In vista della prima presentazione, l’autore ci anticipa il suo nuovo lavoro
Sabato 26 gennaio, ore 10:00, presso Domus Ars, via Santa Chiara, 10, Napoli, si terrà la prima presentazione di ‘Shoah – La cintura del Male’, il nuovo romanzo di Antonio Masullo, Argento Vivo Edizioni, prefazione di Pietro Riccio, postfazione di Anna Bruno, acquistabile online.
Avvocato penalista, esperto in telecomunicazioni, giornalista pubblicista, già autore dei libri ‘Solo di passaggio’, ‘Namastè – In viaggio verso te’ e ‘Il diario di Alma’, Antonio ha una scrittura delicata eppure incisiva, intensa, a tratti evocativa.
Un libro appassionante, che si legge tutto d’un fiato, denso di spunti, che lascia una serie di interrogativi aperti e, nonostante la tematica dolorosa, permea di ottimismo. Segno che non bisogna mai smettere di guardare al futuro con speranza, che ogni esperienza, seppur tragica, contribuisce a quella crescita interiore, a quel perfezionamento di sé, a quella rinascita cui ogni essere umano dovrebbe tendere. E che, soprattutto, ogni cosa ha una spiegazione, anche se questa non ci appare chiara immediatamente, che si racchiude nel prezioso dono dell’attesa. Una “cintura del Male” che nonostante sia strettissima ed avvolgente non stritola, lascia respirare, dando la possibilità di essere allentata se non addirittura sciolta.
Lo incontriamo perché ci racconti in modo approfondito di quest’ultima fatica letteraria che evidenzia, se ce ne fosse bisogno, una sensibilità rara, fuori dal comune.
Nel parlare dell’opera, partirei dall’epilogo. La prima curiosità che vorrei togliermi riguarda il cambiamento di registro linguistico; se nell’arco di tutto il testo utilizzi uno stile emotivo, nell’epilogo passi ad un livello espressivo più aulico, apparentemente più distaccato, in realtà più profondo. Perché?
L’epilogo, in effetti, è un sigillo di chiusura del romanzo dove vengono rappresentate le sue reali finalità, un marchio che dà una valenza particolare, sia dal punto di vista storico che esoterico, il termine, in chiave romantica, delle vicende delle due sorelle. Ma è anche rivelatorio; è come se in quel punto io avessi scoperto un po’ le carte dicendo la mia sulla seconda guerra mondiale e, in special modo, sul nazismo. Condivisibile o meno, giusta o sbagliata, questa è la mia opinione.
Non è, ovviamente, una verità definitiva, piuttosto stimola, o meglio, invita a porsi domande, perché il filo conduttore che va dalla prima all’ultima parola del libro è il ragionare su di una storia che, ahimè, è edulcorata e nasconde ancora elementi inemersi, sia di alcuni personaggi realmente esistiti, sia delle vere motivazioni che hanno dato origine al nazismo lasciandolo poi dilagare.
Un viaggio continuo: da Zante a Napoli, poi Londra, New York, diverse città della Germania, di nuovo Italia, stavolta Anglosia, in Cilento, e il giro riparte al contrario. Come mai questo percorso, queste tappe, questo ordine?
Ti confesso che quando ne ho iniziato la stesura non sapevo dove volessi arrivare. Avevo tanta documentazione, molte testimonianze da decodificare e riversare nel testo, ma nessuna struttura a monte.
L’itinerario europeo e statunitense è stato intrapreso dai personaggi più importanti senza che avessi predisposto alcuna mappa con tappe intermedie. Ne ho preso atto una volta concluso. In pratica, si è costruito da solo, sulle pagine, l’una dopo l’altra.
Al di là di momenti storici definiti che tutti conosciamo, quanto c’è di autobiografico, soprattutto considerando che vengono sviscerate emotività soggettive e sensibilità spiccate?
Di autobiografico, in effetti, c’è un personaggio particolare, Giamina, lo spirito guida di Lelè. In realtà si chiamava Peppinella ed era una mia prozia che ha vissuto in quell’epoca e, sfortunatamente, è stata vittima indiretta dell’Olocausto. Una donna bellissima, autorevole, della Napoli bene degli anni ’40, che, purtroppo, ha subito una violenza che l’ha condotta alla morte.
