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Skopelos

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Skopelos


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Skopelos, Grecia
10 agosto 2009

A volte si sceglie un viaggio, un luogo senza un motivo preciso, senza conoscere la vera aspirazione per quel posto. Sembra che sia il caso a guidarci. Magari le agenzie ci portano su queste strade, altre, invece, sono vecchi desideri o curiosità di cui coscientemente prendiamo atto. Questa volta è stato un film: ‘Mamma mia!’ Era gennaio, vedemmo il film e decidemmo.

L’imbarco per le Sporadi è da Volos. Il pullman della K-TEL delle 9:30 da Atene ha impiegato quasi 5 ore per giungere alla città portuale. Solo questo viaggio merita la contemplazione e il silenzio.

Sì, il silenzio. Ti accompagna pieno, in una solitudine fatta di paesaggi immobili tra colline e mare. Attraversiamo la terra greca dove i miti diventano storia e la storia si trasforma in realtà immutata.

Il profilo della costa affonda nel mare. Un paio di soste tra uliveti e campi soleggiati.
Le case sembrano nascoste. Il sole. L’azzurro del cielo. La scogliera. Il mare sotto di noi. Un piccolo ristorante-bar. L’ombra di un vecchio ulivo. Siamo ripartiti con l’animo ricaricato.

Percorriamo la Tessaglia. Siamo ai piedi del Monte Pelio. I suoi fitti boschi, i suoi villaggi. Il luogo di nascita del centauro Chirone. Volos, ai suoi piedi, è una città che vive grazie al porto commerciale, alla sua posizione per raggiungere le isole Sporadi, alle sue spiagge ancora poco battute dal turismo di massa e ai villaggi tradizionali a pochi chilometri dal centro.

Vicino è anche il sito archeologico dell’antica città di Iolkos, dove si svolgevano i giochi in onore di Poseidone. Da qui partirono gli Argonauti – il lungomare è a loro dedicato – alla ricerca del Vello d’Oro. Patria di Giasone, figlio del re di Iolkos, e di Achille, figlio di Peleo e della ninfa Tetis che viveva sul monte Peleo. Città che diede inoltre i natali a Giorgio de Chirico. Un eterno ritorno al mito.

Dallo stazionamento dei pullman, con lo zaino in spalla trascinandomi la valigia di Ele, inizia l’interminabile cammino fino al porto. Stanchezza e sole.

Il traghetto della Hellenic Seaways è partito puntuale alle 16:45. Una prima sosta a Skiathos dopo 3 ore e poi nuova partenza verso Skopelos, dove attracchiamo verso le otto e mezza di sera.

Un viaggio tra terra e mare di 11 ore. Sul ponte del traghetto a Skiathos ho pensato alle parole di Erodoto:

Questo è il tempo degli uomini, prima c’era il tempo del mito e degli eroi.

Con me ho le sue ‘Storie’, forse il libro che più ha reso vivo un mio viaggio.

Guardavo questo mare. Quante navi l’hanno percorso, per quanti uomini è stato amico o crudele avversario. Per quanti tomba per l’immortalità. Una terra, questa greca, che ti fa paura. Mette soggezione immaginare, pensare a quanta storia e mitologia. A quanti racconti ed epopee siano nati e vissuti qui.

La Grecia è così un’isola. Per quanto possa essere unita alla terra del continente, è un’isola. Un pezzo della cultura ancestrale mediterranea che cerca di preservarsi dal tempo e nel tempo. In solitudine e distante, circondata dal mare ricco di solchi profondi che la uniscono ai vari anfratti sparsi tra Europa, Africa e Asia.

Eleni, la proprietaria della pensione, ci aveva mandato una cartina dell’isola per orientarci. Cercavo la farmacia come riferimento quando mi sento chiamare. Era lei. A fianco al suo negozio di souvenir c’è una porticina di legno con un foglio attaccato con su scritto il nome della pensione: ‘Lina guest house’.

La città che dà nome all’isola è un’abbagliante puzzle di case bianche che dalla collina scendono fino alla baia dove il porto accoglie i viaggiatori.

Sembra tutto finto. Tutto da cartolina. Le stradine con i fiori. Le porte e le imposte azzurre. Gli anziani che giocano seduti nei vicoli. Il silenzio. I negozi. Un’isola stupenda che ti rimane dentro, impressa.

