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Tramonto occidentale

'Tramonto' - ph Ciro Astarita


Ogni civiltà sta in un rapporto profondamente simbolico e quasi mistico con l’esteso, con lo spazio in cui e attraverso cui essa intende realizzarsi.

Una volta che lo scopo è raggiunto e che l’idea è esteriormente realizzata nella pienezza di tutte le sue interne possibilità, la civiltà d’un tratto s’irrigidisce, muore, il suo sangue scorre via, le sue forze sono spezzate, essa diviene civilizzazione.
Oswald Spengler 

Soprattutto negli ultimi decenni pare che tutto il mondo, oramai, si sia abituato a bussare alle porte dell’Europa: come se volesse avere la meglio nel momento in cui quest’ultima si macera nella vergogna di sé.

Essa vive una sorta di masochismo che non è soltanto l’eccesso di pentimento, ma anche la tendenza a negare le proprie tradizioni liberali e repubblicane. Le élite europee non hanno più il coraggio di rivendicare la propria eredità politica e morale.

In particolar modo di fronte alla pressione che viene dal mondo musulmano, le cui autorità richiamano regolarmente gli Occidentali all’autocritica, ma restano mute davanti alle violenze perpetrate in nome dell’Islam.

Uno scambio autentico va detto, tra i due mondi non può esistere senza una mutua capacità d’autocritica.

La caduta del Muro di Berlino ha travolto le sinistre europee e una nuova ideologia ha soppiantato la lotta di classe con il conflitto delle identità. Negli anni Sessanta e Settanta ci si batteva per il proletariato, il Terzo Mondo e i dannati della terra, in nome di un’umanità riunificata: il femminismo mirava a restaurare l’uguaglianza tra donne e uomini, l’anticolonialismo a liberare colonizzati e colonizzatori da un reciproco rapporto di dominazione, l’antirazzismo chiedeva il rispetto per tutti i popoli.

Oggi queste battaglie tornano in Europa dagli Stati Uniti in una forma deviata che sposta i termini dello scontro sul campo del genere, dell’identità e della razza, e riporta il colore della pelle al centro del dibattito.

Tre nuove correnti di pensiero, neo femminista, antirazzista, anticolonialista, individuano un nemico comune nell’uomo bianco eterosessuale. Un capro espiatorio per eccellenza, il colore della pelle lo designa come un razzista, il potere come lo sfruttatore di tutti gli oppressi, la sua stessa anatomia come predatore per natura.

Bisognerebbe analizzare gli effetti di questi nuovi discorsi che celano il disprezzo per l’Illuminismo e l’umanità in generale e portano al riaffacciarsi sul mondo di società ripiegate sulla propria identità e alla sostituzione di fatto di un razzismo con un altro.

Stiamo assistendo, a mio avviso, al capovolgersi del progressismo in un nuovo oscurantismo.

Così l’uomo bianco viene identificato ad un essere malvagio, il Nord si è arricchito tenendo in catene i popoli del Sud e si è macchiato delle peggiori colpe mai commesse: colonialismo e imperialismo.

Perciò, a partire dal secondo dopoguerra, Europa e America hanno tentato di espiare il loro peccato originale nei confronti dei Paesi poveri dando vita a una sorta di religione secolarizzata, che scimmiotta il cristianesimo: il terzomondismo.

I fedeli di questa “chiesa” possono purificarsi proprio grazie al Sud, vittima innocente e quindi redentore di tutti i peccati del mondo. Ma questo corrisponde alla verità?

La cultura dell’odio di sé diffusa in tutto l’Occidente porta a guardare l’Altro lontano con un misto di compassione e solidarietà, plasmandolo secondo un ideale stereotipato. Eppure, si potrebbe avere un approccio positivo, un invito ad accostarsi allo straniero in modo schietto, senza ipocrisie o preconcetti, né pietismi o compassione, lasciandoci guidare dal senso dell’amicizia e dalla meraviglia, che dovrebbero essere propri di tutti gli esseri umani.

Mistificare o addirittura rinnegare la nostra eredità storica non offre una prospettiva privilegiata per capire meglio il Terzo Mondo o le altrui civiltà; al contrario, l’assurdo dilemma che impone di scegliere se amare una civiltà o un’altra rende ignoranti di entrambe.