Una storia familiare finita nel dimenticatoio e che è emersa negli ultimi anni. Non si sapeva affatto della sua esistenza, poi, ricostruendo l’albero genealogico con una mia carissima zia, l’ultima delle sorelle di mamma rimaste in vita, e con successive ricerche, ne abbiamo delineato la figura. Se ricordi, ho dedicato a lei un pezzo della rubrica su ExPartibus intitolandolo ‘Una storia vera del 1943‘.
Inoltre, di personale c’è l’emotività, presente in modo quasi criptato.
Ho riversato un po’ di quelle che sono le mie conoscenze esoteriche, spirituali e spiritualistiche. Ovviamente, chi legge ed è a digiuno di queste materie non può, forse, coglierle in pieno; chi, invece, possiede questa chiave di lettura, o comunque, ha familiarità con l’esoterismo, si renderà conto che, in effetti, sono stati rilasciati dei codici; sta poi ad ognuno, secondo il proprio scatto intuitivo, afferrarne l’essenza.
Una scrittura, a tratti, ossimorica, con riferimenti non immediati. Quanto questi accostamenti antitetici scaturiscono dal tuo vissuto e dai tuoi studi e quanto rimangono volutamente accennati per non essere del tutto disvelati?
Io parto dal principio che tra me e te che stiamo conversando ci siano infiniti mondi che hanno una valenza soggettiva, individualizzata e particolare. È un discorso anche di energie, di spiritualismo: siamo degli incarnati e questa è una realtà oggettiva. Non ha un credo religioso, non ha un dogma, fortunatamente, ma è un pensiero molto libero. Anzi, è un “sentire” che si riversa in alcuni tratti del romanzo: una forte emotività, l’empatia che ho avuto con le due sorelle così come con i personaggi storici, descritti quasi come se li avessi effettivamente conosciuti.
Come mai le protagoniste sono due donne e perché le fai rincontrare dopo tutto quel tempo? Un ciclo della vita che finisce e ricomincia, forse? E perché il femminile trattato da un uomo?
Ho molte amiche e colleghe che dicono sempre che le donne sono più intelligenti degli uomini. È vero! Lo sono perché hanno una predisposizione alla vita che è diversa da quella maschile. Sono, in sé, un tempio di conoscenza.
Il mio papà lavorava lontano, lo vedevo poche volte all’anno, e sono stato cresciuto da nonna e mamma che mi hanno insegnato il rispetto, il garbo, la delicatezza e l’amorevolezza per il genere femminile. Oggi ho la fortuna di avere due femminucce e un maschietto; da figlio, da compagno e da padre mi rendo conto che la donna è un universo a se stante.
Lelè e Mara si rivedono dopo tanti anni perché, pur partite dalla stessa matrice, hanno vissuto la loro esistenza in un ambito prospettico diverso, sedimentando quel dolore in un modo differente. La loro reazione nel momento in cui si rincontrano, pertanto, deve essere opposta.
In particolare, Lelè torna con la mente all’origine, a quello che era il nucleo familiare, a Zante, come se quei 70 anni non ci fossero mai stati. Mara, invece, ripensa a quando è stata distaccata a forza dalla sorella, perché è ancora acuta la sofferenza che prova nel suo allontanamento e riparte da Auschwitz. È come se il ciclo di Mara si fosse chiuso in quel momento.
Soltanto dopo, di nuovo insieme e stavolta fisicamente, si recheranno nell’isola greca dove sono nate e dove tutto ha avuto inizio.
Perché tra i tutti terribili campi di concentramento hai scelto di soffermarti proprio su Auschwitz e Buchenwald?
Auschwitz è il campo di concentramento e di sterminio per antonomasia, quello più terribile, anche se, in effetti, quello che succedeva lì accadeva anche negli altri. Proprio lì, nel 1943 c’era Mengele, criminale di guerra, che ha fatto quei folli esperimenti medici su povere cavie umane, soprattutto bambini, ma lì ci sono state anche molte storie di sopravvissuti.
Buchenwald è importante anche perché aveva una valenza particolare per Hitler; di solito, vi venivano deportati i sovvertitori, chiunque fosse contro il regime, non solo gli ebrei, ma LA vittima, in generale, quella che aveva un peso politico determinante, il personaggio scomodo, dannoso per il nazismo. Difatti, vi era richiusa la principessa Mafalda di Savoia, cui, come sai, ho dedicato l’articolo ‘Mafalda di Savoia e il Nazismo’.
Perché hai scelto di dar spazio anche a lei?
