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‘U.S.tica – quarant’anni di bugie’, di Pino Nazio

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'U.S.tica - quarant'anni di bugie', di Pino Nazio


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Titolo: U.S.Tica – quarant’anni di bugie
Autore: Pino Nazio
Prezzo formato cartaceo: €12,00
Casa Editrice: Ponte Sisto

Il 27 giugno del 1980 è una di quelle date che restano in maniera indelebile nella storia di un popolo. È una ferita nella memoria, una cicatrice sulla pelle già tormentata. Un segno di dolorosa immortalità che lega i vivi ai morti, le verità assolute ad un puzzle di bugie spudorate.

Il 27 giugno del 1980 è una di quelle date in cui la nostra Repubblica è scivolata nel precipizio dell’ignominia e vergognosamente non si è sollevata più, anzi è, colpevolmente, inabissata in un delirio infamante di terrore con ulteriori accadimenti dove il dolore e il sangue degli innocenti è stato sacrificato in nome e per conto dei grandi poteri occulti e/o di logiche mistificatrici, deviate ed illegali.

Oramai, siamo così abituati a questo orrore da dare per certo che vi sia un mondo parallelo ed oscuro che accompagna da sempre il cammino delle Istituzioni della nostra Repubblica. Questo paradosso è incredibilmente vivo e viene trasmesso di generazione in generazione come un codice genetico della storia, la nostra storia carica di speranza o di disperazione, a seconda della lettura dei fatti. Lasciandoci lo spazio per intervenire, per decifrare e per comprendere.

Sta a noi stabilire se contribuire a chiarire questo presente che si è fatto cupo o se nasconderci nella nostra torre eburnea, dimenticandoci di un passato torrido e buio che avrebbe il dovere di essere studiato e analizzato in ogni sua sfaccettatura, che grida verità anche a costo di mettere a rischio i già precari equilibri politici in essere.

Cosa resta dopo 40 anni della strage che il 27 giugno del 1980, costò la vita a 81 persone fra passeggeri e componenti dell’equipaggio a bordo del DC9 della compagnia Itavia, in volo da Bologna a Palermo? Se lo è chiesto il giornalista Pino Nazio e la sua inchiesta, il suo immane lavoro, è racchiuso nelle pagine di ‘U.S.TICA – quarant’anni di bugie’.

Nazio è stato ed è autore, regista ed è stato inviato per programmi come ‘Chi l’ha visto?’. Ha firmato oltre mille servizi, spot, documentari e programmi TV, ha scritto una dozzina di libri, alcuni basati su storie di cronaca nera raccontate in chiave di romanzo con le vicende di Giuseppe Di Matteo, Emanuela Orlandi e ha pubblicato libri su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Aldo Moro e Ilaria Alpi. Un giornalista e sociologo non immune ad approfondimenti di temi scottanti e ancora alla ricerca di una verità.

La sua prosa non è assillante né manifesta toni aggressivi o si declina in sterili allarmismi fautori di un complottismo insano e, a volte, fine a se stesso. La sua indagine è un report pulito, per quanto i contenuti siano assordanti e oscuri, e vive di lucida analisi storica dell’evento tragico. Poche interpretazioni se non utili alla comprensione dei fatti, a diramare una matassa complessa e complicata di situazioni, parole e silenzi che ancora oggi infittiscono una trama avvilente e sordida.

Una lettura che ha lo stile del servizio televisivo: fluido, incandescente, con un rispetto dei tempi cronologici della storia che ti consente di seguire il caso senza mai abbassare la tensione e che, soprattutto, ti fa rivivere quel giorno infausto e drammatico come una pugnalata al petto.

Tanto che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato quanto quel giorno sia stato

una tragedia indelebile nella memoria e nella coscienza della nostra comunità nazionale.

Non basteranno le parole e il cordoglio istituzionale per dimenticare il dolore lancinante che ancora oggi i parenti delle 81 vittime innocenti provano e nulla restituirà indietro il tempo e le grida forti e sconsolate degli stessi nella ricerca disperata di trovare e di arrivare alla verità.

