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Un eremita e il suo maiale: l’abate Antuono

Chiesa di Sant'Antonio Abate a Napoli - ph Rosy Guastafierro

Chiesa di Sant'Antonio Abate a Napoli - ph Rosy Guastafierro



Un vecchio adagio afferma “l’Epifania tutte le feste porta via”; nelle case si ripongono gli addobbi natalizi, primo atto di un ritorno alla routine quotidiana dopo un mese di deroghe continue.

A Napoli e dintorni, tuttavia, la calma è solo apparente, perché si pensa alla ricorrenza rituale che, di lì a poco, sarà celebrata e si accantona quanto può essere utilizzato la notte del 17 gennaio per accendere il famigerato cippo.

Alberi di Natale, sedie malconce, tavoli traballanti, materiali vari accumulati durante tutto l’anno formeranno delle enormi cataste al centro delle strade della città, in particolare in prossimità della Chiesa di Sant’Antonio Abate in via Foria e nel borgo retrostante.

Chiesa di Sant’Antonio Abate a Napoli – ph Rosy Guastafierro

Ci stiamo riferendo alla strada che da piazza Carlo III arriva a Porta Capuana, antica zona paludosa fuori dalle porte della città, cresciuta durante i secoli come villaggio extramoenia, partendo proprio dal convento e dall’ospitale.

Il luogo, considerato malfamato e noto come lupanare, è diventato mercato all’aperto a partire dal secondo dopoguerra. A causa dei diversi cambiamenti urbanistici, dell’antica pianta del complesso religioso, voluto dalla Regina Giovanna I nel 1370, resta una sola navata.

In realtà, i lavori sono eseguiti su di una chiesa già esistente, ripristinata da Re Roberto il Saggio, e affiancata da un lazzaretto, impiegato per il ricovero e l’assistenza dei lebbrosi.

Si dice che nello stesso sito abbiano trovato asilo alcuni Templari all’epoca della diaspora originata dalla persecuzione di Filippo IV il Bello nei confronti dell’Ordine del Tempio e lì, mescolati agli osservanti, abbiano praticato il sapere detenuto, condividendolo con i loro benefattori.

Ma chi è questo Santo e perché viene onorato con il fuoco?

Nato a Qumans, in Egitto, nel 250, in una famiglia benestante, trascorre la gioventù in maniera frivola. Successivamente, convertitosi al cristianesimo, decide di abbandonare tutti i beni materiali per ritirarsi a vivere nel deserto, dedicando la sua vita alla purificazione dello spirito, nel tentativo di cacciare le tentazioni demoniache.

Viene considerato il fondatore del monachesimo cristiano, inoltre è il protettore degli animali e della campagna ed il patrono dei poveri. Inizia a costituire le cosiddette famiglie dei monaci consacrati al servizio del Signore con una guida spirituale, l’abbà.

L’asceta non varca mai i confini della sua terra natia, ma la sua opera e soprattutto i suoi rimedi si diffondono in tutto il mondo all’epoca conosciuto, attraverso la biografia redatta dal suo discepolo, Atanasio di Alessandria.

Davvero particolare è la sua iconografia che, intrisa di simbologia alchemico-templare, lo ritrae come un anziano barbuto con il bordone da eremita e il campanello, l’abacus degli antichi iniziati attributo di comando sulle forze ascose, il libro della sapienza iniziatica, il Grimoire degli Alchimisti, la fiamma che allude alla ricerca tipica dell’adepto, e l’immancabile porco.

La presenza del suino, inserita in un secondo momento, richiama alla memoria il privilegio che l’ordine ospedaliero-ospitaliero degli Antoniani riceve nel 1095, e che dà facoltà ai monaci – speziali, seguaci dell’anacoreta, di ricavare lardo dai maiali, da usarsi, unito ad erbe officinali, come rimedio contro il cosiddetto fuoco di Sant’Antonio, il cui nome scientifico è Herpes Zoster, e non solo.

In effetti questo unguento si rivela efficace anche nella cura dell’ergotismo canceroso, sicuramente più pericoloso, derivato dall’avvelenamento mediante un fungo della segale deteriorata oppure conservata male.

All’epoca la segale è base primaria dell’alimentazione di ampi strati sociali con la conseguente diffusione di questo terribile morbo i cui effetti fisici e psicologici sono devastanti, andando da piaghe e cancrene repellenti a crisi di convulsioni e demenza.

Il popolo riconosce l’azione benefica dei monaci antoniani tanto che i porcellini, marchiati con il disegno delle due rette che si incrociano e la fiammella sovrapposta, godono della libertà di girare in città tranquillamente; persino gli affamati si guardano bene da immaginarli pasto e le carrozze cedono il passo al trillo del campanellino che, legato al collo del maialino, ne annuncia la presenza.

Che dire, poi, del suo bastone con la particolare forma a Tau, emblema egiziano di resurrezione oltre che richiamo alla croce di Cristo? Senza trascurare la similitudine con il palo sul quale Mosè adagia il serpente di bronzo affinché il Popolo di Israele, nell’attraversare il deserto, non subisca il morso dei rettili.

Questo simbolo divino, inizialmente usato dagli ebrei come segno di distinzione sugli architravi esterni da molto prima dell’esodo, viene adottato, poi, dagli ordini cavallereschi destinati alla difesa del Santo Sepolcro e ricamato sulle tuniche della confraternita per tramandare l’antica appartenenza.

Mediante le pire, con le quali si onora tutt’oggi il romito, si perpetua il rituale di purificazione. Disfarsi di tutto quanto non è più utile sia in senso materiale che da un punto di vista interiore eleva, ma è anche un cerimoniale atto ad esorcizzare il male stesso, ‘o ffuoco d”a carne.

È un archetipo universalmente riconosciuto, direttamente collegato alla trasmutazione e alla sublimazione. Un rogo è unità di contrari, può costituire l’offerta effettuata affinché qualcosa accada o il sacrificio compiuto nella speranza che il fatto non avvenga; è la fame del desiderato che invoglia alla costruzione, ma anche la sazietà raggiunta, che spinge alla distruzione.

Nel nostro immaginario prende forma il parallelismo tra il fuoco e il maiale: entrambi divorano tutto, attuando una trasformazione che, nel primo caso si manifesta nella riduzione in cenere, preziosa anticamente per lavare il bucato, a liscivia apprufumata, nel secondo, ingurgitando tutti gli avanzi possibili, compresi i materiali di scarto, diventa ottima carne e prezioso grasso con tutti i suoi derivati, r’ ‘o puorco nun se jetta niente!

L’antica tradizione di benedire gli animali continua ancora, mentre la formula per la preparazione della magica pomata, tramandata a voce, è andata persa, probabilmente per l’ampia diffusione di medicinali allopatici.

Di contro, si distribuiscono ancora i santini a cui, a volte, viene legato un pezzetto di lardo, da qui il detto:

So remaste c”o lardo int’ a fiura.

Chiesa di Sant’Antonio Abate a Napoli – ph Rosy Guastafierro

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.

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