Intervista in esclusiva con uno dei grandi protagonisti del teatro contemporaneo
Serata particolarmente fruttuosa quella di lunedì. Un premurosissimo amico si è speso per me parlando a Tato Russo dell’intenzione d’intervistarlo e lui, gentilmente, mi ha fatto avere il suo numero privato. Inutile dire che è un privilegio. Passare per il suo Ufficio Stampa avrebbe significato allungare i tempi in maniera spropositata, data la ressa di giornalisti che tenta invano di agganciarlo.
Lo chiamo subito, risponde dopo pochi squilli. Si mette a disposizione per incontrarci l’indomani al Teatro Gelsomino di Afragola dove va in scena con il suo famosissimo Menecmi.
Arriviamo con largo anticipo e, inconsapevolmente, ci fermiamo nella stessa caffetteria che ha scelto lui.
Decidiamo di non disturbarlo, tanto lo incroceremo a breve. Quando è ora ci avviamo al luogo dell’appuntamento. Il palcoscenico ovviamente è già allestito. Imponenti i segni di una città in declino che finge di essere ancora in auge: colonne spezzate e parti di statue da un lato, abitazioni romane dall’altro.
Tato Russo ci riceve nel camerino con estrema puntualità.
Quando ci si trova di fronte ad un tale innovatore non è facile riuscire a descriverlo in modo preciso e dettagliato. È pressoché impossibile categorizzarlo in uno schema fisso: troppo poliedrico.
Non voglio relazionarmi con l’artista, il mattatore indiscusso, l’anfitrione; voglio scavare nella sua personalità per far emergere il suo vero io. Insolitamente non lo subisso di domande, con lui non è l’approccio giusto.
Gli pongo pochi quesiti, a rischio di sembrare timida, io che timida non sono affatto. Preferisco che si racconti da sé, seguendo il flusso dei suoi pensieri. Ma lo osservo attentamente, ne studio sguardo, postura, respiro.
Balza subito all’occhio ciò che anche il più stolto noterebbe: carattere determinato, dominante, plurisfaccettato. L’animale da palcoscenico nel backstage si trasforma in un uomo dai toni più pacati, sommessi, meno appariscente, ma altrettanto affascinante e profondo nelle sue riflessioni. Parla del suo rapporto complesso con Napoli che ama a distanza. L’attaccamento alle tradizioni, ai valori partenopei è fortissimo, ma al contempo, non lo appaga appieno, non riesce a dar sfogo alla sua molteplicità. I valori radicati devono essere preziosamente conservati per aiutarci a proseguire lungo il nostro cammino, qualunque sia la meta, ci dice, così come Enea in fuga da Troia in fiamme che sorregge il vecchio Anchise sulle spalle, quando invece sarebbe più facile scrollarselo di dosso e abbandonarlo.
Napoli è per lui un corollario indispensabile di esperienze, ma non l’ultimo; riesce ad esprimersi al meglio solo allontanandosene, eppure sente sempre il bisogno di tornarvi. Ci parla, quasi con rammarico, del fatto che i suoi due figli piccoli non hanno la fortuna di crescervi per assorbirne l’essenza, raccogliere e custodire gelosamente memorie e ricordi. Non potranno serbarli in quel contenitore metaforico che è la valigia che ci si porta dietro nell’eterno viaggio della vita. Quello stesso bagaglio che Tato Russo riapre all’occorrenza dando libero corso ai pensieri, così come compaiono nella mente, per ritrovare se stesso con nuove consapevolezze acquisite: emozioni, sentimenti, passioni. Sensazioni, queste, che per il regista sono sempre stimolanti, necessarie, produttive per la sua arte.
Lui che nasce e cresce in un quartiere popolare per trasferirsi poi, con la famiglia d’origine, al Vomero, ci tiene ad incatenare a sé i mille colori dei rioni rumorosi ed espressivi, la loro intensità ed esuberanza, il loro estremo calore. Si laurea in giurisprudenza, ma non dimentica le origini, anzi, le coltiva, le sviluppa, rendendole feconde nelle sue opere, utilizzando un plebeismo fortemente comunicativo.
