, opera affidata alla fine del 1500 a Giovan Battista Cavagna affinché contenesse le reliquie donate nel 1411 da Margherita di Durazzo.
L’anno dopo re Carlo di Borbone, con un editto, ordinò che “si riedificasse la chiesa, ponendo in opera il disegno di miglior gusto dell’antico”. L’incarico fu affidato a Luigi Vanvitelli e, successivamente, al figlio Carlo, che, lasciando in essere solo le parti non danneggiate, tra cui il campanile cinquecentesco, demolirono il resto.
Nel 1760 per primi furono innalzati i pilastri che dovevano sorreggere la maestosa cupola disegnata dai due architetti, quindi tutto il resto, dando all’edificio una connotazione tardo barocca. L’interno, con la navata centrale, le sei cappelle laterali e le 44 colonne corinzie, è sicuramente da considerare tra le più affascinati creazioni del famoso architetto.
Naturalmente tutto il complesso, in particolare le suore che governavano l’orfanotrofio, sarebbe rimasto per lungo tempo senza celebrazioni; a ciò il geniale Luigi pose rimedio realizzando una chiesa sotterranea, posta proprio in corrispondenza della cupola, con pianta circolare, contenente un ulteriore cerchio interno, delimitato da otto coppie di colonne tuscaniche. Sul perimetro esterno ritroviamo sei rientranze semicircolari nelle quali furono sistemate le poche statue sopravvissute.
In questo luogo di culto dedicato ad una delle più importanti ricorrenze mariane, ovvero l’apparizione alla Vergine dell’Arcangelo Gabriele che le reca la notizia dell’incarnazione nel suo grembo del Cristo, non poteva mancare una statua che la raffigurasse.
Inizialmente posta nelle stanze delle religiose ed oggi ubicata in una teca un po’ laterale della cappella del tesoro, ha le sembianze di una giovane bambola di porcellana il cui volto è adornato da capelli dorati, donati, negli anni, dalle donne del quartiere come ex voto per grazia ricevuta mai per se stesse, ma per un caro ritornato in salute.
Indossa una corona con simboli propriamente mariani e un abito in damasco color crema, trapuntato con fili d’oro e impreziosito da un importante mantello azzurro. È seduta su di un trono, con le braccia protese e le mani aperte nel tipico gesto di accoglienza verso tutti coloro che la invocano, in particolar modo verso i bimbi bisognosi. Un libro aperto in seno, forse un registro di quelli su cui, con grande cura, venivano annotati i trovatelli, i suoi figli.
C’è però un particolare che cattura l’attenzione di tutti coloro che la venerano; le sue scarpine dorate, di fattura assolutamente artigianale, sebbene poste ai piedi di una scultura hanno suole visibilmente e progressivamente consumate.
Da più di un secolo, tra i vicoli del rione ed oltre, si vocifera che questa Mamma, nottetempo, si metta in cerca di quanti soffrono la fame, soprattutto pargoli innocenti, che sfama e consola. Spesso, le sono stati attribuiti veri e propri miracoli, mai riconosciuti come tali, tra i corridoi dell’attiguo ospedale, specialmente nel reparto neonatale, dove, inspiegabilmente, dei medici si sono ritrovati accanto ad una culla traendo in salvo il neonato.
Le monache provvedono con cura e devozione a tenerla sempre in ordine effettuando, il 25 marzo, un rito che richiama tutto il quartiere; le scarpe vengono cambiate, al posto di quelle lise, ogni anno ne calza delle nuove e quelle tolte vengono donate ad uno dei suoi figli, attraverso un momento davvero suggestivo.
Tra storia e leggenda, la gente di Napoli tramanda, attraverso i secoli, racconti di vita e di cura di quell’infanzia respinta, quasi dimenticata, considerata ‘e figlie d’a Maronna, che, in quanto tali, sanno di avere dalla loro parte sempre questa presenza che, nel giorno della sua ricorrenza, riesce a colmare i bisogni più disparati, avvalorando il proverbio: A Santa Annunziata, tutto ‘o popolo è saziàto.
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.