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‘Un blues per il diavolo’: intervista a Sergio Di Paola

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'Un blues per il diavolo'


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Lo spettacolo, in scena il 14, 15, 20, 21 e 22 gennaio, inaugura la stagione teatrale ‘Effetto farfalla’ del Nouveau Théâtre de Poche di Napoli

‘Un blues per il diavolo’ di e con Sergio di Paola è la pièce inaugurale dell’attesissima stagione teatrale del Nouveau Théâtre de Poche di Napoli, dal titolo ‘Effetto farfalla’, che debutterà sabato 14 gennaio, ore 21:00, con repliche il 15 gennaio, ore 19:00, il 20 e 21 gennaio, ore 21:00, e il 22 gennaio, ore 19:00.

Il primo di 10 raffinati spettacoli in programma, due al mese, che delizieranno il pubblico fino a fine maggio.

Aspettative altissime, anche stavolta. D’altronde non potrebbe essere diversamente se ci sono di mezzo l’eccellente squadra del de Poche e Mr. Alone, personaggio di finzione sì, ma solo fino ad un certo punto, tanto è stato grandioso quel “fantattore” di Sergio – termine coniato per lui proprio dal geniale Lucio Allocca, regista de ‘Le disavventure di Mr. Alone’ – a trasformarlo quasi in un essere umano in carne ed ossa, con tanto di dolci malinconie, gioie e candido stupore, nel suo meraviglioso inno alla vita.

E fu proprio Lucio, che interpellammo nell’agosto del 2015, quando, per tale lavoro, ottenne il prestigioso riconoscimento del Premio Pistrice – Città di Positano al Positano Teatro Festival, a farci scoprire l’incanto di questa suggestiva “caverna”, vicina al MANN, di cui è stato il sommo artefice.

Una rappresentazione che, a distanza di anni, continuiamo a definire tra le migliori mai recensite, il cui inarrivabile protagonista, Mr. Alone, in perenne evoluzione, torna ad incrociare il nostro cammino.

Come è stato l’anno scorso, quando il viaggio intimo del clown per cogliere la Bellezza del cosmo si è declinato in un adorabile videoclip per la regia di Alberto Grosso, che intervistammo insieme a Sergio, e come accade, appunto, quest’anno per ‘Un blues per il diavolo’.

Perché?

È lo stesso Sergio a dichiarare:

In questa pièce c’è il clown Mr. Alone, in veste di cantastorie del 2000, che narrerà storie, fatti e misfatti di un Bluesman.
Perché un clown?
Perché l’Attore è rock
Il Clown è Blues.

Ed ecco che, attirati dall’ulteriore trasformazione di Mr. Alone, ci affidiamo a Sergio affinché ci avvolga in questa nuova splendida malia.

Sergio Di Paola
Sergio Di Paola

Mr. Alone si cimenta sempre in un processo creativo autorigenerante, immerso in una sorta di “cecità luminosa” che trova nuova linfa vitale nell’uso degli ossimori. È un caso, Sergio, che sia proprio lui a celebrare questo nuovo inizio del de Poche?

È una sorta di “caso… voluto”. Per qualche anno, per vari motivi, non ultimo la pandemia, abbiamo ospitato solo singoli spettacoli, senza una stagione in cartellone, e, per questa “rinascita”, volevamo un buon portafortuna, qualcosa che fosse per noi significativo, che ci accompagnasse da sempre. 

Lo spazio del Nouveau Théâtre de Poche venne inaugurato, più di vent’anni fa, con una pièce scritta a quattro mani da Lucio Allocca e da me, ‘I figli di mamma Minnie’, incentrato sui fratelli Marx.

Mi piaceva l’idea, romanticamente romanzata, di riproporre questo binomio tra lui e me, con un testo stavolta solo mio, ma in cui il suo apporto è importantissimo, come accade sempre.

Come sai, è stato mio maestro all’Accademia del Teatro Bellini e lavoriamo insieme in un modo speciale. I nostri progetti nascono sempre con una chiacchierata, magari telefonica; poi, dopo averci riflettuto, ci vediamo e ci inoltriamo verso sentieri affascinanti.

Massimo De Matteo e Peppe Miale, con me direttori artistici della sala, mi hanno quindi spronato a riaprire con questo lavoro e abbiamo poi stilato un bel cartellone, con tutti validi interpreti.

