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Un giallo puramente intellettuale, convegno in memoria di Pasolini

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Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Zigania


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Il 7 novembre, presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli l’incontro dedicato all’intellettuale friulano. Intervista a Francesca Nesler, regista del documentario ‘Pier Paolo Pasolini una morte secondo valore’

A 44 anni dalla scomparsa di uno dei più eclettici e scomodi personaggi del Novecento, il 7 novembre, ore 10:00, presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, il convegno ‘Un giallo puramente intellettuale – Pier Paolo Pasolini: Una morte secondo valore’ tornerà a sollevare interrogativi irrisolti che aleggiano da quel 2 novembre 1975, la domenica in cui, secondo uno dei suoi più grandi amici, il pittore di fama internazionale Giuseppe Zigaina, l’artista avrebbe pianificato, fin nei minimi particolari, la sua morte misteriosa, offrendosi come vittima sacrificale ad Hostia.

L’evento, organizzato e moderato da Barbara Napolitano, antropologa, regista e docente di cinematografia presso la stessa Accademia, dopo i saluti del Direttore, Giuseppe Gaeta, e del regista e coordinatore di cinema, fotografia e televisione, Stefano Incerti, vedrà come relatori la regista Francesca Nesler, con l’intervento ‘Quando per caso incontri una storia’, e Miguel Angel Cuevas Gómez, docente di letteratura e filologia italiana all’Università di Siviglia, con ‘Giuseppe Zigaina. Dell’arte e della ricerca’.

Focus della riflessione con gli studenti, la cui partecipazione prevede l’erogazione di crediti formativi, sarà la proiezione del documentario di Paolo Bonaldi e Francesca Nesler ‘Pier Paolo Pasolini una morte secondo valore’.

L’incontro è stato fortemente voluto per mostrare, attraverso il documentario e gli scritti, quante strade possa prendere una relazione “intellettuale” e come sia opportuno lavorare in maniera costruttiva sulla storia per creare nuove storie.

Un profondo legame personale, prima ancora che artistico, quello che unisce Pier Paolo e Giuseppe per ben 29 anni, ma che, come appare chiaro dallo stesso intenso ed emozionante documentario, sopravviverà al decesso del poeta, dato che, da quel momento in poi, l’esistenza di Zigaina sarà tutta protesa a dimostrare la tesi espressa nel suo saggio ‘Pasolini e la morte’, pubblicato da Marsilio nella collana ‘Gli Specchi’ nell’ottobre del 2005.

Secondo l’autore, sin dal 1958, l’intellettuale avrebbe iniziato a concepire la sua opera, in tutte le possibili declinazioni, come una “messa in scena” della sua vita e, di conseguenza, il suo trapasso rientrerebbe, a pieno titolo, nel progetto registico al culmine di un’esistenza tutta dedita all’Arte.

Il documentario, attraverso la meravigliosa testimonianza diretta di Zigania, attenta ad evidenziare i numerosi indizi disseminati in ogni dove da Pasolini, indaga appunto quella che sembrerebbe essere la lucida costruzione artistica della morte dell’amico, che, abituato a cogliere riferimenti simbolici ovunque, era solito riportarli a qualsiasi livello comunicazionale decidesse di usare: poesia, teatro, critica cinematografica, film, sceneggiature, saggistica.

Un esempio fra tutti, la pièce ‘Orgia’, in cui scrive:

Dentro una delle tante case di questo quartiere – o per lutto, o nevrosi, o noia del pomeriggio festivo – c’è stato finalmente un uomo che ha fatto buon uso della morte.

Zigania si sofferma anche sull’ambiguità prevista dell’amico, che non sapeva, per certo, di poter portare a compimento il suo proposito nella notte tra il giorno dei santi e quello dei morti, quella in cui si recita il grande mito della morte e rinascita, per di più, domenica, archetipo sempre ricorrente, giorno in cui è scomparso anche suo fratello Guido.

Per usare le parole di Zigania:

Pasolini sa che vuole dare a sé una morte secondo valore, una morte non naturale ma significativa, espressiva, costruttiva. E, come il sacrificio umano all’epoca della scoperta dell’agricoltura doveva assicurare all’uomo abbondanti raccolti, lui, Pasolini, con la sua morte assicura a se stesso, così almeno era nei suoi intendimenti, abbondanti raccolti di carattere culturale.

