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Sull’orlo di una crisi di nervi

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Donne sull'orlo di una crisi di nervi


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L’incertezza è il peggiore dei mali, fino al momento in cui la realtà ce la fa rimpiangere.
Alphonse Karr 

Parafrasando un film cult di Pedro Almodòvar, siamo quasi tutti sull’orlo di una crisi di nervi. La realtà attuale ci pone davanti ad uno scenario senza certezze e orizzonti. Un delirio infinito che ci continua a torturare tra cadute e risalite, tra paure e speranze. È oramai evidente che il futuro sarà imprevedibile e che dovremo imparare a convivere con l’incertezza.

La pandemia ha ridimensionato le abitudini di vita e, di conseguenza, tanto la sfera personale, quanto quella professionale, hanno subito importanti cambiamenti, anche in dipendenza della precarietà del presente e soprattutto del domani.

Due anni di emergenza sanitaria, ancora in corso, una guerra che rasenta il terrore mondiale, una crisi economica che annienta aziende e capitali: lo sgomento è dentro di noi. Un macigno che ci sovrasta.

E sì perché il Covid ha fatto balzare via ogni pronostico, neppure la macro-economia è capace di calcolare la ricaduta esponenziale di un’emergenza all’insegna dell’imprevedibilità. Infatti, già si parla di “pandemia dell’incertezza”, accanto a quella sanitaria. L’arrivo del virus ha amplificato il problema “futuro”, cancellando pressoché tutte le indicazioni e i nostri orientamenti, contemporaneamente la situazione si fa sempre più grave perché il livello di rischio diventa ogni volta più alto e anche le situazioni più banali richiederanno decisioni sempre più complesse. Il futuro appare fuori controllo, incombe sulle nostre spalle.

Il rimedio populista placa l’ansia, il timore e la paura di restare schiacciati. Insomma, è tutto in gioco e non poter programmare il futuro riguarda tutti, nelle piccole e nelle grandi scelte, dalle strategie economiche e politiche fino alle piccole decisioni quotidiane.

È vero che ogni epoca e ogni periodo storico hanno avuto le proprie sfide, che venivano considerate mai viste prima e quasi insormontabili dai contemporanei, poiché le incognite non mancavano.

Nel presente l’essere umano è infatti afflitto dall’idea del futuro come un’ombra che follemente ci danza sul cuore. In genere, si è impreparati a convivere con l’indeterminatezza, abituati a credere che qualsiasi rischio possa essere superato ricorrendo ai sistemi di prevenzione o di sicurezza.

Diceva Nietzsche:

perché tutto ciò che ha un inizio, non può essere conosciuto se non in seno all’incertezza.

L’incertezza, infatti, è una delle maggiori costanti della vita umana. Genera una paura e una forma di timore profondi fin dal nascere della coscienza del sé mentre tutto il contesto sociale e ogni tipo di cultura appaiono predisposti e ordinati per cancellarla, oppure nasconderla.

Allora la chiave è scavare dentro se stessi, alla ricerca della sicurezza interiore. Osare partire alla ricerca del mondo e accettare che sorga l’imprevisto: potrebbe essere questa la più grande lezione di vita.

Oggi guardiamo alla paura come figlia della solitudine. Nessuno si salva da solo, perché nessuno esiste, se non esiste l’altro. Tutti questi eventi stanno dimostrando che non siamo invincibili e, alla fine, la fragilità ci accomuna, è parte della condizione umana che non possiamo cambiare. Solo ammettendo di aver bisogno l’uno dell’altro, possiamo generare forza e unione. Ed è bene pensare che la contemporaneità è l’unico tempo in cui possiamo vivere.

Va ammesso che la globalizzazione e gli sviluppi impetuosi della scienza e della tecnica generano la disintermediazione della democrazia e riplasmano la nostra vita, provocando solitudine involontaria e spaesamento. Il futuro è illeggibile e sembra precipitarci addosso.

In questi momenti occorre tenere alta la speranza e la volontà di credere a ciò che si è fatto. Certo che la categoria dell’incertezza permea la visione di questo mondo e, in particolare, proprio quelle scienze che solitamente sono chiamate “esatte”. Le informazioni sul mondo, infatti, sono frutto di osservazioni e misure che hanno sempre un margine di incertezza. Questo può essere valutato e ridotto, ma mai eliminato del tutto, perché trae origine da fluttuazioni casuali, che accompagnano inevitabilmente i fenomeni naturali e le stesse procedure osservative.

E dalla consapevolezza dell’ineluttabilità dell’incertezza scaturisce la necessità di ripensare e valorizzare le idee e gli strumenti che ci permettono di comprenderla e di governarla, interpellando la scienza, l’arte e la cultura a ogni livello. E sbaglieremmo di grosso se andassimo a cercare di individuare un capro espiratorio: la costruzione del capro espiatorio nei momenti di grave crisi e difficoltà, come avviene nelle epidemie e nelle guerre, ma non solo, appare pertanto come una caratteristica costante del genere umano.

Una sorta di maledizione a impedire l’uso compassionevole della ragione e che spinge come effetto non secondario a rifugiarsi nella barbarie. Quando oggi ascoltiamo le proposte e le dichiarazioni di alcuni e ben precisi uomini politici e “statisti” possiamo ancora rendercene conto.

Eppure, secondo Bauman non bisognava avere paura dell’incertezza, perché per lui l’intero universo viveva governato da contingenze, accidenti e coincidenze. Non esistevano regole. E dalla disperazione possono nascere le utopie: queste si nascondono da qualche parte nel futuro. Sono oniriche ma reali, visionarie ma concrete. Le utopie magari non sono ancora esistenti, non ancora conosciute, non ancora esplorate e restano intuite solo da qualche navigatore solitario.

E non bisogna avere paura del futuro, esso contempla quello che saremo no quello che siamo. Serve allora ricordare che la fragilità della posizione sociale che ci siamo conquistati dopo una lunga vita di lavoro e che ci troviamo a proteggere, l’impossibilità di prevedere cosa accadrà domani, il sospetto che qualunque cosa porti con sé il futuro non sarà migliore di ciò che c’è oggi, ma forse sarà peggiore, il senso di impotenza non potranno mai essere cancellati. Con loro dobbiamo crescere e da loro dobbiamo partire, imparare e da loro dobbiamo sopravvivere.

Anche se conoscessimo il segreto ultimo di ogni cosa non potremmo, probabilmente, fare molto. Le cose accadono a prescindere, siano positive siano negative. Alla fine, resta che pensare al futuro fa parte della natura umana. Ma spesso e volentieri, il domani diventa un’incognita spaventosa e piena di insidie, che rende difficile e doloroso vivere il presente e impedisce di cogliere le opportunità che offre. Prima che di danzare sull’abisso, dovremmo camminare sulla terra e, a piedi nudi, abbracciare le nostre paure sognando consapevolmente il futuro che verrà.

I tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Questi tre tempi sono nella mia anima e non li vedo altrove. Il presente del passato, che è la storia; il presente del presente, che è la visione; il presente del futuro, che è l’attesa.
Sant’Agostino

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.