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Ancora sull’assolutismo giuridico



Ossia: della ricchezza e della libertà dello storico del diritto – Paolo Grossi (1984)        

Assolutismo giuridico, monopolizzazione del giuridico da parte dello Stato, è il frutto tipico dell’età borghese, dell’età del liberalismo economico, cui la bassa retorica dei luoghi comuni della cultura corrente assegna unicamente il volto di un mondo di conquiste libertarie, età di libertà, età di diritti. Lo storico del diritto per Grossi ha il privilegio di assumere una funzione stimolatrice, eminentemente critica; ha il ruolo di coscienza critica accanto al cultore del diritto positivo, di soggetto che è chiamato alla scomoda funzione di mettere in crisi le sue indiscusse certezze, scuotendo le sue immobili saldezze. La pienezza del diritto moderno quale assolutismo giuridico; assolutismo giuridico è uno schema interpretativo che tende a mettere in luce le conseguenze negative delle concezioni giuridiche borghesi. Il terzo stato al potere ha il merito non secondario di avere intuito che tutto il diritto interessa al detentore del potere politico e che è nel monopolio della produzione giuridica la garanzia prima e più valida per quel potere. Dinanzi a un diritto ormai tutto identificato nella volontà statuale, ci si è beati di fonti chiare e certe, limpide nel dettato, robustamente pensate (per es. il Côde civil), fondate su un ammirevole sapere tecnico, e non si è riflettuto abbastanza su due conseguenze gravissime: il diritto si identificava ormai nel solo diritto ufficiale, e, come tale, tendeva sempre più a formalizzarsi, mentre un confine compatto veniva ad erigersi fra il territorio del diritto e quello dei fatti; la società civile continuava ad essere depositaria della produzione giuridica solo nella favola-finzione della democrazia indiretta sbandierata dalla ossessionante apologetica filo-parlamentare, ma nell’effettività ne restava clamorosamente espropriata; “il diritto veniva sradicato dalla complessa ricchezza del sociale per legarsi ad una sola cultura, impoverirsi ed immedesimarsi sgradevolmente nella espressione del potere e della sua classe detentrice”. Assolutismo giuridico significa tutto questo, ma per lo storico significa soprattutto inaridimento: il rigido monismo dettato da imperiosi principi di ordine pubblico impedisce una visione pluriordinamentale e, di conseguenza, pluriculturale, concependo un solo canale storico di scorrimento munito di argini tanto alti da evitare immissioni e commistioni dall’esterno. La regola, la norma, si genera in quel solo corso; il regolare, il normale su quello si misura. Tutto il resto ha due condanne pesanti: l’illecito o l’irrilevante. Occorre prendere atto anche dell’altra faccia di quella testa bifronte che è la codificazione del diritto privato (manifestazione prima e suprema del diritto borghese) e la generale panlegificazione; segnalare la complessità del grande fenomeno “codificazione”, il più grande nella storia giuridica dei paesi di civil law; segnalarne le sue molteplici implicazioni anche negative per la storia del diritto moderno proprio in grazia del suo carattere normale di monopolizzazione da parte dello Stato del meccanismo di produzione del diritto. Per l’ordine giuridico borghese, il diritto privato assume infatti una valenza nuova, una valenza costituzionale, squisitamente fondativa di quell’ordine. Proprietà e contratto, divenuti ormai cardini anche politici del nuovo regime, non potevano essere rimessi ad un ricco ma incontrollato proliferare di usi che dottori e giudici si impegnavano a ridurre in ampi schemi categoriali; dovevano, anzi, essere rigorosamente controllati anche per garantire al nuovo cittadino quello spazio libero preteso dal ceto borghese verso il potere politico e ben segnato nel patto segreto generativo del nuovo Stato. La garanzia più solida consisteva nella statalizzazione del diritto privato, nel vincolarlo alla voce più diretta dello Stato: la legge. Si costruì così il mito della legge come norma di qualità superiore, gerarchicamente primaria: l’espressione autoritaria e centralistica della sovranità dello Stato venne stimata come l’unica espressione possibile della volontà generale; dunque di fronte ad essa si dileguarono le fonti plurali su cui si era retto il vecchio ordine, usi, opinioni di