‘Touch’: perché la memoria deve durare tutto l’anno e non solo un giorno
Riceviamo e pubblichiamo da Agenzia Toscana Notizie.
La memoria può essere a volte offuscata. Ma basta poco, anche solo un po’ di energia e calore umano per strofinare ad esempio una cartolina annerita che pende dal soffitto, per togliere quel velo che la nasconde e ravvivarla. È quello che magicamente succede nella mostra ‘Touch’ ospitata all’interno di Didacta, la fiera sull’innovazione e il futuro della scuola che ha aperto i battenti alla Fortezza da Basso a Firenze.
La memoria in questo caso è quella che ha che fare con lo sterminio nazista e i lager dove furono deportati e morirono a milioni. La Regione Toscana organizza dal 2002 un viaggio con gli studenti delle scuole superiori ad Auschwitz, preceduto e seguito da approfondimenti e iniziative nelle scuole. Un treno carico di oltre cinquecento studenti, partito fino al 2005 tutti gli anni e dal 2007 ogni due. Undici volte in diciotto anni. Oltre settemila adolescenti coinvolti.
Le ragazze e i ragazzi, da qualche edizione, portano con sé e per tutto il viaggio un nome, consegnato alla viglia e gridato al vento nel silenzio e nel gelo di Birkenau: un nome e una storia di chi il lager si è inghiottito, un nonno o una nonna che non c’è più e da adottare, un fratello o una sorella che non ha fatto a tempo a crescere, bambini a volte di pochi mesi o anni.
Pietro Cagna e Giulio Malfer, assieme alla Regione Toscana e con il patrocinio del Ministero ai beni culturali e del turismo, hanno fotografato gli studenti con quel nome scritto su una garza srotolata, tra la neve e il freddo dei campi di sterminio.
E così è nata la mostra ‘Touch’, che ci ricorda che la memoria ha bisogno di essere frequentata e di un passaggio di testimone tra generazioni. Basta poco a volte: anche semplicemente portarsi a casa una di quelle cartoline che pendono dal soffitto e ogni tanto strofinarle, per far riemergere dal nero una vecchia foto e dare un volto, una storia e un nome ai numeri dello sterminio. Perché la memoria deve durare tutto l’anno, come raccontava ogni volta agli studenti il sopravvissuto Shlomo Venezia, e non solo un giorno.