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Sogna, ragazzo, sogna

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Il giorno in cui il bambino si rende conto che tutti gli adulti sono imperfetti, diventa un adolescente; il giorno in cui li perdona, diventa un adulto; il giorno che perdona se stesso, diventa un saggio.
Alden Albert Nowlan


Tutto è iniziato con l’ingresso alle scuole medie. Fino a ieri vostro figlio era un bambino angelico, e ora di colpo è pronto a darvi battaglia su tutto, pensa solo a divertirsi e vive di emozioni intense e improvvise, come sulle montagne russe.

Lo tsunami che vi sta travolgendo si chiama adolescenza, in taluni casi anche preadolescenza, e sappiate fin da subito che non c’è cura; ma un segreto per sopravvivere, sì: capire cosa sta succedendo in un cervello in piena evoluzione, che funziona in modo diverso rispetto a quello di un adulto.

Fra i dodici e i ventiquattro anni si verificano nel nostro cervello cambiamenti decisivi, non sempre facili da affrontare. È durante l’adolescenza che apprendiamo abilità importanti: diventiamo autonomi dalla famiglia, impariamo a correre rischi per affrontare le sfide del mondo contemporaneo.

Io credo che gli adolescenti odierni smentiscano gli stereotipi. Non si arrabbiano se le prospettive sono fosche e se una pandemia li costringe a rinunciare a esperienze importanti.

Identificati con le fragilità degli adulti, sono stati abituati fin da piccoli a non frequentare cortili e parchi dove avrebbero potuto farsi male. Per questo si sono inventati piazze e giochi virtuali, in cui sperimentare la propria identità nascente.

Gli adulti hanno obiettato che non andava bene, che erano diventati dipendenti da Internet. Poi la Rete si è rivelata indispensabile e la mancata accensione della telecamera è stata considerata assenza dalla scuola, il cui portone era in realtà chiuso. Avrebbero potuto arrabbiarsi, invece niente.

Gli adolescenti non sono più trasgressivi, si sono responsabilizzati di fronte ad adulti confusi, ma che provano ogni giorno a voler bene a ragazze e ragazzi. Ecco perché penso che gli adolescenti, guardo in casa nostra e penso a quelli italiani, non siano indifferenti: la loro richiesta di partecipare va presa sul serio.

Perché l’adolescenza è una tappa fondamentale nel percorso di formazione, di apprendimento di valori, negli orientamenti, atteggiamenti, capacità cognitive ed espressive per l’agire in pubblico.

Fra i dodici e i ventiquattro anni si verificano nel nostro cervello cambiamenti decisivi, non sempre facili da affrontare. Influenza i comportamenti futuri. Per questo è cruciale conoscere meglio il presente dei ragazzi e arricchire le opportunità per un loro coinvolgimento nella vita pubblica.

Chi sono dunque gli adolescenti, come rappresentano se stessi e gli altri? Per indagarne il coinvolgimento nella vita pubblica occorre porsi di fronte a loro, intercettarne lo sguardo, raccoglierne le parole, comprenderne gli atteggiamenti e le pratiche.

È questa la postura adottata nello studio, da cui emerge una realtà sorprendente: i teenager non sono, in larga maggioranza, «fuori dal mondo», lontani o indifferenti ai fatti della società in cui vivono.

Credono che la circolazione della parola tra amici e nella comunicazione digitale possa orientare le scelte e favorire il cambiamento, ma vogliono anche spazi per stare e fare insieme. Esigono, soprattutto, di essere riconosciuti dagli adulti per la loro capacità di stare nel mondo esercitando un ruolo attivo.

Chiedono di essere ascoltati, ma anche che si tenga conto di ciò che dicono, delle loro domande e proposte. Chiedono di contare, di avere un peso. A questa richiesta, però, si affianca quella di non essere lasciati da soli davanti a ciò che è meno familiare, meno a misura della loro esperienza diretta.

Non si tratta di una contraddizione, ma, probabilmente, delle coordinate del sentiero da tracciare per favorirne il coinvolgimento pieno nella vita pubblica. Il corpo che cambia, la scoperta della sessualità, il distacco dai genitori, la difesa della propria autonomia di giudizio, ma anche il mimetismo del gruppo dei coetanei, nessun’altra età della vita va incontro a cambiamenti così radicali e a compiti di sviluppo tanto impegnativi come l’adolescenza.

Sfrontati e fragili, idealisti e cinici, ostili e desiderosi di affetto, sono una sfida per gli adulti, ma soprattutto per loro stessi, alle prese come sono con la costruzione del proprio io e del proprio ruolo sociale.

