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SMOCSG, Delegazione Tuscia e Sabina onora San Girolamo in Viterbo

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La Santa Messa di nuovo insediamento della Comunità Agostiniana è stata presieduta Padre Gabriele Pedicino

Lunedì 30 settembre 2024, nella Chiesa della Santissima Trinità – Santuario Maria Santissima Liberatrice in Viterbo, è stata celebrata con particolare solennità la festa di San Girolamo, Dottore della Chiesa, scrittore infaticabile, grande erudito e ottimo traduttore, a cui si deve la Vulgata in latino della Bibbia.

Al Sacro Rito ha preso parte una Rappresentanza della Delegazione della Tuscia e Sabina del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidata dal Delegato Nob. Avv. Roberto Saccarello, Cavaliere Gran Croce de Jure Sanguinis con Placca d’Oro, aderendo all’invito della Comunità Agostiniana, per manifestare i sentimenti di stima e di viva gratitudine.

La Santa Messa di nuovo insediamento della Comunità Agostiniana è stata presieduta Padre Gabriele Pedicino, O.S.A., Provinciale dell’Ordine Costantiniano per d’Italia, con il benvenuto a Padre Josef Jurdak, e il saluto ai Padri Giuseppe Scalella e Giuseppe Tesse, trasferiti rispettivamente a Roma e Napoli, ringraziandoli per il servizio svolto in questi anni, durante i quali i due religiosi si sono distinti anche per la loro vicinanza alla Sacra Milizia.

È seguito un momento conviviale.

San Girolamo doctor maximus nell’interpretazione della Sacra Scrittura

San Girolamo è una delle figure più rappresentative nella storia della Chiesa e dell’antica letteratura Cristiana. Nacque circa il 347 a Stridone, piccolo villaggio situato presso Aquileia. Apparteneva ad una di quelle famiglie influenti, che nelle città romane dell’Impero formavano una specie di aristocrazia provinciale.

Quindi, i suoi genitori s’interessarono ben presto di metterlo alla scuola di un litterator, il maestro elementare di quei tempi. A somiglianza di Orazio, Giovenale, Sant’Agostino ed altri, egli conservò un ricordo poco gradito del suo primo maestro, che insegnava il verbo a suon di nerbo.

All’età di circa 12 anni, insieme con Bonoso, suo amico e compagno indivisibile, fu mandato a Roma per proseguire gli studi. E a Roma il grammaticus Elio Donato gli ispirò viva passione per i grandi scrittori latini e gli diede una formazione letteraria non comune.

All’età di circa 20 anni, Girolamo ricevette il battesimo dalle mani di Papa Liberio e si accinse a partire per la Gallia insieme con l’amico Bonoso. Voleva egli con ciò sottrarsi alla seduzione della società romana, dal momento che confessa di essere caduto nel lubrico sentiero dell’adolescenza?

Oppure voleva allargare gli orizzonti della sua cultura? Ovvero Treviri lo attirava con gli splendori della sua corte e le promesse di una carriera brillante? Probabilmente, nella sua decisione, ciascuna di queste ragioni ebbe la sua parte.

Durante il suo soggiorno nella Gallia, attese a copiare le opere di Ilario di Poitiers e altri scrittori ecclesiastici, e maturò il proposito di dedicarsi interamente all’ascetismo. Tornato in patria nel 373, si fermò ad Aquileia in un cenacolo di amici, che condividevano le sue aspirazioni e si riunivano in casa del presbitero Cromazio.

Verso il 374, Girolamo partì per l’Oriente, sperando trovare una dimora a sé adatta nel deserto di Siria. Rimasto per un certo tempo ospite del suo amico Evagrio ad Antiochia e udite le lezioni di Apollinare di Laodicea, egli s’internò nell’eremo della Calcide, col proposito di dedicarsi ad austerità e penitenza. Ma anche là, lungi da Roma e dalle seduzioni della capitale, non mancarono turbamenti interni ed esterni.

Appartiene a questo periodo della sua vita la famosa visione anti-ciceroniana, che egli stesso descrive nell’Epistola XXII, 30, alla vergine Eustochio. Mentre perseverava nello studio dei classici, si vide tratto in spirito dinnanzi al tribunale di Cristo e interrogato sulla sua condizione, rispose di essere Cristiano.

Tu mentisci

osservò Cristo

giacché tu sei ciceroniano, non Cristiano.

