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Un nuovo capitolo

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Solo chi ha la forza di scrivere la parola fine può scrivere la parola inizio.
Lao Tzu

Forse l’annuncio che tutti stavamo aspettando è giunto: la fine di oltre 3 anni di pandemia di un Coronavirus sconosciuto, che ha letteralmente messo in ginocchio il pianeta: con quasi 7 milioni di vittime ufficiali, anche se la stima parla di almeno 20 milioni, e danni incalcolabili sul piano sociale, psicologico ed economico.

Il Comitato tecnico dell’OMS, ha detto il Direttore generale Tedros Ghrebreyesus

ha raccomandato la fine dello stato di emergenza ed io ho accettato l’indicazione.

Questa pandemia ha ovunque comportato dolore e sofferenza, mettendo a dura prova il nostro sistema sanitario, la nostra economia e il nostro modo di vivere.

Milioni di persone sono state infettate dal virus, molte hanno perso la vita e molte altre hanno sofferto a causa delle conseguenze economiche e sociali della pandemia.

Nonostante questo orribile circuito, nonostante le più evidenti difficoltà, l’umanità ha attestato la sua resilienza e la sua capacità e forza di reagire alle sfide globali con solidarietà, tenacia e collaborazione.

Gli scienziati, i ricercatori e gli operatori sanitari hanno lavorato senza sosta per trovare soluzioni per proteggere la salute e ridurre la diffusione del contagio.

Era il 31 dicembre 2019 quando le autorità cinesi diffusero la comunicazione di un focolaio di polmonite di origini sconosciute a Wuhan.

Dopo circa un mese, il 29 gennaio 2020, in Italia vengono ricoverati all’ospedale Spallanzani di Roma due turisti cinesi positivi al SarsCoV2 e già in gravi condizioni. L’inizio dell’incubo nel nostro Paese.

Il giorno dopo, il 30 gennaio, l’OMS dichiara lo stato di emergenza di sanità pubblica internazionale: una procedura che permette di far scattare un’allerta internazionale per una risposta comune ed il 31 gennaio l’Italia dichiara lo stato di emergenza.

L’annuncio della fine dell’emergenza non sta a significare che sia finita la minaccia per la salute globale. Sempre Ghebreyesus ha poi aggiunto che non tentennerebbe nel convocare un’altra volta gli esperti per rivalutare la situazione se il Covid-19 dovesse mettere in pericolo la Terra.

Il virus ha colpito l’intero globo in quasi ogni aspetto della vita e le conseguenze hanno superato ogni aspettativa e, in un certo qual modo, ha cambiato anche le nostre personalità.

Secondo un recente studio “Plos One” su migliaia di americani è stato proprio così: due anni di pandemia sono “pesati” sulla nostra psiche come dieci anni e ci sono stati cambiamenti nell’estroversione e coscienziosità, soprattutto fra chi ha meno di 30 anni.

La tendenza attuale del contagio ha permesso il ritorno alla normalità nella maggioranza dei Paesi, ma, allo stesso tempo, persistono alcune criticità in merito all’evoluzione del virus, che rendono difficile il poterne prevedere le dinamiche future di trasmissione o la sua stagionalità.

Deve restare l’idea della potenziale minaccia di altre epidemie. Ora ci sono strumenti e tecnologie per affrontarle meglio e riconoscerle prima, ma globalmente una mancanza di coordinamento potrebbe inficiarli.

Ricordiamo che quando tutto iniziò, fuori dalla Cina c’erano circa 100 casi di Covid-19 e non vi erano morti dichiarati. In tre anni da quel momento il cosmo si è capovolto. È quindi giunto il momento da commemorare ma è anche per riflettere: ce lo impone lo strazio che tutti abbiamo vissuto.

La pandemia è costata al nostro Paese 189.738 morti e quasi 26 milioni di contagi. In tre anni, però, le condizioni sono cambiate, così come il virus con il quale, affermano epidemiologici e medici, è ora possibile convivere.

Per diversi scienziati e medici il virus c’è ancora, evolve, mette a rischio anziani e fragili, ma il livello di preoccupazione si è ridotto in modo importante. Possiamo dire che fa parte della storia di tutte le pandemie. Ci si afferma che una pandemia finisce davvero solo quando ne comincia un’altra.