Sono state troppe le negligenze, gli omissis, le anomale bugie su cui ha rimbalzato il doveroso accanimento dei familiari. Senza quella ossessione moralmente e civilmente obbligatoria, senza quella costante ed assillante pioggia di richieste, preghiere ed atti utili a scavare nelle mura costruita ad arte da chi, invece, ha cercato da subito di nascondere e di deviare la verità delle indagini e dei fatti per coprire quello che è stato un vero e proprio meccanismo brutalmente bellicoso sfuggito ad un militarismo complottistico e segretato da un codice vile per il quale la vita di comuni cittadini non valeva nulla a confronto di una azione di guerra. Perché di guerra si è trattato.

Una guerra strisciante, nel pieno di un periodo storico dove i due blocchi, quello Atlantico, la NATO, e quello Sovietico, il patto di Varsavia, erano in piena battaglia ideologica e durante il quale l’equilibrio economico-politico mondiale era sempre più provvisorio e combattuto da interessi di dominio e indirizzato, laddove lo si riteneva opportuno, in logica a quella strategia della tensione che all’occorrenza tornava utile nel mettere al proprio posto ogni tassello. A chi poteva importare la vita di 64 passeggeri adulti, 11 bambini e 2 neonati?

Il clima nella cabina dell’aereo è disteso, l’equipaggio conversa piacevolmente. Domenico Gatti e il primo ufficiale Enzo Fontana si raccontano storielle. “Allora sentite questa…”. All’improvviso la conversazione nella cabina viene troncata, uno dei piloti non riesce nemmeno a finire una parola. “Guà…!”.
Poi più nulla.

Una strage che era servita a coprire segreti ancor più inconfessabili e sulla quale era di carattere urgente far cadere l’oblio o fare degenerare la verità in tante micro-bugie necessarie a screditare, omettere, nascondere e poi far dimenticare. L’Italia, le sue istituzioni politiche e militari, sono uscite da questo dramma con l’anima nera e con la perdita, forse per sempre, della propria credibilità.

Il titolo del lavoro di Nazio con quei due puntini tra U e S vuole legittimare una soluzione con la precisa intenzione di fornire un colpevole e svelare, come in un semplice arcano, che dietro la strage più depistata della nostra Penisola c’era una barbara collusione tra le forze politiche – militari della NATO, e quindi degli USA, e dell’Italia.

Quella notte il Dc9 non era solo a coprire la tratta che lo portava da Bologna a Palermo: nei radar, più precisamente nel cosiddetto Punto Condor, si registrava un affollamento incontrollato, inatteso e gravemente pericoloso. Per decenni la nostra Aeronautica ha mentito, negando quel traffico e soprattutto che il motivo per il quale il Dc9 non atterrò mai in Sicilia fu dovuto ad una collisione.

Anni di indagini, anni di implacabili menzogne e di depistaggio asfissiante, con perizie scritte a regola d’arte per scongiurare che si trovasse una briciola di verità, con militari collusi e omertosi, con generali che si nascondevano dietro il segreto di Stato, con giudici a brancolare nel buio e a scontrarsi con forze più grandi della stessa legge. Anni di sistemi messi fuori uso, di tracciati scomparsi, di radar non funzionanti.

Se pensiamo all’elenco dei centri di controllo da cui sono spariti letteralmente tabulati e registrazioni ne usciamo devastati: da Licola a Marsala, da Poggio Renatico a Poggio Ballone, da Potenza Picena a Punta Raisi, da Martina Franca a Grosseto a Ciampino.
Una messinscena perfetta, troppo per apparire, anche solo per un attimo, vera.
Ci si scontra e si glissa terribilmente sulla ipotesi più probabile, ovvero che l’aereo sia stato abbattuto a causa di una collisione o per un missile esploso nelle sue vicinanze nel corso di uno scontro tra velivoli militari di diversi Paesi americani, francesi, inglesi, italiani e libici. Proprio con l’istruttoria del giudice Rosario Priore si è giunti, nelle sue quasi cinquemila pagine, ad una ricostruzione da scenario di guerra.

Comunque, senza mai arrivare ai nomi dei colpevoli e con il tempo, nei procedimenti penali, si è definita l’assoluzione per tutti in maniera definitiva. Solo nei giudizi civili, in base al principio della “probabilità più elevata” i Ministeri della Difesa e dei Trasporti sono stati condannati al risarcimento, affermando che il Dc9 era stato abbattuto e, quindi, non messo in protezione.