Allora egli implorò misericordia, tanto più che Cristo aveva ordinato di batterlo, e giurò solennemente:

Signore, se mai avrò dei codici profani, se li leggerò, ti avrò rinnegato.

Altri turbamenti agitavano il suo spirito. Nonostante i digiuni e le penitenze egli spesso si sentiva come trasportato in mezzo alle delizie di Roma. Inoltre, nel deserto di Siria non trovava quella beata solitudine che il suo spirito inquieto aveva sognato.

Moltissimi anacoreti popolavano l’eremo; ma non contenti di pratiche ascetiche, venivano a contesa tra loro per il concetto di ousia e di ipostasi e in occasione dello scisma di Antiochia, mentre gli eremiti del vicinato si sforzavano di trarre Girolamo dalla loro parte.

Cosicché, egli finì con lo stancarsi del deserto e nel 380 rientrò ad Antiochia. Ivi, poco dopo, fu ordinato sacerdote dal Vescovo Paolino. Dopo tanti anni di studî Girolamo era nella piena maturità del suo spirito. In Siria aveva appreso anche l’ebraico, sotto la guida di un Ebreo convertito.

In quel tempo si recò a Costantinopoli ad approfondirsi presso Gregorio Nazianzeno nell’esegesi biblica e nelle scienze teologiche. Perciò, quando nel 382 s’imbarcò con Epifanio e Paolino per recarsi al Concilio indetto in Roma da Papa Damaso per lo scisma antiocheno. Egli vi era preceduto da fama di gran santità e dottrina.

Nella capitale si conciliò ben presto la stima del Papa e fece risplendere le proprie doti. A richiesta di Damaso, Girolamo fece una revisione accurata della traduzione latina della Bibbia allora in uso, confrontandola con i più antichi manoscritti greci.

Tale correzione, necessaria a causa delle molteplici inesattezze introdotte nei testi, fu fatta con certezza per i Vangeli e i Salmi, e forse anche per tutto il Nuovo Testamento. Questa edizione latina dei Salmi è nota col nome di Psalterium romanum.

Ma oltre che studioso, Girolamo era anche un’anima di asceta, e così divenne ben presto la guida spirituale di parecchie matrone romane, inclinate a vita devota. Esse si riunivano nella casa di Marcella sull’Aventino, e fra tutte spiccavano Paola e sua figlia Eustochio.

A quest’ultima fu indirizzato il celebre Libellus de custodia virginitatis, che insieme col Liber adversus Helvidium in difesa della perpetua verginità di Maria, suscitò tanti malumori contro Girolamo, che in tali scritti fustigava a sangue i vizî del mondo romano. Quando morì la vedova Blesilla, figlia di Paola, si accusò Girolamo come fanatico.

La marea d’invidia e rancore saliva contro di lui, anche in quello che egli chiamò il ‘senato dei farisei’, e, sopraggiunta la morte del suo protettore Papa Damaso, egli credette necessario dopo qualche mese lasciare Roma; questa volta per sempre.

Sul punto di salpare dal porto di Ostia, egli scrisse una lettera alla vergine Asella, in cui mira a giustificare il suo tenore di vita romana contro il livore dei suoi nemici, e la incarica specialmente di salutare Paola ed Eustochio.

Queste, dopo qualche mese, lasciavano Roma per raggiungerlo ad Antiochia, fare insieme con lui, con intenti di pietà e di cultura, il pellegrinaggio dei luoghi santi, e quindi fissare a Betlemme la sede definitiva.

Queste donne, che alla nobiltà dei natali univano altrettanta elevatezza di sentimenti formate alla scuola spirituale di Girolamo, abbandonarono mondo e ricchezze per seguire il loro maestro, e passarono alla storia insieme con la memoria di lui.

Prima di stabilirsi accanto alla grotta della Natività in Betlemme, con le sue pellegrine visitò l’Egitto e i monasteri della Nitria; ebbe ad Alessandria occasione di ascoltare Didimo il Cieco; si fermò a Cesarea per trascrivere forse tutto l’Antico Testamento secondo il testo di Origene; perlustrò tutti i luoghi della Palestina.

Verso la fine del 386 si fissò a Betlemme. Ivi, a poco a poco, si formò un monastero di uomini diretto da Girolamo., e un altro di donne sotto la guida di Paola e di Eustochio.