Il nome della rassegna, ‘Effetto farfalla’, è simbolica, è stato scelto dai nostri ex allievi, attuali collaboratori. Corrisponde al titolo di un film del 2004 di Eric Bress e J. Mackye Gruber in cui è citata una frase che abbiamo ripreso: “Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”.

Anche ciò che apparentemente è ininfluente può generare un grosso fragore, una ripercussione ampia. Ecco che dal nostro piccolo spazio possono nascere delle grandi cose.

Come sei arrivato alla stesura della pièce?

Sono un appassionato del Blues fin da ragazzo. Nel periodo di confinamento vidi un film del 1986, ‘Mississippi Adventure’, di Walter Hill, che narra del Delta Blues, nato tra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del Novecento, nella regione degli Stati Uniti chiamata, appunto, Delta del Mississippi.

Fui folgorato dalla genesi di questi suoni, che trovo magici, così decisi di approfondire. Ho scoperto tante cose che ignoravo e ora mi attrae ancora di più. Ho deciso, quindi, di scrivere non una pantomima ma un testo recitato, che racchiudesse l’origine del Blues.

E ricordiamoci che senza il Blues non avremmo avuto il Rock, il Jazz e tanti altri generi musicali che sono una vera e propria cura per l’anima.

Senza scoprire troppo le carte, cosa ci puoi anticipare?

Non si tratta ovviamente di un thriller, ma di uno spettacolo interattivo sulla nascita del Blues, che, prim’ancora di essere uno stile musicale, è un modo di essere. Non ci sono definizioni univoche, perché va a connotare sfumature diversissime e soggettive; per me è una “Poetica della sopravvivenza”.

Racconterò di un bluesman poco noto, il cui profilo trova parallelismi in altre vicende che hanno la stessa trama di sofferenza, alcune delle quali denunciano le condizioni di schiavitù dei neri nelle piantagioni di cotone. Il mio personaggio, però, non cede al dolore, anzi, lo combatte cantando, perché il Blues è una liberazione.

La colonna sonora della storia, per restare in tema, è quella stessa malinconia mista ad allegria che è propria del clown, quella sua intrinseca capacità di denudarsi, mostrando la sua interiorità in modo così vero, che, allo stesso tempo, fa riflettere e ridere. E così si spiega Mr. Alone.

Qual è allora la tua “Poetica della sopravvivenza”? E che posto occupa la Speranza nella tua Arte e nella tua quotidianità?

La mia “Poetica della sopravvivenza” ha due direzioni.

Innanzitutto il cercare di non lasciarsi sopraffare, non essere mai dolenti, provare ad aggiustare le situazioni, per quel che si può, non mollare mai, affrontare ingiustizie, problemi, ostacoli in una maniera sicuramente non violenta.

Anche nei momenti più bui, quando tutto fa presagire una chiusura totale, occorre cercare quel lumicino che c’è sempre. Nella mia vita la Speranza è al primo posto.

Poi c’è l’accezione più filosofica, che è il dedicarsi, ad esempio, alla lettura, alla scrittura, all’arte in generale, il ragionare autonomamente per non farsi completamente dominare dai network. Immersi in quest’era della superficialità siamo troppo vittime dei “poteri” che ci vogliono snaturare come esseri umani e dimentichiamo di scavare e scovare in noi stessi quella profondità della poetica che ci rende, invece, unici.

Cosa vedremo sul palco? Più Luci od Ombre? Più tormento o spavalderia? O semplicemente la ricerca di un funambolico equilibrio emotivo su di una corda poco tesa e traballante, ennesimo paradosso della nostra società?

In questa pièce, nonostante i tormenti e i momenti bui della trama, resta la Luce della Speranza, che è poi l’anima stessa del Blues.

Il non senso, per quanto possa sembrare strano, qui non è costruito, ma fuoriesce spontaneamente. La drammaturgia non è stata redatta pensando a situazioni assurde, ho semplicemente evidenziato il paradosso del reale.

Musica, teatro, clownerie e tanto altro in questa messinscena. Perché?

Personalmente credo che quando un artista propone uno spettacolo, più linguaggi ha a disposizione più trovi piacere e divertimento nel comunicare. L’attore del futuro, per me, non è solo quello che sa recitare ottimamente, ma colui che possiede altre frecce nella sua faretra e che è in grado di farle scoccare nel modo e nel momento giusto.

