Dalle riflessioni di un grande psichiatra filosofo
Sono fermamente convinto di non avere mai ascoltato suggerimenti migliori, per chi visita gli ammalati, di quelli dati da Eugenio Borgna nel suo libro ‘La Solitudine dell’Anima’ ed. Feltrinelli.
Così suggerisce a medici e visitatori:
Quando entriamo in una stanza d’ospedale ricordiamo sempre di bussare per non giungere inattesi.
Non stringiamo la mano della persona ammalata con un calore eccessivo. Non cambiamo il tono della voce. Manifestiamo la nostra pena con parole semplici e con sincerità, se ne siamo capaci.
E avviciniamoci con discrezione senza invaderne i confini esistenziali. Non lasciamoci prendere dalla fretta e non diamo questa sensazione. Si può rimanere accanto al letto di un malato per pochi minuti senza dare senso di una qualche irrequietezza e nemmeno il senso di pensare ad altro.
E ci si può fermare a lungo, magari per un’ora, dando sempre più l’impressione di non avere tempo e di essere impazienti di concludere la visita.
Le cose che diciamo ad una persona ammalata (od ospedalizzata) rimangono impresse nella sua memoria e nel suo ricordo, mentre nel vortice della vita di ogni giorno siamo inclini a dimenticare le cose che abbiamo ascoltate, divorate dal drago dell’oblio dal quale pochi si salvano.
Non invadiamo il suo spazio, facciamo attenzione alla sua fatica di comunicare, guardiamola negli occhi perché ci dicono qualcosa della sua anima, delle sue attese e delle sue speranze.
E una delle cose più dolorose e più strazianti per un ammalato è parlare del suo caso, quando se ne parla a medici ed infermieri come se egli non fosse presente o di parlarne in modo tale che egli non senta quello che gli uni dicono agli altri.
Queste sono sanguinanti ferite che si aggiungono a quelle determinate dalla malattia e che si ripetono crudelmente di ospedale in ospedale sulla scia di una insostenibile aridità di cuore o anche solo di una banale noncuranza.
Tutto ciò dilata la solitudine del paziente. Ascoltiamo le parole dette e quelle non dette e rispettiamo la ritrosia del paziente.
Dobbiamo imparare ad analizzare emozioni e timori della persona malata, ma anche i nostri quando siamo di fronte, perché piuttosto è meglio rinunciare di aiutare, anche se involontari o incolpevoli.
Chi si ammala di qualcosa è più sensibile e riesce a cogliere immediatamente le nostre ansie e le nostre insicurezze, e queste creano altro malessere.
Nelle parole di Eugenio Borgna io sento il cuore, sento l’anima di chi si prende realmente cura di chi soffre ed è per tale ragione che condivido ogni tanto i suoi pensieri.
Non mi riconosco in tutta la letteratura new-age, fatta di guaritori esoterici i quali si dilettano con frasi fatte e luoghi comuni atti, più che altro, ad auto-proclamarsi illuminati.
In quelle pagine non percepisco il sacrificio di chi si adopera davvero vicino ai capezzali di chi patisce il dolore.
Auguro di Cuore a tutti gli operatori olistici di elevare la qualità delle proprie letture, dei propri studi, poiché solo così è possibile invogliare la propria Anima a tramutare in azione le tante parole che troppo spesso, ahimè, rimangono un suono stridulo senza melodia.
Autore natyan
natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.
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