Dalla lettura di queste pagine di Nazio ne esci affranto ma con la determinazione ancor più compulsiva di approfondire e di capire, senza annebbiamenti né facili catapulte verso cospirazionismi puerili: hai voglia, per dovere, di comprendere cosa è successo e, soprattutto, chi è stato.

Un dovere verso quelle 81 vittime e verso la storia, verso la parte buona del Paese, verso le future generazioni che devono imparare a credere e a costruire nella verità. Non avrà mai futuro un popolo che nasconde nelle segrete dei suoi palazzi la verità di eventi drammatici: bisogna che tutti sappiano per permettere di generare una rinascita e una pulizia morale. Per fornire alle istituzioni quella credibilità che oggi, ahinoi, è ancora indissolubilmente legata alle tante troppe stragi rimaste impunite.

Nazio scorre un legame, non impercettibile, tra la strage di Ustica e quella della stazione di Bologna nell’agosto dello stesso anno: dietro la mano implacabile di una strategia occulta dei poteri paralleli e di forze devianti con la precisa volontà di spiazzare la gente comune, impaurirla e quindi renderla innocua.

Fino ad arrivare a quanto accadde a Cermis nel 1998 quando un aereo militare statunitense della United States Marine Corps, volando a una quota inferiore a quanto concesso e in violazione dei regolamenti, tranciò il cavo della funivia del Cermis, facendo precipitare la cabina e provocando la morte dei venti occupanti. Anche in quel caso l’impunità regnò amaramente sovrana.

Ustica è una verità ben evidente nell’immediatezza dell’evento che si è in ogni modo cercato di nascondere. I cittadini di questo Paese, terribilmente colpiti nelle vite, negli affetti, nei confini non dovevano conoscere la verità.
Daria Bonfietti, Presidente Associazione parenti vittime strage di Ustica 

La strage di Ustica ha visto molte testimonianze non ascoltate, diverse costruite ad arte per sviare. Ci sono state circostanze oscure e fatti spiegati con un abominevole gioco di inganni trasversali. L’Italia genuflessa e rispettosa del patto Atlantico si scontra con l’Italia del lodo Moro: un trattato non scritto tra il governo italiano e l’FPLP, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, di George Habash.

Un accordo ancora oggi coperto dal segreto di Stato, che prevedeva il passaggio impunito di armi e terroristi sul suolo italiano in cambio di tenere fuori da ogni attentato o azione terroristica l’Italia. In questo cono d’ombra si inseriscono il Mig libico caduto sulla Sila, il Colonnello Gheddafi e un suo presunto attentato, preparato dagli Alleati ma non realizzato proprio grazie a uomini dei servizi segreti abituati a lavorare su più tavoli.

Si inseriscono le parole dell’allora Presidente del Consiglio e poi delle Repubblica, Francesco Cossiga, che insinuò che la colpa dell’abbattimento dell’I-Tigi fosse dovuta ad un missile lanciato da forze militari francesi. In questa camera oscura entrano in scena i depistaggi dell’Aeronautica di casa nostra che prima parla di un cedimento strutturale dell’aereo, poi, messa alle strette, lancia la tesi di una bomba messa a bordo. Tutto viene smontato ma nulla cambia: lo scenario dell’impunità respinge ogni volontà di onorare prima le vittime e poi la verità.

E ancora le morti sospette, i documenti spariti, le assenze costruite a tavolino, i vuoti di memoria. Ogni cosa volutamente messa in una filiera di ombre e di terribili silenzi, tra logiche di depistaggio e di barbari corto-circuiti. Solo dopo decenni dalla Nato arriva la conferma che il cielo non era assolutamente vuoto, come hanno sostenuto per anni i militari italiani: molti aerei erano in cielo, molti aerei erano nei pressi del DC9, c’erano segnali d’allarme, la situazione era complessa e pericolosa.

L’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto.
Rosario Priore 

Non è la parola fine, ma almeno una luce dal fondo di quel mare che inghiottì il Dc9 sta lentamente emergendo. Questo libro la rappresenta e cerca con una indagine coerente e lucida di dare voce a chi pretende legittimamente la verità.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.