Nella sua “valigia dell’attore” deve dare spazio alla dizione e al movimento, sì, ma deve anche introdurre il canto, la musica, il ballo, ammesso ne sia capace, tutta una serie di discipline che, se declinate in modo impeccabile, rendono l’opera e il ruolo più intrigante, interessante, godibile innanzitutto per sé e, di conseguenza, per gli altri. Solo se ci si diverte in prima persona si è capaci di veicolare il messaggio e trascinare la platea in un turbinio di emozioni.

L’anima del clown di ‘Un blues per il diavolo’ è sicuramente diversa da quella del pagliaccio de ‘Le disavventure di Mr. Alone’, pur avendo degli innegabili punti in comune. Ora parla, cosa che nel precedente spettacolo non faceva, e si avvicina parecchio alla figura del giullare medievale, molto votato al gioco, che con il canto narrava avvenimenti storici rielaborati in chiave moderna; ecco perché lo definisco il “cantastorie del 2000”.

Se ne ‘Le disavventure di Mr. Alone’ affidi totalmente il racconto alla tua inarrivabile abilità di comunicatore non verbale e musicista polistrumentista, in ‘Un blues per il diavolo’ cederai anche al fascino del parlato. Come mai questa scelta?

A dispetto di quello che credono i più, il mimo parla! Certo, predilige il movimento alla parola, ma non è muto. Quando, invece, non fa ricorso alla parola, siamo di fronte ad una pantomima, che, in genere, è legata alle situazioni comiche.

Rispetto poi a quello che suggerisce un testo e alle proprie abilità, il clown deciderà se far ricorso solo al movimento e al linguaggio paraverbale, come al circo, o se da un non verbale effettuare un’operazione di recupero della parola e, dunque, recitare.

Torniamo, appunto, al discorso che facevamo prima della “valigia dell’attore”, del bagaglio esperienziale da portare con sé e della scelta di cosa utilizzare di volta in volta.

Sei un abile polistrumentista, ti ho ascoltato alternarti tra chitarra, sassofono e banjo. In ‘Un blues per il diavolo’, oltre alla chitarra che strumento suonerai?

Non sono un musicista, gioco con gli strumenti, anche se da giovane avevo un gruppo con cui mi esibivo con chitarra e basso.

“Gioco” è una delle mie parole chiave. I miei spettacoli sono sempre dei piccoli giochi che nascondono delle sorprese. Mi piace stupire, ecco perché evito di dare troppi dettagli.

Oltre alla chitarra che strimpellerò? Vieni ad ascoltarmi e lo saprai… ma ricorda che tutto è musica e tutto può essere suonato!

E veniamo ai ringraziamenti…

Oltre, ovviamente, a Lucio Allocca, mi sento di dover ringraziare l’ottima squadra che ci sostiene, formata dagli ex allievi del de Poche, attuali collaboratori: Flavio D’Andrea, Davide Lauro, Irene Latronico, Gennaro Madonna, Niamh McCann.

Poi Angelo Venezia, sempre nostro ex allievo, al momento autore Rai, che mi ha dato suggerimenti molto efficaci per la stesura del testo, per passare a Gennaro Madonna, assistente alla regia, che si è occupato anche del Disegno.

I costumi saranno da bluesman, stilizzati, non sarà certo il tradizionale abito clownesco di Mr. Alone, ma in un certo senso lo ricorderà.

La scenografia sarà minimale, composta da pochi e piccoli oggetti. È la nostra politica andare all’essenza, perché per noi quello che conta è l’attore, è stata curata da due bravissimi studenti del Professor Luigi Ferrigno dell’Accademia delle Belle Arti, Alessandra Avitabile e Salvatore Esposito. Insomma, un’équipe di tutto rispetto.

Spero fortemente che non sia un’esibizione che interessi solo i musicisti o gli amanti della musica, ma tutti, proprio perché tocca le corde dell’anima, perché credo che ognuno di noi abbia del Blues dentro. Non sarà un concerto, ma il racconto della nascita di questo genere straordinario e della sua vena malinconica, accompagnato, naturalmente, da brani piacevoli.

‘Un blues per il diavolo’ è il titolo che ho scelto proprio perché era la musica del diavolo… venite a scoprire perché!

Per info e prenotazioni:
Nouveau Théâtre de Poche
Via Salvatore Tommasi 15/16
Napoli
081-5490928 / 331-2714592
theatre.depoche@libero.it

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.