Ogni generalizzazione produce soltanto pregiudizi. Per molto tempo, ai ragazzi abbiamo chiesto di aderire alle aspettative ideali di genitori e insegnanti. Li abbiamo cresciuti come piccoli adulti, li abbiamo spinti a socializzare, li abbiamo protetti dall’infelicità e dal dolore.

Oggi, però, lo scenario sta cambiando. Siamo approdati ad una società che non si limita più a chiedere ai ragazzi di essere all’altezza delle nostre aspettative, ma li costringe a seguire un mandato paradossale:

Sii te stesso, ma a modo mio.

Questa trasformazione segna il passaggio al paradigma post-narcisistico, è in atto da tempo, ma è stata la pandemia ad aver smascherato il rischio di un’inversione dei ruoli: mentre i ragazzi si adattano alle esigenze degli adulti pur di farli sentire tali, questi ultimi sono alle prese con una crescente fragilità.

Le strade percorribili sono molte, ma farsi carico della confusione, dell’ansia, del disagio e dell’assenza di prospettive future delle nuove generazioni senza occuparsi della fragilità degli adulti non è più pensabile:

Per mettersi in una posizione di ascolto bisogna essere saldi, soprattutto se l’altro è un figlio che soffre.

In passato la famiglia tradizionale era di tipo normativo/patriarcale, improntata sulle regole del Super-Io; in tale contesto i figli venivano educati con lo scopo di farli diventare adulti responsabili e autonomi.

Dagli anni 60 si è passati ad una famiglia narcisistica, affettiva, basata sull’Io-Ideale, tutta orientata a favorire l’originalità e la felicità del bambino; padri amorevoli sostituiscono i padri autoritari e madri ‘virtuali’, sempre protagoniste nella gestione familiare e dei figli, ma realizzate anche o soprattutto in contesti extra-familiari.

I bambini vengono caricati di aspettative destinate a ridimensionarsi pesantemente nella adolescenza, con ricadute anche gravi sull’equilibrio psichico del giovane. La famiglia narcisistica si trasforma progressivamente in una post-narcisistica, con il passaggio da una ‘infanzia adultizzata ad una adolescenza infantilizzata’: i figli vengono cresciuti anticipando esperienze di ogni tipo, alimentando aspettative esagerate: una esasperazione del Sé che non tiene conto degli altri.

Da qui, una serie di ricadute sul figlio, costretto al ruolo impegnativo di far sentire realizzato il fragile genitore. Si creano così giovani orientati solo al raggiungimento di traguardi e successi, completamente impreparati alle difficoltà della vita, alla sofferenza, al dolore, alla morte.

Non bisogna risparmiare critiche agli adulti, che siano genitori, insegnanti, ecc. – e alle loro innumerevoli contraddizioni in ambito educativo e comportamentale, causa di messaggi ambigui e anche contradditori che disorientano i giovani adolescenti.

L’invito agli adulti che oggi mi sento di fare è quello di mentalizzare, cioè di saper interpretare e comprendere le azioni degli adolescenti, attribuendo importanza e significato ai loro pensieri, sentimenti, comportamenti.

E ancor più in questa epoca, quella in cui gli ‘adolescenti’ sembrano essere scomparsi, non avendo spesso ricevuto regole da trasgredire da chi avrebbe dovuto dargliele, saltando così il tradizionale passaggio all’autonomia e alla responsabilità, ossia all’età adulta.

L’adolescenza, alla fine, ci appare come un’età paradossale: è una fase di rottura rispetto al passato, eppure gli anni dell’infanzia continuano a condizionare il presente; gli adolescenti sono presi da loro stessi, ma vivono per l’approvazione dei coetanei; sono più liberi, più indipendenti e più viziati che in passato, ciononostante dai loro occhi traspare sempre più spesso un malessere indefinibile.

L’adolescente è come una biglia che corre lungo un crinale di montagna: non possiamo sapere da quale parte cadrà.
Massimo Ammaniti

La loro realizzazione in una direzione o in un’altra dipende sì da loro, ma in parte anche da noi. Ecco perché penso che si debba dare voce ai ragazzi e alle loro storie, perché la presenza e l’ascolto rimangono fondamentali. E lasciarli liberi di sbagliare e di sognare e di sognare ancora.

Che stagione l’adolescenza. Senti di poter esser tutto e ancora non sei nulla e proprio questa è la ragione della tua onnipotenza mentale.
Eugenio Scalfari 

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.