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Una lezione di grammatica greca

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Entriamo in una quinta ginnasiale per assistere ad una lezione di grammatica greca incentrata sul futuro passivo.

Evitando che, seguendo una logica riconducibile alla prassi comportamentista, gli studenti ripetano – cosa che talvolta ancora oggi si predilige fino all’inverosimile- la coniugazione di un verbo, senza magari conoscerne nemmeno il significato, e in ultima istanza, il senso di ciò che imparano, è opportuno presentare l’argomento, creando dei collegamenti con argomenti affini e facendo notare agli studenti che l’argomento spiegato implica la conoscenza dell’aoristo passivo, che già hanno studiato: questa strategia didattica, riconducibile al cognitivismo, consente di semplificare l’argomento e di rendere consapevoli gli studenti che, sulla base di riflessioni e di collegamenti, il nuovo argomento presentato è in realtà da loro in gran parte già conosciuto. Durante la lezione è importante fornire come esempi verbi che gli studenti, stimolati dalle domande, possano ricondurre facilmente alla lingua latina e all’italiano. Questa strategia cognitivista in genere si rivela particolarmente utile e rende semplice ed immediata la memorizzazione di gran parte dei verbi presentati. Per facilitare agli studenti tale operazione e consentire loro di entrare nel vivo della lingua greca, è opportuno che non memorizzino passivamente il significato dei verbi presentati, ma che, al contrario, ragionino sul lessico per famiglie, stabilendo collegamenti tra i termini accomunati dalla medesima radice ed osservando che tale sistema è tipico delle lingue indoeuropee. Seguendo tale logica bisogna evitare che gli studenti ripetano passivamente la coniugazione verbale e non si deve pretendere che rispondano, secondo il modello comportamentista, meccanicamente a tutti gli stimoli impartiti. Spesso può essere molto utile prestare attenzione alla gestualità, evitando di ottenere l’attenzione dei discenti con la ripetizione di gesti o di incutere timore negli stessi mettendoli sotto pressione mediante una serrata e rigorosa interrogazione sul nuovo argomento. Al contrario l’azione didattica va finalizzata ad una rielaborazione significativa dell’argomento che consentisse, secondo il modello cognitivista, una memorizzazione a lungo termine.
Andrebbe riservato largo spazio alle attività degli studenti, proponendo la traduzione di un testo, che presenti un livello di difficoltà adeguato alla classe. Perciò è preferibile non sottoporre agli studenti la traduzione di frasi avulse da un contesto, in quanto non ci si dovrebbe porre il solo obiettivo di farli esercitare sull’argomento trattato durante la lezione. Tale scelta didattica rientra in una logica di superamento della programmazione didattica come mera somma di contenuti: dietro ripetitivi esercizi focalizzati su un solo argomento grammaticale si nasconde, infatti, l’idea che il sapere possa essere ridotto solo alla somma di parti più semplici, e che quindi la lingua possa essere appresa solo attraverso immani sforzi mnemonici ed una estenuante ripetizione. Alla base di questa idea, secondo cui vengono tuttora strutturate le grammatiche e gli eserciziari, si nasconde la deleteria convinzione che le lingue classiche siano costituite da una serie di unità e di nozioni fini a se stesse e non finalizzate all’accesso dei testi letterari e, in ultima istanza, alla cultura del mondo antico. Gli studenti, così, rischiano, nel momento in cui si imbattono in testi letterari più complessi, di non riconoscere le strutture morfo-sintattiche e di fraintendere la lettura di un testo con una mera operazione di traduzione che consiste nell’applicazione di regole apprese mnemonicamente e separatamente come unità discrete, e in un complicatissimo trasferimento dal greco all’italiano che spesso gli studenti tentano di realizzare senza riuscire a comprendere nulla di un testo.
Pertanto si opti per un testo che risulti loro interessante anche per i contenuti, li avvicini ad alcuni aspetti della cultura greca e che contenga non semplicemente le nozioni grammaticali studiate, ma anche elementi grammaticali che potessero essere compresi grazie ad inferenze logiche ad argomenti già studiati. Questa scelta consente di superare la difficoltà di trasmettere conoscenze linguistiche che, se studiate senza instaurare un contatto vivo con i testi, potrebbero risultare aride e prive di qualsiasi utilità.
In realtà questa deleteria separazione tra lingua e cultura, purtroppo, si legge addirittura nelle indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento, come se lingua e cultura fossero due settori distinti e la lingua non fosse lo strumento per accedere alla letteratura e alla cultura. Innanzitutto andrebbe, perciò, condannata la pratica di studiare la grammatica greca e latina al biennio, per poi abbandonarla quasi del tutto durante il triennio liceale, dove lo studio del latino e del greco è ridotto alla lettura dei manuali di storia della letteratura e alla lettura di classici – molto spesso pochi – già tradotti. Lingua e cultura andrebbero studiati insieme sin dal biennio, facendo eccezione per i primi mesi di approccio ai nuovi sistemi linguistici e cercando quanto prima di presentare agli studenti testi originali.

Carmelo Cutolo

Autore Carmelo Cutolo

Carmelo Cutolo, giornalista pubblicista, dottore di ricerca in Filologia classica, docente di lettere nelle scuole di secondo grado, appassionato di poesia, di ciclismo e di calcio.