Ed ecco spiegati, una volta scopertone il valore simbolico, i continui riferimenti, più meno velati, al capolavoro di James Frazer, ‘Il ramo d’oro’, che confluiscono nella necessità di immolare e di immolarsi:

Non una morte naturale, ma un rito culturale… di un uomo che è a questo livello di paranoia di tipo dantesco… e fa della sua morte il montaggio del film della sua vita, il montaggio che trasforma il senso di una vita in una storia esemplare, mitica.

… Tutti i personaggi delle opere di Pasolini, tutti muoiono di morte violenta. Questa forma ossessiva, ripetuta, monotona e tragica di anticipare la sua morte, ha un significato profondo ben preciso e che consiste nella decisione che un uomo prende per fare della sua vita un qualche cosa di estremamente significativo e, nello stesso tempo, di assolutamente nuovo.
Pasolini è sempre stato un grande amante del nuovo.

… Lui che è sempre stato amante dell’antropologia religiosa aveva capito che questa era, forse, la soluzione migliore per lui che voleva, da una parte abbandonare il mondo, perché il mondo non lo voleva più, e dall’altra, voleva non morire naturalmente, non morire invano, voleva morire facendo poesia.

L’aforisma fondamentale di Pasolini è appunto questo, che racchiude tutta la sua storia: o esprimersi e morire, o restare inespressi e immortali, essendo non un immortale come Goethe o Shakespeare o Michelangelo, ma immortale nel modo più semplice della parola, del significato più comune, “che non muore”.

Quale migliore scenario, dunque, se non la prestigiosa Accademia di Belle Arti partenopea per approfondire anche attraverso l’arte pittorica di entrambi – sì, perché anche Pasolini era autore di splendidi dipinti – le figure di due menti così creative, dando agli studenti un ulteriore angolo di osservazione?

Esattamente in quest’ottica si inserisce il contributo del cattedratico spagnolo Cuevas Gómez, che, da esperto di storia dell’arte italiana del ‘900, illustrerà ai ragazzi l’opera di Zigania, cercando di far luce sul linguaggio volutamente criptico di Pasolini, che poteva essere colto ed interiorizzato solo da chi avesse avuto l’amore e la pazienza di indagarne a fondo ogni cifra stilistica ed artistica in senso lato.

Una decodifica che, appunto, solo una condivisione di intenti, passioni, affinità elettive di chi come lui orgogliosamente rimarcava di appartenere alla terra friulana, poteva esperire e carpire, quasi fosse un passaggio del testimone.

A Zigania il compito, che sente in realtà come un dovere morale, di tramandare al mondo cosa si celasse dietro il progetto del “regista martire per autodecisione”, che, scelta la modalità del suo “addio alle scene”, coincidente con sua fine terrena, la celebra nel “recinto sacro”, come scrive nel marzo del 1960 nella ‘Preghiera su commissione’.

Un giallo puramente intellettuale, dunque, secondo la stessa definizione di Zigania nella conclusione del suo saggio, che sia da sprone alla riflessione empatica e priva di preconcetti ed infrastrutture ed aperta alla possibilità dell’espletamento ultimo di quell’opera perfetta, attraverso elementi stilistici e filologici, che si sublima nel sacrificio umano.

Come dirà ancora Zigania:

… un grande dramma quello di Pasolini tra il mondo arcaico, una visione sacrale del mondo, e l’essere costretto a vivere e scontrarsi continuamente con una pragmaticità che il mondo moderno esige.

Decidiamo di rivolgerci alla regista Francesca Nesler affinché ci racconti qualcosa in più sul documentario girato esattamente 20 anni fa.

Era il 1999, all’epoca lavoravo con Paolo Bonaldi nella sede RAI di Bolzano su di un progetto su Medea, intitolato ‘Medea, un percorso nel mito’ e capitai a casa di Giuseppe Zigaina, che nel 1968, in qualità di consulente per il colore e le tecniche pittoriche, aveva eseguito tutti i grandi disegni del film ‘Teorema’ di Pasolini. Mi resi subito conto del loro rapporto imprescindibile; entrambi dicevano che l’uno fosse “ontologico” per l’altro.

Credo che l’opera del primo sia semplicemente godibile, oltre che fruibile, attraverso le parole del secondo. Provenivano dallo stesso Friuli del dopoguerra, un territorio dell’anima, ossimorica costante nelle loro opere pittoriche e letterarie. Un forte bisogno di condivisione il loro che faceva sì trascorressero molto tempo insieme a disegnare e a ragionare. Erano gli anni in cui l’Italia si risvegliava da un periodo tremendo.

