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Un arcano napoletano: il Signore delle Mosche

Palazzo Penna a Napoli - ph Rosy Guastafierro

Palazzo Penna a Napoli - ph Rosy Guastafierro



È abitudine inveterata degli adulti usare stratagemmi e ricorrere a luoghi comuni per indurre i bambini all’obbedienza.

Fino a non molti decenni fa, poche famiglie avevano l’opportunità di poter ricorrere all’aiuto di una bambinaia e se, per vicende del destino, la mamma doveva uscire di casa, molto spesso i piccoli venivano affidati alla nonna o a qualche zia che si assumeva anche l’onere di educarli. Non si lesinavano, allora, proverbi e modi di dire, scomodando santi e diavoli, pur di giungere al risultato.

Ferniscila sinnò te porte abbascio ‘o puzz ‘e Belzebù!

Di quale pozzo parliamo? E perché Belzebù?

Nel centro di Napoli, nei pressi di Largo Banchi Nuovi, precisamente a piazzetta Teodoro Monticelli, c’è Palazzo Penne soprannominato di Belzebù, appunto. L’edificio fu progettato nel 1406 dall’architetto Antonio Baboccio da Piperno su ordine di Antonio Penne, apprezzato segretario di Re Ladislao I d’Angiò-Durazzo, di nobile e potente famiglia.

Palazzo Penna a Napoli – ph Rosy Guastafierro

La leggenda narra che il nostro uomo di penna fosse innamorato di una donna splendida, la più bella della città, e altrettanto capricciosa, che continuava a negare il proprio amore, fino a quando, esausta per le pressioni, capitolò mettendo, però, delle condizioni alle loro nozze.

Il matrimonio si sarebbe tenuto solo se il promesso avesse costruito un sontuoso palazzo in una notte! L’unico modo per riuscire nell’impresa era stringere un patto maledetto con il Signore delle tenebre, che chiese in cambio la sua anima.

L’astuto Antonio, nel firmare con il proprio sangue, aggiunse, in calce alla pergamena, la clausola che condizionava il perfezionamento dell’accordo alla conta dei chicchi di grano, che lo stesso avrebbe sparso nell’enorme cortile del palazzo.

Il sagace Penne adottò lo stratagemma di mescolare ai granelli delle palline di pece che mandarono in confusione il povero Belzebù che, sentendosi raggirato, sprofondò nel centro dell’atrio, creando una voragine sino agli inferi. Il pozzo, ancora oggi visibile, è ben sigillato affinché le forze oscure non possano fare ritorno.

A memento di ciò sul mastodontico portale ritroviamo incisa una frase del poeta latino Marziale:

Avi Ducis Vultu Sinec Auspicis Isca Libenter Omnibus Invideas Nemo Tibi

Tu che non volti la faccia e non guardi volentieri questo (palazzo) o invidioso, invidia pure tutti, nessuno invidia te.

Palazzo Penna a Napoli – ph Rosy Guastafierro

Ba’al zĕbūb sarebbe il diavolo che, per ordine d’importanza, è secondo solo a Lucifero, per il cristianesimo medioevale era a capo di 6666 demoni. Anche Dante nella Divina Commedia, Inferno XXXIV, 127, si riferisce a lui come principe de’ dimoni e de’ traditori di loro signori.

In realtà, era nato come grande Dio – toro bianco Baal Zephon, adorato nella terra di Canaan, signore delle profezie e della fertilità, oltre che dell’oltretomba. Adottato anche dai Filistei, fu detronizzato all’epoca di Gesù, quando le sue funzioni vengono attribuite all’Arcangelo Gabriele e, quindi, diventò Baal Zebub, ovvero Signore delle mosche o, peggio ancora, del letamaio.

Nelle antiche culture questi insetti erano reputati impuri e portatori di epidemie a seguito della loro tendenza a diffondersi ovunque, con la conseguente contaminazione di cibi. Napoli non si sottraeva a questo flagello che, anzi, l’assillava in maniera davvero pressante.

A liberarla dal castigo ci pensò il Mago buono, colui che, malgrado non fosse napoletano di nascita, amò questa città tanto da sceglierla per il suo riposo eterno. Il popolo apprezzò la sua opera, volta sempre a valorizzare e migliorare l’urbe, tanto da eleggerlo patrono al pari di Partenope.

Proprio al medioevo si fa risalire una leggenda che vede protagonista Publio Virgilio Marone, il Vescovo Giovanni da Salisbury, nel suo Polycraticus del 1159, ne fa menzione. Sembra che in una delle sue passeggiate nei pressi di Posillipo, il sublime poeta catturò al volo una mosca molto grande portandola nella casa ereditata dal filosofo Sirone.

Qui, nel suo laboratorio, aveva a disposizione il metallo solare che lui stesso aveva estratto dalle viscere della terra, sfruttando naturalmente gli influssi astronomici al passaggio dei vari pianeti e il magnetismo del nostro satellite.

Trattò la Sarcophaga carnaria prima ingigantendola ulteriormente, e, poi, immergendola nel prezioso materiale in modo da forgiare un talismano tanto potente da essere in grado di debellare la calamità. L’amuleto, della grandezza di una rana, fu posto su una delle porte di accesso, poi su di una finestra a Castel Capuano, particolare giunto a noi da una descrizione di Enrico VI di Svevia, padre di Federico II.

Nella sua grandezza e lungimiranza il nostro Mago non si limitò a proteggere la terra che tanto amava da questo fastidio, in realtà l’oggetto apotropaico aveva funzioni ben più specifiche. Era il baluardo del bene contro le forze del male, che veniva contrastato da una rappresentazione aurea della sua stessa natura.

Attraverso i secoli, a causa dei continui cambiamenti di posizione, il talismano iniziò a perdere la sua forza, lasciando spazio alle lusinghe delle tentazioni, che troppo spesso assumono forme familiari, capaci di trarre in inganno.

Nell’eterna lotta tra bene e male gli esseri umani trovano sostegno in quegli archetipi che ripropongono e rappresentano il contrasto tra queste due forze. È la storia del percorso attraverso il quale una persona si evolve, lasciandosi alle spalle le asperità che opprimono il suo essere imperfetto. Una trasformazione che tende a raggiungere la luce, quell’evoluzione che gli alchimisti codificavano nella trasmutazione del piombo in oro.

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.

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