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SMOCSG, Delegazione Tuscia e Sabina onora Sant’Agata a Viterbo

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Sant'Agata


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Solenne celebrazione liturgica nella chiesa della Santissima Trinità

In occasione della ricorrenza della memoria liturgica di Sant’Agata, la Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio ha partecipato lunedì 5 febbraio 2024 alla solenne Santa Messa celebrata nella chiesa della Santissima Trinità, santuario della Madonna Liberatrice in Viterbo.

Al termine del rito i Cavalieri Costantiniani, guidati dal Delegato Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere di Gran Croce Jure Sanguinis con Placca d’Oro, si sono raccolti in preghiera davanti all’altare della terza cappella nella navata a sinistra, la Cappella Chigi – Montoro con la sepoltura della famiglia, su cui campeggia la pala ‘Il Martirio di Sant’Agata’, realizzato nel 1740 dal maestro viterbese Vincenzo Strigelli.

La volta della cappella è ripartita da riquadri con stucchi a disegni floreali e nelle vele sono raffigurate le Virtù Cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, seconda metà del secolo XVII.

Sant’Agata, il cui nome di origine greca vuol dire ‘buona, nobile di spirito’, nacque a Catania fra il 230 e il 235 in una ricca e nobile famiglia catanese. Il padre Rao e la madre Apolla, cristiani, la educarono secondo la loro religione.

Sin da piccola sentì nel suo cuore il desiderio di appartenere totalmente a Cristo e quando giunse sui 15 anni, sentì che era giunto il momento di consacrarsi a Dio. Studi più approfonditi indicano come più probabile la maggiore età di 21, perché non prima di questa età una ragazza poteva essere consacrata diaconessa.

Il Vescovo di Catania accolse la sua richiesta e, durante una cerimonia ufficiale chiamata velatio, le impose il flammeum, cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate. Nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo, è raffigurata con la tunica lunga, dalmatica e stola a tracolla.

Una diaconessa aveva il compito, fra gli altri, di istruire i nuovi adepti alla fede cristiana e preparare i più giovani al battesimo alla prima comunione e alla cresima. Nei primi tempi del Cristianesimo le vergini consacrate, costituivano un’irruzione del divino in un mondo ancora pagano e in disfacimento.

Nell’anno a cavallo fra il 250 e il 251 il Proconsole Quinziano, giunto alla sede di Catania con l’intento di far rispettare l’editto dell’Imperatore Decio, che chiedeva a tutti i Cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, si invaghì della giovinetta e, saputo della consacrazione, le ordinò di ripudiare la sua fede e di adorare gli dei pagani.

Ma si può pensare che dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia, potrebbe esserci l’intento della confisca di tutti i loro beni. Ordinò che la catturassero e la conducessero al Palazzo Pretorio.

Quando la ebbe davanti, venne conquistato dalla sua bellezza e una passione ardente s’impadronisce di lui, ma i suoi tentativi di seduzione non vanno in porto, per la resistenza ferma della giovane Agata. La affidò per un mese ad una cortigiana di nome Afrodisia, probabilmente una sacerdotessa di Venere, o di Cerere e, pertanto, dedita alla prostituzione sacra.

Trascorse un mese, sottoposta a tentazioni immorali di ogni genere, ma resistette indomita nel proteggere la sua verginità consacrata al suo Sposo celeste, al quale volle rimanere fedele ad ogni costo.

Sconfitta e delusa, Afrodisia riconsegnò Agata a Quinziano dicendo:

Ha la testa più dura della lava dell’Etna.

Allora furioso, il Proconsole imbastì un processo contro di lei, che si presentò vestita da schiava come usavano le vergini consacrate a Dio;

Il Proconsole le obiettò:

Se sei libera e nobile, perché ti comporti da schiava?

Lei rispose:

Perché la nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi del Cristo.

Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui si evince, senza dubbio, come Agata fosse edotta in dialettica e retorica.

Il giorno successivo si svolse un altro interrogatorio accompagnato da torture. Ad Agata vennero stirate le membra, lacerata con pettini di ferro, scottata con lamine infuocate, ma ogni tormento invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuova forza. Quinziano al colmo del furore le fece strappare i seni con enormi tenaglie.

Riportata in cella sanguinante e ferita, verso la mezzanotte mentre era in preghiera nella cella, le apparve San Pietro apostolo, accompagnato da un bambino porta lanterna, che la risanò i seni amputati.

Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, venne riportata alla presenza del Proconsole, il quale, viste le ferite rimarginate, domandò incredulo cosa fosse accaduto.

La vergine rispose:

Mi ha fatto guarire Cristo.

Ormai Agata costituiva una sconfitta bruciante per Quinziano, che ordinò che venisse bruciata su un letto di carboni ardenti, con lamine arroventate e punte infuocate.

Secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non bruciava il velo che lei portava. Per questa ragione ‘il velo di Sant’Agata’ diventò una delle reliquie più preziose. Nei fatti, il ‘velo’ di colore rosso faceva parte del vestimento con cui Agata si presentò al giudizio, essendo questo l’abito delle diaconesse consacrate a Dio. Un’altra leggenda vuole che il velo fosse bianco e diventasse rosso al contatto con il fuoco della brace.

Mentre Agata spinta nella fornace ardente moriva bruciata, un forte terremoto scosse la città di Catania e il Pretorio crollò parzialmente, seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano.

La folla si ribellò all’atroce supplizio della giovane vergine ed il Proconsole fece togliere Agata dalla brace e la fece riportare agonizzante in cella, dove morì qualche ora dopo. Era il 5 febbraio 251.

Dopo un anno esatto, una violenta eruzione dell’Etna minacciava Catania, molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò. Da allora Sant’Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e poi contro gli incendi.

Le reliquie della santa furono trafugate nel 1040 dal generale bizantino Giorgio Maniace, che le trasportò a Costantinopoli. Nel 1126 due soldati della corte imperiale, Gilberto e Goselmo, le riportarono a Catania dopo un’apparizione della santa, che indicava la buona riuscita dell’impresa. Le consegnano nel Castello di Aci al Vescovo di Catania Maurizio.

Le reliquie rientrarono nel duomo di Catania il 17 agosto 1126 e sono oggi conservati in parte all’interno del prezioso busto in argento, opera del 1376, che reca sul capo una corona, dono secondo la tradizione, di Re Riccardo Cuor di Leone – parte del cranio, del torace e alcuni organi interni – e in parte dentro a reliquiari posti in un grande scrigno, anch’esso d’argento – braccia e mani, femori, gambe e piedi, la mammella e il velo.

Altre reliquie della santa, come ad esempio piccoli frammenti di velo e singole ossa, sono custodite in chiese e monasteri di varie città italiane e estere.

Fra tutte le città italiane di cui Sant’Agata è compatrona, Gallipoli e Galatina, in Puglia, sono coinvolte in una singolare contesa che vede come protagonista una reliquia di Sant’Agata, la mammella.

Si dice che 18 agosto 1126 Sant’Agata apparve in sogno ad una donna e la avvertì che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra. La donna si svegliò e ne ebbe conferma, ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca. Tentò a lungo, ma poi in preda alla disperazione, si rivolse al Vescovo.

Il prelato recitò una litania invocando tutti i santi e soltanto quando pronunciò il nome di Agata il bimbo aprì la bocca. Da essa venne fuori una mammella, quella di Sant’Agata.

La reliquia rimase a Gallipoli, nella basilica dedicata alla santa, dal 1126 al 1389, quando il Principe Del Balzo Orsini la trasferì a Galatina, dove fece costruire la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, nella quale è ancora oggi custodita la reliquia, presso un convento di frati francescani.

Nei secoli, le manifestazioni popolari legate al culto della santa richiamavano gli antichi riti precristiani alla dea Iside, per questo Sant’Agata, con il simbolismo delle mammelle tagliate e poi risanate, assume una possibile trasfigurazione cristiana del culto di Iside, la benefica Gran Madre.

Ciò spiegherebbe anche il patronato di Sant’Agata sui costruttori di campane, perché nei culti precristiani la campana era simbolo del grembo della Mater Magna.

Dal 3 al 5 febbraio, Catania dedica alla Santa Patrona una grande festa. Secondo la tradizione alla notizia del rientro delle reliquie della santa il vescovo uscì a piedi scalzi in processione per la città, con le vesti da notte seguito dal clero, dai nobili e dal popolo.

Vi sono undici Corporazioni di mestieri tradizionali, che sfilano in processione con le cosiddette Candelore, fantasiose sculture verticali in legno, con scomparti dove sono scolpiti gli episodi salienti della vita di Sant’Agata.

Il busto argenteo, preceduto dalle Candelore è posto a sua volta sul Fercolo, una macchina trainata con due lunghe e robuste funi, da centinaia di giovani vestiti dal caratteristico sacco.