Appuntamenti dal 18 al 21 maggio
Riceviamo e pubblichiamo.
I prossimi appuntamenti previsti al Nuovo Teatro Sancarluccio, Via San Pasquale a Chiaia, 49, Napoli, che rientrano nella rassegna Maggio d’Arte.
18 maggio 2017
‘L’altro Totò’
Dietro le quinte di una vita passata
con Roberto Ingenito e Francesca Borriero
scritto e diretto da Fabio Pisano
Per il cinquantesimo anniversario dalla morte di Totò, la Liberaimago metterà in scena ‘L’altro Totò – Dietro le quinte di una vita passata’, uno spettacolo che rende omaggio al grande Antonio De Curtis, riconosciuto universalmente come “principe della risata”; si andrà a scavare all’interno dell’uomo Totò, di quell’Antonio De Curtis insicuro, generoso, scaramantico, ipocondriaco; delle sfaccettature reali, quelle che non restano impresse su di una pellicola, dell’essere uomo prima dell’essere artista.
Troppo spesso, infatti, la grandezza del Totò artista – per sua stessa ammissione – ha offuscato Antonio De Curtis; noi, con il supporto di alcuni estratti video dai principali film di Totò, andremo a raccontare, attraverso un monologo a due voci, l’anima di Totò, aspetti di vita vissuta e forse sconosciuta ai più; aneddoti, ricordi, rimpianti.
19 maggio 2017
‘Un giorno all’improvviso’
Eduardo Cocciardo
Francesca Stizzo
scritto da Eduardo Cocciardo
Sara e Luca. Due nomi qualunque per quella che sembra essere una qualunque storia d’amore. Ed in effetti lo è. Perché fin dalla prima battuta il pubblico, di ogni età e di ogni estrazione, avrà l’impressione di riconoscersi in ogni loro gesto, in ogni loro inquietudine.
All’apertura della scena, ci si ritroverà così improvvisamente catapultati nel bel mezzo di un incontro/scontro che sembra durare da secoli. L’attacco in media res non servirà soltanto ad accentuare il senso di profondo realismo dell’azione, ma anche a sottolineare il suo appartenere ad un tempo e ad un luogo indefiniti.
Un po’ come Estragone e Vladimiro di ‘Aspettando Godot’, i due personaggi sono irrimediabilmente in bilico, in attesa che possa accadere qualcosa o giungere qualcuno a mettere finalmente fine al loro eterno discutere, al loro eterno non capirsi, al loro eterno navigare a vista.
Rimbalzando bruscamente dall’odio alla tenerezza, dalla nostalgia alla più cieca crudeltà, tra irresistibili reazioni comiche e momenti di pura malinconia, i due racconteranno per frammenti una presunta storia d’amore che non sarà mai perfettamente chiaro se sia davvero finita, quanto sia durata e se sia mai davvero esistita.
La scena sembra imprigionarli in una camera oscura, che avrà anche un po’ della sala d’aspetto. Perché presto sorgerà il dubbio che ciò che chiamiamo amore altro non sia che un impantanarsi nell’attesa di qualcos’altro che non arriverà mai.
Cos’è a mancare? Cos’è quel vuoto, quella specie di abisso che si spalanca come una voragine ogniqualvolta si ammette l’importanza dell’altro? Cos’è quell’eterna sensazione di terremoto?
Forse proprio la consapevolezza che non si può durare in eterno.
Nessun completamento possibile. Nessuna metà dell’arancia.
Piuttosto un momento di pausa.
Una profonda spaccatura nello scorrere monotono dell’esistenza che aborrisce le regole del tempo e della società. Una magia. Un miracolo.
Un trucco, un intervallo diabolico che oscura temporaneamente il ritmo frenetico del mondo.
Ma anche una condanna. Perché prima o poi si ricadrà nella quotidianità. E lì, o si sapranno accettare certi compromessi, o si riscoprirà tragicamente la solitudine.
Ma più travolgente è stato l’intervallo, più devastante sarà la caduta. Malgrado il senso di prigionia e di attesa che li avvolge, Sara e Luca si affrontano in campo aperto, ergendosi ciascuno a paladino del proprio universo genetico.