Così passarono circa 35 anni della vita di Girolamo, e furono gli anni più laboriosi e fecondi del suo genio multiforme, tutti consacrati al servizio della fede e della scienza.

Ma anche a Betlemme non gli mancarono dolori, specie nell’aspra e lunga polemica con l’amico Rufino. Questi, che un tempo era stato per lui il dimidium animae, in una sua traduzione del De principiis di Origene aveva cercato di presentarlo come un seguace delle dottrine origeniste.

Girolamo si difese con tutti gli argomenti della sua dialettica e del suo spirito irruente, e il dissidio acuto e insanabile è uno degli episodî più dolorosi nella storia del monachismo.

Anche nella polemica contro Gioviniano, che mostrava disprezzo verso la verginità e la mortificazione Cristiana, i libri di Girolamo toccano il culmine dell’aggressione e della virulenza: egli ricorre con acre voluttà alle sue squisite attitudini di colorista per dipingere il suo avversario nella maniera più umiliante, e presenta dei quadri di un umorismo e di una vivacità veramente singolari.

Grandi dolori provò egli anche per la morte di Paola e di Marcella, e per la notizia dell’eccidio di Roma saccheggiata da Alarico nel 410. Una profonda commozione pervade l’anima sua, che non ha più pace al sentire che l’Impero romano va in rovina.

Per parecchi mesi non è in grado di continuare il suo commento ad Ezechiele; quando poi riprende la penna per terminarlo, nuove cure vengono a distornarlo. Dapprima entra in lotta contro i pelagiani, che arrivano persino ad invadere e saccheggiare il suo monastero.

Finalmente il 30 settembre 420 il solitario austero chiude la sua vita. Accanto al letto del moribondo, la leggenda ha messo un leone, ma la storia ci addita la giovane Paola, nipote di Paola e di Eustochio, che fu l’assistente dei suoi ultimi giorni.

Le sue reliquie, inumate dapprima presso la grotta della Natività di Betlemme, furono poi trasportate a Roma, ove si conservano nella basilica di Santa Maria Maggiore.

Le opere

Percorrendo le opere di Girolamo, si vede chiaramente che la speculazione filosofica e l’indagine teoretica non erano i suoi campi speciali; furono tali invece gli studî critici e filologici, le ricerche storiche e l’analisi testuale.

Le risorse del suo carattere e del suo ingegno, della vasta cultura assimilata nelle sue permanenze e relazioni con i principali centri della cultura contemporanea, e del suo dominio su molti spiriti contemporanei, furono messe a servizio della doppia causa che formò l’ideale sovrano di tutta la sua vita: nel campo biblico la diffusione e il trionfo dei testi originali da lui chiamati la graeca fides per il Nuovo Testamento e l’hebraica veritas per l’Antico, e sul terreno pratico la diffusione dell’ascetismo.

Parve a molti un novatore, mentre era in lui la nostalgia delle origini nel pensiero e nella vita. Nelle più aspre lotte per i suoi lavori biblici e per il suo ideale ascetico sentì spesso il bisogno di appellarsi al giudizio dei posteri.

Né si può dire che il suo appello sia caduto invano: come egli fu un maestro di ascetica fra i più accreditati per tutto il Medioevo, così la sua autorità in materie bibliche gli ha valso dalla Chiesa il titolo di doctor maximus nell’interpretazione della Sacra Scrittura, e presso i dotti di qualunque confessione un peso eccezionale attribuito alle sue testimonianze.

Epistolario

Comprende 154 lettere, di cui 122 sono dello stesso Girolamo, e le altre dei suoi corrispondenti: Damaso, Agostino, Epifanio, e altri. Esso, divulgatissimo nel Medioevo e nel Rinascimento, è una vasta galleria in cui sono dipinti uomini e cose, situazioni storiche e psicologiche, che abbraccia un cinquantennio di storia politica e religiosa, e in cui soprattutto si rispecchia l’anima dell’autore.

In queste lettere specialmente appaiono la sua educazione retorica e il lungo studio dei classici che gli hanno valso il titolo di Cicerone cristiano e maestro della prosa cristiana per i secoli posteriori; in esse appaiono anche i suoi ideali ascetici, difesi strenuamente contro tutti gli avversari.

