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Ti sfoghi inutilmente?

sfoghi


Sfatiamo una vecchia credenza

Non inizio con l’abituale “sfatiamo un mito”, poiché i miti non vanno sfatati, semmai vanno compresi dopo averne interpretato il linguaggio simbolico.

Inizio perciò con “smantelliamo una bugia pericolosa”, poiché mentre i miti nascondono insegnamenti di vita importanti, le bugie pericolose possono anche essere fonte di morte.

Si usa dire:

Ma che vuoi che siano le parole offensive nei social, in fondo si tratta di semplici sfoghi! Non lo sai che sfogarsi fa bene alla salute, poiché dopo ci si sente meglio?

No, non lo so, ma non perché io sia ignorante in materia, bensì perché la scienza stessa ritiene falso questo modo di intendere gli sfoghi.

Il fatto che una teoria sia diffusa non significa automaticamente che sia anche veritiera.

In alcuni momenti specifici la collera può davvero essere un favorevole momento catartico, ma solo quando ci si rivolge direttamente all’individuo che ha commesso un’ingiustizia, oppure quando si rimprovera energicamente qualcuno per impedirgli di compiere qualcosa di male, senza assumere ovviamente toni da rappresaglia.

Tuttavia, anche se con giusta ragione, dal momento che l’ira è comunque di natura incendiaria, non è affatto scontato che il fuoco, dopo lo sfogo, si spenga.

Già negli anni cinquanta fior di psicologi scoprirono che dare libero sfogo alla propria rabbia contribuiva in minima misura a dissiparla, ma non solo, il più delle volte, si finiva per rialimentarla.

Pensare di poter raffreddare un incendio nutrendolo con altro fuoco è da folli, e lo sa bene il cuore con tutta la pressione arteriosa.

La scienza ha constatato che quando ci si sfoga aspramente aumentano le pulsazioni cardiache e si corrono maggiori rischi di infarto.

La stimolazione del cervello emozionale in negativo produce ricordi che si riaffermano con prepotenza, prolungando l’irritabilità e il nervosismo.

La cosa migliore è lasciare raffreddare la collera e semmai, solo dopo, con calma, affrontare la persona con cui ci si è adirati.

La psicologia tibetana dice al proposito:

Non reprimere la rabbia, non sopprimerla, ma, allo stesso tempo, guardati bene dal reagire quando sei sottomesso dal suo impulso. Osservala. Prendi coscienza che c’è della rabbia in te, ma che tu non sei quella rabbia. Non dire che sei arrabbiato quanto piuttosto che la rabbia sta attraversando i tuoi pensieri, la tua mente.

In questo modo si crea un distacco, una disidentificazione.

È come vedere un incendio guardandolo dalla finestra; sai che qualcosa sta andando a fuoco ma sei anche consapevole di non essere tu quel fuoco.

Se invece lasci che il fuoco arda dentro di te, fino a scoppiare di collera, non solo provocherai danno a chi ti è vicino, contagiandolo con la tua ira, otterrai anche l’effetto che si ottiene facendo scoppiare un petardo tenendolo stretto in pugno, finirai per ustionarti con le tue stesse mani.

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Autore natyan

natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.

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