Conosciuta in antichità come Peparethos o Peparuthus, fu colonia cretese, cretesi che vi introdussero la viticoltura.

La baia di Skopelos è racchiusa tra due alture. Quella a destra è particolare: nei secoli è stata scelta come luogo di preghiera da comunità monastiche. Si arriva in cima tramite una strada tutte curve che regala riflessioni e scorci su quest’isola.

Il monastero più antico è il Moni Metamorfosis Sotiros che risale al XVI secolo. Il Moni Evangelistrias conserva un’icona della Vergine dell’XI secolo. Gli altri monasteri presenti sono il Moni Episkopis, che sorge su una proprietà privata, il Moni Varvaras e il Moni Prodromou.

Le spiagge sono tante su cui perdersi guardando il mare: Staphylos, la vicina Velanio, Chondrogiorgos, Adrines, Armenopetra e tante altre. Si arriva. Si attraversano pinete incredibili.

Staphylos è un villaggio a pochi chilometri da Skopelos. Il nome deriva da Staphylos, figlio Dioniso e di Ariadne di Creta. Secondo la leggenda fondò Skopelos e introdusse la coltivazione dell’uva e la vinificazione. Non a caso, il suo nome in greco significa “grappolo d’uva”. Per questo motivo l’isola divenne poi famosa come la terra di nascita del vino.

La spiaggia di Staphylos, come la maggior parte qui a Skopelos, è di acciottolato e sembra nascere dalla macchia che, come un fiume di lava, si ferma in prossimità del mare. Il villaggio è carino, silenzioso. La casetta bianca dalle imposte rosse semi chiuse. I pergolati che ogni tanto nascono su terrazzi oppure davanti le porte d’ingresso.

Le spiagge di Adrines sono piccole e sembrano lì per caso. Nate da quelle colline di pini che precipitano in acqua, danno l’impressione che stiano lì ancora per poco tempo. Quasi svaniscono, in un attimo che non rivolgi loro lo sguardo. Ciottoli, mare, scogli e pini che arrivano fino a toccare l’acqua salata in cui sei immerso. Guardi intorno e vedi le colline, tonde e verde scuro.

Glossa, la “Lingua”. A una decina di kilometri dalla città di Skopelos, sulle colline che cadono in mare c’è questo villaggio. Arriviamo dopo un’ora di pullman. Un paese in salita. Un paese che sembra abbandonato. Solo un gruppo di pecore radunate fuori la chiesa principale. Un gruppo di anziani, parla in silenzio, seduto fuori la porta di una casa. Un altro gioca a backgammon.

Giù al porto di Loutraki. La spiaggia è abbastanza ventosa. L’abitato è piccolo, con qualche bar e un supermercato. Un senso di solitudine mi guida per quest’isola. Alle 15:30 è ripartito l’autobus per Skopelos. La strada tra le colline è incredibilmente affascinante. Salite e discese tra le pinete con il mare che ci accompagna. L’autobus è vecchio e malandato. Fa fatica. Il motore si sforza per quelle salite. Il suo carico di passeggeri è pigro e si culla in questo momento d’ozio contemplativo.

La chiesa di Agios Ioannis lontana, dalla parte opposta delle colline.
Uno scoglio. Un enorme masso lasciato cadere in riva al mare. La chiesa in cima. Solitaria. Distante da tutto e da tutti, anche dai suoi duecento scalini, cordone ombelicale che le impedisce di volare via.

Un’isola. Skopelos. La pace e la tranquillità che si prendono cura di te. Un’isola che riposa nel suo Mediterraneo.

Colline e boschi lasciano spazio a piccoli villaggi. Aprono al viaggiatore, per brevi lassi di tempo, la vista delle proprie insenature, delle proprie spiagge che cadono nel mare.

Le case, bianche e silenziose. Le imposte colore del cielo e del mare, del rosso e del sole. I fiori che accarezzano queste anime silenziose. Chiese, monasteri e rifugi. Le piccole finestre che lasciano entrare solo la luce che serve. Le candele. Le preghiere. Niente di più.

Arrivi dal mare. Arrivi in un’isola che è il mare.

Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!