La fine dell’emergenza sanitaria globale per il Covid-19 ci fa guardare al futuro con un po’ di speranza. Come se dalla finestra di casa nostra si intravedesse una pacifica routine. Un ritorno ad un passato dove questi dolorosi eventi si potevano ipotizzare solo in qualche film.

In ogni caso, non dobbiamo dimenticare tutte le vite che sono state perse. Dobbiamo insistere nel ricordare le vittime del virus e a sforzarci di proteggere la salute delle persone più vulnerabili. Solo lavorando insieme possiamo costruire un futuro più sicuro e più sano per tutti. Sembra la cosa più ovvia ma temo che sia la più difficile da realizzare.

Se la clausura ha congelato la normalità delle nostre inerzie e dei nostri automatismi, va detto che abbiamo approfittato del tempo sospeso per interrogarci sulle stesse inerzie e automatismi.

Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo. Siamo stati troppo tempo chiusi in casa ma l’abbiamo vissuta e anche riscoperta o scoperta per la prima volta, annusandola in ogni angolo.

Siamo stati al centro di nuovi conflitti ed equilibri in famiglia. Sappiamo bene come è stato importante adottare nuovi sistemi di pulizia e sanificazione, abbiamo indossato la tuta per darci un cenno di dignità o abbiamo passeggiato in pigiama contando le singole mattonelle del pavimento.

Abbiamo portato il lavoro e la scuola in casa, colleghi e insegnanti virtualmente con noi grazie ad un monitor.

Abbiamo perso il sonno, lavorato molto di più spingendo l’acceleratore sul digitale come mai prima, anche se il nodo del divario digitale resta eccome.

Siamo stati anche bravi nel vivere ed assistere ad un prosperante senso di responsabilità sociale da parte di buona parte della comunità. Aspetti, questi, che hanno preso il posto di altre priorità pre Coronavirus e che ora stanno incidendo sulla nostra vita, influenzando molte delle nostre scelte, presenti e future.

L’emergenza ha rivoluzionato le nostre esistenze, distruggendo alcune priorità e facendone nascere nuove: su tutto c’è stato Internet. Abbiamo vissuto e ci siamo assuefatti ad una maggiore democratizzazione digitale e la velocità di connessione ci ha messo in crisi più del bollettino delle 18. Un’abitudine che ci siamo trascinati: siamo ora sempre più connessi sfruttando tecnologie immersive, emozionali e coinvolgenti.

Abbiamo imparato a fare i conti con la noia: il nostro agire, in fondo, è stato, fino a quel momento un anestetico per non passare del tempo con noi stessi, la nostra immaginazione, i nostri pensieri, la nostra anima.

Improvvisamente, abbiamo cominciato a scrutarci dentro e a conoscerci di più, a volte illudendoci, altre ferendoci. Lo specchio è stato il nostro confronto, la famiglia l’abbiamo vissuta come un fortino ma anche come un baratro.

La paura di scoperchiare il vaso di Pandora è stata fortissima e feroce. Il rischio che nulla sfuggisse e che non ci fosse un briciolo di intimità l’abbiamo vissuta e sofferta.

La pandemia ci ha rivelato qualcosa che la modernità ha rimosso: la realtà delle relazioni sociali. È attraverso le relazioni che le epidemie di ogni genere si diffondono. Un modo per farlo è essere permeabili alle idee che provengono da altre discipline e abbracciare uno stile di pensiero fuori dagli schemi, un nuovo modo di procedere, ora che il Covid-19 ha indicato la direzione che la natura si aspetta da noi.

Oggi più che mai siamo i principali responsabili nel cerchio della vita e, soprattutto, reali guardiani del pianeta e difensori della sua salute, come disse Ilaria Capua.

Sì, è così, vi è un legame strettissimo tra uomo e natura, la lacerazione di quel vincolo, la debolezza che rappresenta per il pianeta chiama in causa le strategie che occorre mettere in atto qui ed ora, per proteggerlo, per noi, per i nostri figli, per le future generazioni. Può essere un nuovo capitolo che stiamo già scrivendo.

Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza. Per ogni fine c’è un nuovo inizio.
Antoine de Saint-Exupéry 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.