Nel documentario, seppur brevemente, Zigaina esplora il loro legame intimo ed artistico, sprigionandone l’essenza ed insistendo sulla necessità di tramandare il suo pensiero.

Nel 1969 Pasolini è a Bolzano per girare delle scene del ‘Decameron’. Iniziata la novella di Ciappelletto, esige con il produttore delegato, Franco Rossellini, che la parte del “Frate Santo” sia affidata a Zigaina, il quale prima tentenna, perché sa di non essere un attore, e, letto il copione, accetta poi solo perché convinto, “con affabulazioni persuasive” da Pier Paolo di essere l’unico a poter incarnare quel personaggio, in quanto lo rappresentava davvero. Intuizioni, di personaggi e luoghi, che ha di continuo, dirà Giuseppe, per rafforzare stilisticamente ed espressivamente il suo racconto.

In effetti, in quell’ultima confessione nel film, Pasolini gli fa dire parole che appaiono importantissime nell’ambito della lettura completa della teoria di Giuseppe. Proprio perché nel dirigerlo gli ha dato il ruolo di ultimo confessore, lui si sente di avere un dovere morale nei confronti dell’amico che è venuto a mancare senza che l’Italia si rendesse conto del motivo.

Peccato aver incontrato questa storia a soli 27 anni, perché, anche tecnicamente, ora sarei supportata da altri mezzi; per quanto possibile, sto cercando di restaurare il nastro, ma non essendo una pellicola non ho i margini per migliorarla più di tanto. Probabilmente, con l’esperienza che ho adesso, sceglierei una modalità di narrazione diversa; riguardandolo, da un punto di vista di linguaggio filmico, mi appare immaturo.

Al contrario, sono consapevole che la ricerca di documenti ed immagini di repertorio non poteva essere più approfondita di quella che è stata. Abbiamo scovato negli archivi RAI piccole interviste e dichiarazioni di Pasolini che potessero avere un senso nel racconto, lavorando anche sul sottolineare dei testi che Zigaina ci indicava come fondamentali per la sua visione.

Insomma, questo convegno è l’occasione per dar ancora voce a Peppino su quegli argomenti che hanno occupato interamente gli ultimi 35 anni della sua vita. È come se fosse stato quasi monomaniaco, sentiva di non riuscire a tramandare quello di cui era custode, se non nel breve incontro per empatia con persone che, come me, si trovavano ad entrare nel suo studio con la curiosità ed il tempo per starlo ad ascoltare.

Consegnare questo messaggio alle generazioni future è una responsabilità non da poco, dunque…

In realtà, non credo neanche di essere l’unica a volerlo fare. Mi sento di dover ringraziare moltissimo Barbara Napolitano, con cui ho un ottimo rapporto personale e lavorativo.
Le ho accennato questa storia mentre bevevamo un caffè, ne ha immediatamente colto l’importanza, invogliandomi a parlarne approfonditamente ed organizzando l’incontro per gli studenti. Anche grazie a lei mi sono accorta della voglia che ho ancora di divulgarla, per il grande debito che ho nei confronti di Giuseppe, che, con tanto affetto me l’ha donata, fidandosi e affidandosi totalmente a me.

Accanto a lui aveva una straordinaria moglie, che cito perché chiunque pensi a lui non può fare a meno di accostarlo a Maria che, arrivata in Italia dall’Argentina a 18 anni per una vacanza, è entrata nel suo studio e non se n’è più andata, innamorandosi perdutamente di quest’uomo, che a soli 5 anni, a causa dell’esplosione di un ordigno bellico, aveva perso il braccio destro. Questa vicenda, ovviamente, lo ha marchiato a vita da un punto di vista interiore, ma non certo artistico.

Vale veramente la pena di palesarlo in tutta la sua complessità, nei suoi attenti e particolareggiati ricordi, se non altro per mostrare che mente geniale avesse. Inevitabilmente, per inquadrarlo e capirlo in pieno, non si può ignorare il suo profondo legame intellettuale e di amicizia con Pier Paolo.
Che Pasolini fosse manierista o comunque nei suoi film si ispirasse al manierismo, è ormai cosa notoria e, anche se forse nel dimenticatoio, oggi, lo stesso Zigania è acclarato come un artista a tutto tondo.

L’intento vero e proprio di questo incontro, per me e per Barbara, è appunto trasmettere questo suo importantissimo messaggio, affinché chiunque decida eventualmente di sposare questa tesi, possa approfondirla e, magari, scoprire qualcosa in più da regalare al mondo.

Un giallo puramente intellettuale

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.