L’ossatura dei suoi Menecmi racchiude così, in un sapiente equilibrio, elementi ossimorici, ma indispensabili ad esprimere la ricchezza del reale. Eppure, va oltre. Plauto da solo non riesce a soddisfare la sua vena artistica; gli viene in aiuto Shakespeare. Ne scaturisce una fusion singolare, brillante, originalissima. La scelta dell’italiano nell’opera è dettata appunto dal voler mostrare il microcosmo ambivalente che inscena. Commedia di equivoci, ambiguità, incomprensioni e fraintendimenti, i Menecmi è ambientato in una Napoli antica, Neapolis, in cui i due gemelli appaiono veramente completi solo se rapportati, in modo stridente, l’uno all’altro: l’avvocato colto e raffinato e il suo gemello rozzo e lascivo. Teatro, metateatro, realtà illusoria e finzione s’intersecano di continuo: il risultato è decisamente suggestivo. Grazie al suo estro Tato Russo riesce a conciliare le contraddizioni in modo sublime.
Più di seicento repliche in venticinque anni. Con gli spettatori che tornano a vederlo per scoprire che sorpresa ha riservato loro in una rappresentazione che cambia di volta in volta.
Ci racconta un simpatico aneddoto. Alla fine di una sua esibizione uno spettatore lo raggiunge per complimentarsi. Gli racconta che queste stesse impressioni positive le ha avute una sola volta, anni prima, assistendo ad una piéce diversa in tutto, per stile ed interpretazione. Ne è rimasto particolarmente colpito, tanto da definirla come la cosa più bella che abbia mai visto a teatro. Purtroppo non riesce a ricordare chi ne sia stato il bravissimo protagonista. Inizia a condire il racconto con una serie di dettagli che aiutano Tato Russo a svelare che l’artista in questione è egli stesso.
Nomina poi molti dei validi attori che lo hanno accompagnato in quest’avventura nel corso del tempo e si sofferma, giustamente, sul cast attuale, riservando per ognuno una parola di sincero apprezzamento. Clelia Rondinella, nel ruolo di Erozia; Marina Lorenzi, Dorippide; Renato De Rienzo, Mosco; Massimo Sorrentino, Spazzola; Salvatore Esposito, Cilindro; Giorgia Guerra, Luciana; Eva Sabelli, il Prologo; Olivia Cordsen, Fisicle; Ashai Lombardo Arop, Fosicle; Lorenzo Venturini, il Medico; Rino Di Martino, Messenione; Livio Galassi, regia; Zeno Craig, musiche; Tony Di Ronza, scene; Giusi Giustino, costumi.
Il discorso pian piano si amplia. Lamenta la perdita della maestria e genialità di un tempo, sottolineando l’attuale superficialità ed approssimazione in ogni ambito. L’attenzione, la cura, l’accortezza dei dettagli vengono sacrificati in nome del profitto. La qualità come strategia di competitività è del tutto inesistente. Ce ne offre un esempio lampante: alcune sale, architettonicamente, non si prestano a determinati tipi di scenografia e devono essere per questo tagliate. Così come non sono adeguati i quattro teatri costruiti nell’Italia del dopoguerra che, per meri motivi economici, puntano ad ospitare quante più persone possibili senza tener in opportuno conto l’acustica, la visione, la comodità, facendo perdere parte della magia dello spettacolo. Ci parla della profonda crisi che attraversa, inevitabilmente, anche l’universo teatrale. Il vero attore, si sa, è quello che si reinventa ogni sera sulla palco, che non può permettersi di ripetere le battute, che non può sbagliare se non vuole essere etichettato in modo improprio. Eppure, il personaggio televisivo spesso lo sovrasta per fama e popolarità. Si auspica che il teatro possa riscoprire la sua fondamentale funzione culturale e sociale consentendo a chi non vi si accosta mai di educarsi all’arte. L’amarezza è tanta, ma un combattente come lui, fiero della stima del suo affezionato pubblico, non demorde perché conscio di essere un vincente.
Tato Russo reinterpreta l’arte scenica in modo intimistico, rivoluzionario, fantasioso, carismatico, sempre alla ricerca di approfondimento e continua crescita interiore. Comicità, sofisticata e surreale accompagnata da un ritmo incalzante si, nei suoi Menecmi, ma anche una riflessione seria sul dualismo umano.
Ci congediamo mentre lui raccoglie tutta la sua concentrazione per il tour de force che lo aspetta. Poco meno di due ore di spettacolo in cui, camaleontico e trasformista, alternerà vesti logore a mantello sontuoso, passando, con naturalezza estrema, come se fosse assolutamente semplice, tra i ruoli opposti dei gemelli.
Non c’è che dire, la chiacchierata che ci ha concesso è stata illuminante.
Prossimi appuntamenti in Campania dei Menecmi |
20-22 Marzo Pompei |
24 Marzo Portici |
25 Marzo Torre Annunziata |
26 Marzo Benevento |
27 Marzo Lacedonia |
28-29 Marzo Salerno |
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.