Questo atteggiamento duramente ipocrita e oramai convenzionale lo vediamo applicato anche sul delirio che sta generando il tema clima: è chiaro che la Terra è malata, sovrappopolata, degradata; gli ecosistemi stanno per collassare; mutamenti climatici e cataclismi inauditi potrebbero seminare morte e distruzione.

Credo, però che identificare in noi i soli colpevoli, i soli sperperatori di risorse, consumatori accaniti, inquinatori seriali non migliori la situazione. I fanatici dell’Apocalisse, invocando, in nome di fosche previsioni ripetute con insistenza, la necessità di rinunce immediate e spietate autopunizioni collettive, dichiarano che per causa nostra le generazioni future riceveranno in eredità un ambiente impoverito e saranno costrette a rivedere drasticamente il loro stile di vita, se non addirittura a lasciare il pianeta.

Rientra in un canovaccio già noto, dai tempi di un cattolicesimo millenario con il suo contorno di pauperismo e culto della frugalità, fino agli strali marxisti contro il capitalismo e al disprezzo terzomondista per l’Occidente sfruttatore, ovviamente condannato all’autodistruzione.

Questo ecologismo intransigente, chiuso e ostile verso tutto ciò che è progresso, ci condanna a un presente di terrore e rinunce in nome di un futuro che forse nemmeno ci sarà. Non è tornando indietro che risolveremo i nostri problemi.

È senza dubbio importante salvaguardare l’ambiente in cui viviamo, ma lasciando spazio a un ecologismo audace, aperto e democratico, che sostenga un cambiamento affidato alla ragione più che ai fanatismi e al catastrofismo irrazionale.

Anche in questo caso l’accusa è stata lanciata soprattutto verso l’Occidente, visto come il bubbone malefico di questo pianeta. Oggi, ogni conquista è vista come una calamità, un’esplosione di malattie neurodegenerative, come se ci fosse il trionfo della casa di cura.

Esistono due ideologie che hanno soppiantato i totalitarismi: il declino e il catastrofismo. Entrambe consacrano la vittoria al disfattismo e decretano la morte del futuro, percepito come un orizzonte di terrore. Con la nostra civiltà occidentale più interessata alla sicurezza che alla libertà. E intorno abbiamo la globalizzazione e la desimbolizzazione delle civiltà che assumano significati concettualmente analoghi.

Eppure, la cultura simbolica serve a dare forza e energia vitale a una civiltà, consentendone la crescita. Agli inizi del Novecento l’Europa viveva nella venerazione dell’idea di progresso, che, sia pure attraversando alterne fortune, non ha mai abbandonato l’anima dell’uomo dell’Occidente.

Quest’uomo appariva trionfante, pronto a colonizzare con la sua idea di civiltà il mondo. Mai avrebbe immaginato che popoli ricchi di simbolicità un giorno avrebbero potuto minacciarlo e, forse, ferirlo a morte. Tanto da rendere la stessa Europa non è più il centro del mondo.

Non bisogna, però, ingigantire il fenomeno, anzi abbiamo il dovere di analizzarlo con coscienza, limitando al massimo i margini di errori. La cultura e la storia del nostro Occidente sono baluardi ancora forti e difficile da abbattere. I termini con cui si indica questo fenomeno sono diversi: malessere, crisi, caduta, tramonto. Ma tale stato di crisi non necessariamente conduce al declino e alla caduta. Le crisi possono contribuire a uno sviluppo graduale delle istituzioni.

Possono essere oggetto di rinnovo e di rinascita. Ci si può chiedere se le modificazioni che stanno intervenendo, piuttosto che andare nel senso della disunione, non vadano nella direzione della unità del mondo, come dimostrato dagli sviluppi della tecnologia e degli interventi sul clima, che richiedono tutti interventi cooperativi: il declino ecco che può spingere a maggiore cooperazione tra le nazioni.

Allora, più che ad un tramonto si potrebbe assistere ad una nuova alba del nostro Occidente.

Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fede, arti Stati, scienze; essa allora si riconfonde con l’elemento animico primordiale.

Ma finché essa vive, la sua esistenza nella successione delle grandi epoche, che contrassegnano con tratti decisi la sua progressiva realizzazione, è una lotta intima e appassionata per l’affermazione dell’idea contro le potenze del caos all’esterno, così come contro l’inconscio all’interno, ove tali potenze si ritirano irate.
Oswald Spengler

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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