dottori, sentenze di giudici, invenzioni di notai; e il diritto si raggrinzì in legge. Al posto del vecchio pluralismo giuridico si sostituì un monismo rigidissimo di valenza costituzionale immersa nel diritto naturale. Il giusnaturalismo, con le sue favole apparentemente ingenue, ma che modellavano il diritto in una modellistica ferrea, fu chiamato a fondare il nuovo diritto del nuovo Stato, dando vita a quella antinomia che è alla base della storia del diritto moderno e che potrebbe essere colta nel passaggio dal giusnaturalismo al giuspositivismo, nelle fondazioni indubbiamente giusnaturalistiche del moderno giuspositivismo. Il ruolo della legge nel complessissimo ordine giuridico moderno e il principio di legalità per Grossi non sono in discussione. Occorre però sottolineare che legislatore, legge e legalità appartengono a quel ristretto novero di idoli, venerati e non discussi, che dominano sovrani nella mitologia del secolarismo moderno; idoli che, proprio per la loro appartenenza ad una civiltà secolarizzata, devono imporsi con un loro proprio carattere di assolutezza ed indiscutibilità, ed esigono un’accettazione passiva. È una tale passività che oggi è culturalmente inammissibile per il giurista; occorre liberarci dall’idea nefasta del valore taumaturgico della legge, cioè di una giuridicità pensata e risolta come legalità. Parlando di assolutismo giuridico non si vogliono ingenerare diffidenze o disprezzo della legge; piuttosto dar voce al disagio per un ruolo smisurato della legge, per l’opera troppo spesso incontrollata del legislatore, questo personaggio ideale del nostro paesaggio giuridico, ingombrante e onnipresente, cui l’assolutismo giuridico ha garantito per troppo tempo fino all’immediato ieri, immunità e indiscutibilità. La forzosa collocazione del diritto all’ombra dello Stato, ente unitario, creatura monocratica essenzialmente vocata al controllo della pluralità sociale e alla contrazione della pluralità ad unità, provoca una semplificazione dell’universo giuridico. “Occorre recuperare un sostanziale pluralismo giuridico per ritrovare una ricchezza perduta o almeno dimenticata”. Assolutismo giuridico significa una società giuridica che perde la percezione della complessità; una civiltà giuridica che è diventata un ordine semplice, estremamente coerente nelle sue linee essenziali, forte di una sua logica rigorosa, ma “troppo poco sensibile al divenire e soprattutto al mutamento”. Il problema del divenire dell’ordine giuridico è deformato e rattrappito se diventa “il problema delle lacune dell’ordinamento giuridico”, perché continua a portare innanzi una visione statalista e chiusa, sorda a percepire la complessità dell’universo giuridico e, pertanto, incapace di ordinarla adeguatamente. Occorre sbarazzarsi dell’ingombrantissimo art. 12 delle preleggi al Codice del ’42 palesemente contrastante con i valori pluralistici della Costituzione repubblicana ed eliminare anche quel principio di gerarchia delle fonti che non corrisponde più né allo stato dell’odierna consapevolezza giuridica, né allo stato attuale delle nostre fonti proiettate in una realtà pluridimensionale, fonti messe in crisi dalla “globalizzazione giuridica”. Oggi, momento non facile per il giurista, è però anche il tempo di un suo rinnovato ed intensificato ruolo. La crisi delle fonti, cioè del sistema tradizionale delle fonti, per Grossi, toglie certezze, provoca instabilità, però apre il paesaggio giuridico, disseppellisce i giuristi dai sepolcri in grazia del loro sapere specifico, come personaggi che sanno di diritto. È un momento non facile che impegna il giurista ad un cambio di psicologia, ad abbandonare la sua proverbiale pigrizia che lo ha visto per troppo tempo soddisfatto all’ombra del legislatore. Non un giurista trasformato e snaturato in un politico, bensì un giurista che sfrutta appieno le potenzialità dell’interpretazione della norma ufficiale e formale alla luce dei tempi, con lui come “insostituibile mediatore fra la immobilità del testo e la mobilità della società”, erede legittimo dello iurisperitus romano e medievale e del common lawyer. L’assolutismo giuridico, per Grossi, appartiene ad un passato da contemplare come definitivamente racchiuso nell’urna dei due secoli appena trascorsi.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.

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