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Storicità del diritto 2 – Seconda parte



Occorre recuperare il diritto alla fisiologia del sociale; il diritto appartiene all’esperienza quotidiana, è dimensione di ogni civiltà storica; occorre recuperare il diritto alla carnalità della storia. Il diritto è necessariamente una realtà impura perché si intride di valori, passioni, interessi. Esso si legittima solo in quanto espressione delle ideali fondazioni con cui una civiltà si è costruita storicamente.

Occorre anche un recupero pluralistico. Il mondo giuridico dell’illuminismo e della rivoluzione francese era rigorosamente monista perché fondato su uno Stato inteso come unità compattissima, come l’unico produttore di diritto, monopolizzatore della produzione giuridica. Nel ’900 si è preso finalmente coscienza che lo Stato è sì il normale, ma non il necessario produttore del diritto. L’imputazione alla società e alla complessità delle forze sociali più che ad un apparato di potere, ha permesso così la riscoperta di un sostanziale pluralismo giuridico. Il diritto è stato fortunatamente svincolato da quell’immedesimazione con il potere politico ritenuta necessaria nell’ordine borghese: in uno stesso territorio e in uno stesso regime politico si possono avere diversi e conviventi ordinamenti giuridici. Bisogna però recuperare anche la fattualità: “siamo stati orgogliosi di separare con un’impenetrabile muraglia, fatti e diritto, il giuridicamente rilevante dal giuridicamente irrilevante”. Il diritto non costringe la società, piuttosto la esprime nel modo più fedele. “È, insomma, un diritto vivente che dobbiamo riscoprire”. Il procedimento di formazione del diritto non si conclude affatto nel momento in cui il legislatore si spoglia della legge con l’atto formale della promulgazione. “Vi è un momento successivo, vivo del processo formativo della giuridicità che va recuperato”. È lampante che stiamo vivendo oggi la sua piena rivalutazione: non è qualcosa di estraneo rispetto ad un diritto già concluso e conchiuso; il procedimento di produzione continua oltre la promulgazione, e l’interpretazione/applicazione è il suo momento finale ma ad esso assolutamente interno. Il rapporto fra testo normativo ed interprete, ridotto dalla codificazione ottocentesca e dall’ideologia a essa sottesa, ad un rapporto di esegesi, di servile ossequio verso un testo bisognoso di un’ortopedia logica, con un interprete ridotto a innocuo ma sterile glossatore, diviene intermediazione fra testo e vita sociale; con l’interprete che recupera il suo carattere attivo, specchio e coscienza di esigenze che possono non essere identiche a quelle pressanti al momento della produzione della norma. L’interprete si trasforma nella garanzia della storicizzazione della norma. Se la storia è sempre mutamento, quella che viviamo oggi è percorsa da una mutazione sociale, economica, tecnica caratterizzata da una frenetica rapidità che fa sì che lo strumento “legge”, l’opera del legislatore, lo stesso Stato siano incapaci di ordinare un qualcosa che necessariamente sfugge all’immobilizzazione prevista e voluta dagli apparati di potere. Ecco la crisi delle fonti. “Oggi abbiamo il dovere di dubitare di quel principio di gerarchia delle fonti che ci veniva insegnato come dogma, perché non più rispondente con la vita attuale”. Il diritto sta ritornando ai giuristi, a coloro che sanno di diritto, che hanno la competenza per potersene occupare. Quei giuristi che l’illuminismo giuridico aveva ridicolizzato, estromesso, spregiativamente esiliato, oggi tornano a essere i veri protagonisti. I giuristi non si lasciano intimidire dalla superbia del potere, fanno coraggiosamente il loro mestiere e cominciano a disegnare un tessuto di principi, cioè di categorizzazioni generali ma duttili, disponibili ad impossessarsi dei fatti economici e sociali futuri. È la grande funzione della scienza: disegnare categorie che, utilizzando la ricchezza della tradizione, siano proiettate alla costruzione di un futuro che sia veramente tale. Oggi il pluralismo investe formalmente il sacrario delle fonti, e il paesaggio giuridico è segnato da un fenomeno crescente di “moltiplicazione e di de-tipicizzazione delle fonti“. Oggi al vecchio paesaggio gerarchico della visione piramidale, si contrappone l’immagine della rete, che proviene dai laboratori di sociologi e politologi, una rete che sottolinea non già rapporti gerarchici, bensì solo interconnessione tra le fonti. C’è necessità oggi, di vistose supplenze di fronte alle assenze dello Stato, alla sordità, all’impotenza dei legislatori. E la globalizzazione giuridica non è altro che un atto di supplenza. I grandi potentati economici non si arrestano di fronte ad impotenze, sordità, lungaggini dei poteri ufficiali, ma producono diritto. Se prima il potere politico aveva preteso il monopolio del giuridico, ora tutto si sta pluralizzando e accanto ai canali ufficiale degli Stati e delle organizzazioni sopranazionali vediamo emergere e rafforzarsi quelli privati, che corrono paralleli ignoranti degli Stati e ignorati dagli Stati. La rivoluzione francese è stata un evento formidabile che ha segnato la storia giuridica continentale di una discontinuità profonda, tanto da porsi come cippo confinario tra due modi intensamente diversificati di concepire e vivere il diritto. In Inghilterra, con inalterata continuità, si è mantenuto un assetto giuridico sostanzialmente medievale, il common law, con al centro il protagonismo di un ceto di giuristi, soprattutto i giudici. Sul continente, invece, si è instaurato con il civil law, un rigido controllo della giuridicità da parte del potere politico, con precise e decise conseguenze: applicazione dogmatica del principio di divisione dei poteri, gerarchia delle fonti, assillante legalismo, codificazione di tutto il diritto, esasperato riduzionismo, ossia l’ordine giuridico ridotto a comandi autorevoli immobilizzati in testi cartacei. Oggi che il Regno Unito è all’interno dell’UE si è provocata una benefica osmosi fra le due contrapposte mentalità giuridiche. L’UE diventa così un terreno di incontro fra due culture con un recupero intenso della fattualità del diritto, con l’abbandono di quei legalismi e formalismi che avevano costretto il giurista continentale in una prigione asfittica, con un nuovo ruolo dei giuristi nella formazione dell’ordinamento. Un primo esempio è offerto dalla Corte di Giustizia dell’UE, entità con funzione tipicamente nomopoietica. Questa crisi va vissuta fino in fondo dal giurista, perché essa è un segno fedele dei tempi; agli occhi dello storico essa ha una primaria funzione liberatoria. L’unica possibilità di costruire un futuro che sia veramente tale sta nel prendere coscienza delle forze in atto con piena disponibilità a valorizzarle e ad ordinarle. “La globalizzazione giuridica è un frammento di futuro agente nel nostro presente, con enormi potenzialità e rischi, non essendoci dubbio che i poteri economici hanno un’arroganza sicuramente superiore a quella del vecchio potere politico monopolizzatore”, aggiunge Grossi. Il diritto sta però ritrovando la sua storicità, la sua specularità al divenire storico. In questa riscoperta è il trionfo dei giuristi. La coscienza della storicità deve essere la consapevolezza salvante del giurista di oggi, che non può limitarsi a guardare la stella fissa di un diritto ufficiale vigente in un certo Stato o in una certa entità trans-nazionale. “Non ci sono punti fermi nella linea storica, c’è invece una linea in perenne movimento e trasformazione. Lo storico del diritto, padrone della linea e del senso di essa, è cosciente più di ogni altro di ciò che è effimero e di ciò che è duraturo”.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.

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