La gente si abitua a qualsiasi cosa. Meno pensi alla tua oppressione, più la tua tolleranza cresce. Dopo un po’, la gente pensa che l’oppressione sia lo stato normale delle cose, ma per diventare libero, devi essere profondamente consapevole di essere uno schiavo.
John Carpenter
Il classico tema del rapporto tra apparenza e realtà si ritrova trasversale in tutta la storia dell’uomo. Dagli antichi fino ai giorni nostri il dilemma ha trapassato tutti i secoli e non sembra aver trovato una risposta definitiva.
Questa ricerca, a volte ossessiva, del capire le sfere di appartenenza dell’uno e dell’altra, ha cambiato forma, nominando le parti in maniera diversa, dando loro diverso lustro, provando a trovarne punti di forza o di debolezza.
Si è sempre affermato, a volte in maniera troppo debole, che la realtà è qualcosa di diverso dal mondo della finzione; di ben più complesso e difficile, se non altro perché l’unico modo che abbiamo per averne un contatto diretto è attraverso gli organi di senso, non il pensiero, nostra arma più potente. Ma sa essere anche, incredibilmente, ingannevole: ce ne accorgiamo quando l’essere umano crede in qualcosa che scopre essere illusorio, vuoto.
L’immaginazione risulterà essere quel gioco che ci permette di ridisegnare ciò che ci circonda e il nostro modo di vivere il mondo. Questa scoperta non è, però, accessibile a chiunque e né il saggio, né il poeta, né l’artista possono comunicare la reale essenza delle cose agli altri uomini, che continuano così a vivere tra le ombre, nell’illusione della verità.
Già nella ‘Repubblica’ di Platone, in particolare col ‘mito della caverna’, si ha il primo grande esempio del conflitto tra illusione e realtà, tra essere sensibile e soprasensibile. Una relazione tra l’elemento fisico ed il mondo delle idee che dà luogo ad una manifestazione piena di luci ed ombre.
Da una parte, troviamo la cosa in sé. Dall’altra, facciamo i conti con una simulazione della stessa dove le nostre credenze e le nostre illusioni sono le protagoniste principali. La domanda iniziale, e più in generale la tensione fra mito e logos, rimanda fin dall’antichità al problema dello scetticismo: questa filosofia, in un certo senso, seguendo le parole del sofista Gorgia, afferma che il vero è inconoscibile, e se anche qualcuno fosse in grado di conoscerlo, non riuscirebbe comunque a comprenderlo.
La riflessione di Gorgia offre una ulteriore prospettiva: se vi fosse qualcuno in grado di conoscerlo e di comprenderlo, egli non sarebbe in ogni caso capace di comunicarla agli altri, rendendo di fatto la sua conoscenza inutile. Lo scetticismo come visione filosofica, e non come semplice enunciazione di dubbi, accompagna la storia del pensiero dell’uomo e giunge fino ai nostri giorni.
Filosofi come Nietzsche e Schopenhauer hanno condiviso alcune proposte per riconoscere l’illusione, il velo di Maya, mentre altri, come Immanuel Kant, hanno negato la possibilità di conoscere la realtà con assoluta certezza: possiamo avere conoscenza solo dei fenomeni, che sono le rappresentazioni di qualcosa di più profondo, noumeno, di per sé irraggiungibile.
Proprio Kant, nel XVIII secolo, fece notare che gli esseri umani non possono mai conoscere davvero la natura degli oggetti così come sono. Le nostre indagini forniscono soltanto risposte agli interrogativi che poniamo, i quali sono basati sulle capacità e limitazioni della nostra mente.
Tutto quello che percepiamo nel mondo naturale, sia attraverso i nostri sensi che attraverso la scienza, passa attraverso il filtro della nostra coscienza, ed è determinato, perlomeno fino a un certo punto, dalle strutture proprie della ragione. Così, quelli che vediamo sono ‘fenomeni’, ovvero l’interazione tra la mente e qualsiasi cosa ci sia ‘realmente là fuori’.
Noi non vediamo la realtà; vediamo soltanto la nostra costruzione della stessa, fabbricata dai neuroni del nostro cervello. La ‘cosa in sé’ ci è eternamente celata. Sembra un non-sense ed invece è non è così. Siamo sempre vincolati da quello che in definitiva entra nel nostro cervello, che ci permette di vedere e percepire le cose che facciamo. Dunque, è plausibile che tutto questo non sia altro che una grande illusione da cui non abbiamo modo di uscire per vedere che cosa ci sia davvero là fuori.
Esistono letteralmente diversi mondi in cui viviamo. C’è la verità superficiale e quella profonda. C’è il mondo macroscopico che vediamo, c’è il mondo di noi stessi, c’è il mondo dei nostri atomi, il mondo dei nostri nuclei. È la realtà è unica, soggettiva e quindi diversa da quella degli altri. Il prisma attraverso il quale guardiamo il mondo è frutto di un insieme di fattori.
Alla formazione di una realtà unica, soggettiva e quindi diversa da quella degli altri, contribuisce innanzitutto la nostra cultura di appartenenza, la quale, in genere, definisce un contesto religioso che, a sua volta, convoglia una determinata struttura di valori. Se ci spostiamo da questo tema in maniera meno didattica, mi viene in mente lo wishful thinking o pensiero illusorio, ovvero la tendenza a vedere solo ciò che desideriamo.
Tanto vero che è conosciuto anche come pensiero desideroso, o pio desiderio o pensiero bramoso, ovvero il processo mentale per cui si tende a crearsi convincimenti e prendere decisioni facendosi dirigere da chi ci può essere piacevole, gradito o appagante dal punto di vista del soggetto; invece, di basarsi su un indizio reale e razionale. In questo senso il prodotto del conflitto tra principio di realtà e principio di piacere, in cui il secondo viene, più o meno consciamente, fatto prevalere.
Studi hanno mostrato che, a parità di altre condizioni, gli individui tendono a fare predizioni positive con un processo anche chiamato “ottimismo irrealistico”. C’è da domandarsi se non valga anche il contrario ovvero se, in una sorta di astrazione selettiva delle informazioni, non tendiamo a ritenere inesistenti o irrilevanti le cose che non confermano le nostre convinzioni preesistenti e che non si svolgono sotto i nostri occhi. Una di queste è il benessere fisico e psicologico degli operatori che si occupano di salute mentale che, a volte, faticano a farsi riconoscere essi stessi.
Alla fine, tornando al nostro discorso, l’intelletto non può mai del tutto inscrivere la realtà in una struttura oggettiva, universale e necessaria. Così, l’unica possibilità per la psiche di fronteggiare la moltitudine di dati provenienti dall’esperienza è l’espediente artificioso della finzione, uno strumento estremamente utile nella prassi e nell’agire, sganciato tuttavia da ogni puntuale aderenza con la realtà.
Perché l’organismo è immerso in un complesso di sensazioni del tutto contraddittorie, soffocato dalle spire di un mondo esterno ad esso ostile e, per sopravvivere, costretto a cercare, tanto dentro di sé come fuori, tutti i possibili mezzi di aiuto.
È quello che compiamo ogni giorno per dare un senso a tutto o quando quel senso che abbiamo dato alla nostra esistenza o ad una nostra semplice azione viene meno. Tra realtà e finzione noi sopravviviamo e qualche volta impariamo a capirci, a capire quella cosa che chiamiamo vita.
Fai della tua vita un sogno, e di un sogno, una realtà.
Antoine de Saint-Exupery
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.