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Una banda disarmata

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Trani


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Tutti si fermano sul ciglio della strada, fingendo indifferenza. In realtà non vedono l’ora che lo spettacolo cominci. È Trani, ma potrebbe essere qualunque cittadina italiana, dall’estremo Nord al profondo Sud: la banda si prepara a suonare.

I bambini sono fortemente attratti dalla tuba, quasi fosse una cornucopia più che uno strumento, ed anche io mi lascio conquistare da questa atmosfera di attesa… finalmente partono!

L’aria si riempie della musica e la loro avanzata da esercito buono, che procede all’unisono è accompagnata dalla corte di ragazzini che non vuole perdersi una nota. Lambiscono tutta la strada che porta al centro, passando per il porto, fino alla villa comunale ed è tutto un girarsi di teste, senza bisogno di darsi di gomito: si sente che è arrivata la banda!
Come la nostra musica leggera ci racconta da “quando passò” al “terzo fuochista”:

E la banda andava piano piano a cominciar
Zum para para zum para para zum pa pa
E Zum paraparapa zum paraparapa zum pa pa…

La banda annuncia sempre una festa.

Anche se le origini e la composizione della banda sono spesso associate ai militari, e molte bande musicali hanno proprio un’origine legata ai corpi militari, il fatto che per anni abbiano rappresentato l’unica occasione per il popolo di ascoltare un concerto dal vivo associa sicuramente questo passaggio alla festa.

Trani in questi giorni festeggia il suo San Nicola e per questo la banda è scesa in campo a suonare. Nelle feste tradizionali a precedere o seguire il Santo Patrono vi è sempre una banda che annuncia e reclama attenzione per il proprio protettore.

Se vi manca di sentire una banda potete rivolgervi ad un sito dedicato appunto alle attività ed alle esibizioni delle bande in Italia che vi consentirà di seguirne una, in qualunque parte dello stivale vi troviate.

Per quanto mi riguarda, poi, i miei ricordi di concerto bandistico hanno un precedente di grande effetto, dal momento che la banda più sconvolgente che io abbia mai visto suonare, si esibiva a precedere un corteo funebre.

La presenza della banda costituiva un’attestazione dell’importanza del defunto e fino agli anni Settanta nella provincia di Napoli assieme alla banda, si organizzava pure un servizio fotografico dedicato al dipartito che veniva ripreso dal letto di morte, alla cerimonia in chiesa.

Era un soggetto al quale il fotografo non aveva mai bisogno di dire in maniera perentoria: FERMO PER FAVORE! Scusatemi la facile battuta.

Intorno al morto nel suo letto, disposti ad arco, testiera permettendo, i parenti più prossimi, mentre a seguire venivano quelli di secondo e terzo grado. Il fotografo a cui era commissionato il lavoro doveva essere particolarmente bravo a cogliere i momenti più strazianti della cerimonia, quelli nei quali autentici disperati, o disperati a pagamento (non vi sconvolga sapere che le prefiche hanno sicuramente resistito fino a metà anni ’80 nei Comuni a nord di Napoli), si dimenavano in lacrime a seguire il carro. Anche il carro funebre a seconda del numero di cavalli documentava l’agiatezza ed il rispetto dovuti all’estremo saluto del compianto dipartito.

In una ricerca del 1997, che feci insieme all’antropologa Silvana Chianese, fu documentata la presenza di questi album funebri in un dossier “Di fronte alla Morte. La foto come sistema di superamento della crisi e rifondazione della presenza”.
Gli esiti di quel lavoro dimostrarono come la foto di morte, in quanto rito nel rito, si imperniava attorno al paradossale desiderio di mantenere il legame di fronte alla morte e di assicurare il predominio della volontà di vita sulla tendenza a disperdersi. Il rito permette ai sopravvissuti non solo di gestire l’evento morte, ma di risollevarsi da quel senso di generale disorientamento in cui la morte li ha fatti precipitare. La foto di morte diventa un rito nel rito, appunto.

Non siamo disabituati alle foto di morte, sebbene non abbiano più la composizione degli album familiari dedicati all’evento. E del resto la continua esposizione dei cadaveri, non solamente nella loro “ripresa”, ma pure nella pubblicazione in rete di reportage di morte, tenta continuamente di collocare la morte.

A questi morti allineati dopo un naufragio, dopo una bomba, dopo un disastro, manca però l’accompagnamento di una banda. Spesso manca anche qualcuno accanto che li pianga.

Nonostante questo mio ricordo, però, la banda mi trascina sempre con la sua veemenza musicale in un’atmosfera di allegria, forse perché io faccio della musica l’uso che Roland Barthes faceva della fotografia:

… bisogna pure che in una società la Morte abbia una sua collocazione; se essa non è più (o è meno) nella sfera della religione allora dev’essere altrove: forse nell’immagine che produce la Morte volendo conservare la vita.

da La Camera Chiara. Nota sulla fotografia, Torino, Einaudi, 1980.

Autore Barbara Napolitano

Barbara Napolitano, nata a Napoli nel dicembre del 1971, si avvicina fin da ragazza allo studio dell’antropologia per districare il suo complicato albero genealogico, che vede protagonisti, tra l’altro, un nonno filippino ed una bisnonna sudamericana. Completati gli studi universitari si occupa di Antropologia Visuale, pubblicando articoli e saggi nel merito, e lavorando sempre più spesso nell’ambito del filmato documentaristico. Come regista il suo lavoro più conosciuto è legato alle dirette televisive dedicate a opere teatrali e liriche. Come regista teatrale e autrice mette in scena ‘Le metamorfosi di Nanni’, con protagonisti Lello Arena e Giovanni Block. Per la narrativa pubblica ‘Zaro. Avventure di un visionauta’ (2003), ‘Il mercante di favole su misura’ (2007), ‘Allora sono cretina’ (2013), ‘Pazienti inGattiviti’ (2016) ‘Le metamorfosi di Nanni’ (2019). Il libro ‘Produzione televisiva’ (2014), invece, è dedicato al mondo della TV. Ha tenuto i blog ‘iltempoelafotografia’ ed ‘il niminchialista cinematografico’ dedicati alla multimedialità.