Opere esegetiche

Comprendono:

a) Le correzioni del testo della Bibbia latina per i vangeli e forse per tutto il Nuovo Testamento; per il libro di Giobbe, revisione fatta a Betlemme verso il 389, e per i Salmi, dei quali fece a Betlemme nel 388 una seconda revisione chiamata Psalterium gallicanum perché usata da principio nelle Gallie.

b) Di una nuova correzione sul testo esemplare dei Settanta, Girolamo ci dice soltanto che andò perduta fraude cuiusdam.

c) La traduzione dall’originale ebraico dei libri protocanonici dell’Antico Testamento e delle addizioni deuterocanoniche di Daniele, Geremia e Ester. Questa traduzione, compiuta a Betlemme tra gli anni 390 – 405 circa, è il lavoro più arduo e glorioso di Girolamo, e se da principio non mancò di suscitare diffidenze anche in Agostino, superò col tempo ogni ostacolo e si affermò vittoriosa in tutto l’Occidente (v. bibbia, VI, p. 898 segg.).

Per mezzo di essa entra nella civiltà romana tutto il fiotto, per così dire, del genio orientale, non tanto per il piccolo numero di parole ebraiche intraducibili che Girolamo ha conservato, quanto per le costruzioni ardite che la lingua latina viene ad appropriarsi, per le inattese combinazioni di parole, per la prodigiosa abbondanza delle immagini, per il simbolismo che è proprio delle Scritture.
F. Ozanam

d) I Commentarî alle lettere ai Galati, Efesini, Tito, Filemone, a tutti i profeti minori e maggiori, all’Ecclesiaste, Matteo e Apocalisse. Qui ricordiamo pure le Quaestiones hebraicae in Genesim e il libro sulla toponomastica ebraica.

e) A questi si aggiungano il Tractatus de Seraphim e i Commentarioli, omelie e trattati scoperti e pubblicati da G. Morin negli Anecdota Maredsolana, III.

Scritti storici

Le tre vite di Paolo, di Malco e di Ilarione il De viris illustribus, eccellente fonte d’informazioni, e la traduzione del Chronicon di Eusebio di Cesarea con aggiunte relative alla storia romana e contemporanea.

Per mezzo di questi scritti, Girolamo è stato un precursore molto seguito in tre rami distinti di storiografia: le leggende agiografiche, la letteratura Cristiana e la cronaca universale.

Scritti polemici

Contro Elvidio, i luciferiani, Gioviniano, Giovanni di Gerusalemme, Rufino, Vigilanzio, e i pelagiani. In questi libelli Girolamo. è il violento polemista nel cui spirito Lucilio, Orazio e Giovenale evidentemente non passarono mai all’ultimo posto.

L’iconografia

San Girolamo dovette essere presto rappresentato dagli artisti.

Tuttavia, non restano esempî di raffigurazioni anteriori al IX secolo, quando appare nella Bibbia di Carlo il Calvo, Biblioteca Nazionale di Parigi, o in quella di Carlo il Grosso, San Paolo di Roma, derivate, sembra, da un rotulo sul quale venivano in zone successive riprodotte storie della vita di lui. Il santo vi è rappresentato imberbe, giovane, tonsurato, in veste e pallio, e specialmente glorificato come maestro e come traduttore e commentatore dei testi sacri.

Poi a poco per volta all’aspetto giovanile gli artisti sostituirono quello di un vecchio maestoso e barbuto, ora in cattedra come Padre della Chiesa ora quale penitente nel deserto, ora fra i libri nel suo studio.

Il santo è contrassegnato quasi sempre dal cappello cardinalizio per un’errata tradizione risalente al IX secolo, la quale gli attribuiva tale dignità, non esistente ai suoi tempi.

Gli è spesso vicino il leone, ricordo di una leggenda che narrava come la fiera, liberata d’una spina dal santo, gli fosse divenuta amica. Talvolta è rappresentato con la Chiesa in mano, perché sostenitore e aiuto di questa. Più spesso, appena coperto di stracci, si flagella con una pietra il petto.

Ora gli son vicini o una candela o gli occhiali o libri o la penna a indicarne la vita infaticabilmente studiosa. Talora medita dinnanzi a un teschio nella spelonca in solitudini rocciose o nel ben fornito scrittoio, oppure un angelo col suono della tromba celeste lo scuote a ricordargli il giudizio finale. O appare, infine, morente, quando gli vien somministrata la comunione: o, morto, quando se ne fanno le esequie.