Rimettendo in gioco le insofferenze, le inquietudini, le aspettative deluse, ma anche l’euforia, l’esplosività di ogni incontro, gli attimi di tenerezza, la brutalità, lo sconforto, le pause, le riprese, l’universo maschile e quello femminile finiranno per apparire quasi inconciliabili.
Nei due amanti vedremo così gli uomini e le donne di ogni tempo, ma soprattutto quelli del nostro tempo, sempre più smarriti, insicuri, aggrappati a verità temporanee, senza radici, ritrattabili come i post su Facebook. Eppure qualcosa dovrà salvarsi, da qualche parte.
E quando ormai saremo certi che i due sono condannati a scontrarsi all’infinito, il finale, inaspettato ed incredibile, offrirà un’angolazione completamente nuova.
20 e 21 maggio 2017
‘A-medeo’
Tratto dalle storie dei figli di Eduardo
con Stefania Remino e Antimo Navarra
adattamento e testi Marina Cioppa
regia Michele Brasilio
L’opera viaggia attraverso lo studio di alcuni personaggi di Eduardo De Filippo; in particolar modo concentrandosi sulla figura dei figli. Partendo dal concetto che un attore quando sale su di un palcoscenico “uccide” la persona che è per far vivere un personaggio che non esiste se non esclusivamente sulla scena. La volontà dell’opera è dunque quella di rivendicare la paternità artistica del Maestro. I lavori di De Filippo si innestano su un gioco fatto di luci e immagini che riescono a dare voce ai silenzi.
L’autore si serve così di commedie quali ‘Mia famiglia’, ‘Filumena Marturano’, ‘Bene mio core mio’, ‘Gennareniello’, ‘Sabato, domenica e Lunedì’, ‘L’abito nuovo’, ‘Napoli milionaria’, ‘Natale in casa Cupiello’ in cui la presenza dei figli è determinante per lo svolgimento dell’opera stessa e il riconoscimento degli altri personaggi.
Tutto gira intorno alla figura del padre che, seppur assente, è però fondamentale al punto che gli attori che interpretano i personaggi di Eduardo ne richiedono la presenza esplicandola come bisogno nonché come necessità di riconoscimento paterno.
Eduardo disse:
Il teatro è gelo, così si fa e così l’ho fatto: è cresciuto mio figlio e non me ne sono accorto, per fortuna è cresciuto bene.
È di questa attenzione che i due figli nella pièce hanno bisogno, è questo diritto che rivendicano. Il resto è amore. Il testo, che inevitabilmente si avvale di citazioni Eduardiane, mantiene uno sguardo avanguardistico in cui reale e surreale si alternano e quasi si confondono per dare vita a qualcosa che ha un richiamo con un passato che infondo è più prossimo che remoto.
I valori forti come quelli della famiglia e del legame di sangue tra figli e genitori è qualcosa che nemmeno il tempo e l’evolversi della società può mutare. La modernità degli anni 2000 ha portato a numerosi cambiamenti quasi immaginabili ma nonostante questo per tutte le madri “i figli sò figl e sono tutti uguali”.
L’autore seppur giovane entrando in punta di piedi ha voluto così analizzare quella che è la raffinata e forse ineguagliabile drammaturgia di Eduardo immaginando di essere lui stesso un suo figlio e cambiando così la prospettiva di scrittura che è quella di un figlio che osserva, analizza e forse arriva a comprendere la figura del padre, spesso fatta di errori e mancanze, piuttosto che l’inverso.
È un testo particolare, introspettivo, che volutamente ha un finale aperto; lo spettatore deve sentirsi libero di immedesimarsi o meno nella figura di un genitore quanto di un figlio, e di odiare quanto comprendere certe scelte che inevitabilmente rientrano in una soggettività e una sfera intima in cui l’autore non vuole, non può entrare fino in fondo.
La scelta degli attori non è casuale si è volutamente pensato a due giovani artisti la cui caratteristica primaria è la passionalità e la naturalezza scenica che, secondo l’autore e il regista, è fondamentale per un testo come questo.