Mafalda rappresenta la parte sana, vera, della storia italiana di quel periodo. Ha pagato il tributo di casa Savoia, non solo in quanto figlia del re Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro, ma in quanto moglie del principe tedesco Filippo Langravio d’Assia, uno dei delfini di Hitler, che le aveva rivelato segreti inenarrabili. Con il tempo, purtroppo, si è diffusa la falsa notizia che lui avesse denunciato la consorte e che, per questo motivo, fosse stata deportata a Buchenwald. Non fu così. Lui era già stato confinato altrove.
Tutto questo marchingegno era stato ideato da Hitler e dagli ufficiali della Gestapo per trarre in inganno Mafalda a Roma, al ritorno dal viaggio di commiato del cognato Boris III di Bulgaria e lì, dopo aver fatto visita ai quattro figli, che vide allora per l’ultima volta, venne catturata dai nazisti e relegata, prima a Berlino, per quindici giorni, dove venne letteralmente scuoiata viva, e poi, appunto, a Buchenwald. Non rivelò mai a nessuno, né al Führer, né, tantomeno, ai suoi subordinati, le confidenze del marito. I due coniugi non furono uccisi direttamente solo perché di sangue blu. Non sarebbe stata una buona mossa tattica sopprimerli. L’importante era averli resi innocui, incapaci di reagire, in attesa che sopraggiungesse la morte naturale.
Non è emersa, ad oggi, la vita di Mafalda nel lager in cui trascorse i suoi ultimi giorni; la si potrebbe, invece, ricostruire attraverso una ricerca con gli storiografi, gli storici e i presenti alla sua cattura, che, seppur morti ora, avranno lasciato qualche testimonianza orale, se non addirittura scritta. Mafalda è un personaggio cruciale della nostra storia, un elemento importante su cui far luce per trarre una conoscenza reale di ciò che effettivamente ha significato quel periodo per l’Italia.
Ci dobbiamo forse aspettare una tua successiva ed approfondita analisi su Mafalda?
Il mio è un libro che non dà risposte, ma fa porre domande e può essere tranquillamente integrato non solo da me, ma da chiunque si prenda questa croce. Non si può restare ancorati ad aspettare.
La storia è vicina, più di quello che apparentemente sembra; sono trascorsi appena 70 anni, eppure, da come se ne parla, sembra ne siano passati 700.Identifico il secondo conflitto mondiale come la guerra delle guerre, perché tutto ciò che è successo allora non era mai accaduto prima e, soprattutto, mai così su larga scala. Da allora in poi è successo l’impossibile. Ovviamente, non va sottovalutata la responsabilità degli alleati.
Nell’epilogo mi soffermo sulla figura del vice Führer Rudolf Hess, in carcere dal 1941 al 1987; ha visto molto poco, se non la costituzione del nazismo nella sua idealità e funzionalità forse più buona. Mi spiego meglio. Il nazismo nasce dalle ceneri della prima guerra mondiale, dalla sconfitta e dal patto di Varsavia che i tedeschi non potevano sostenere. In sostanza, dalla fame. Eppure, Hitler ha lasciato credere ai suoi connazionali di aver preso di mira gli ebrei perché popolo benestante, ricco, prediletto, che deteneva il potere economico e andava, quindi, destituito. Non rivela, invece, di essergli contro dal punto di vista esoterico.
Ma torniamo ad Hess; il 10 maggio del 1941 si reca in Scozia per parlare con il duca di Hamilton. E, certamente, non ha delle trattative di pace come si è voluto far credere. Quando poi il nobile gli si nega, coinvolgendo gli inglesi, allora la storia prende un’altra piega.
Hitler, e di conseguenza Goebbels, Himmler e Goering, da esoteristi, erano ossessionati dalla cultura egizia e dai culti massonici. Il Führer aveva bisogno di apprendere conoscenze che lui e la sua élite non avevano ancora, anche se erano andati avanti per altri canali. Si dice che il dittatore tedesco amasse i massoni, ma questo è vero solo dal punto di vista esoterico. Per un altro versante, invece, li odiava, tant’è che in una sezione della Gestapo, la quarta B, venivano imprigionati i massoni provenienti da tutta Europa.
Ora veniamo a Lelè adolescente. Dato lo svolgersi delle vicende ci si aspetterebbe che la sua mutilazione avvenisse in un luogo preciso, invece, ancora una volta, spiazzi il lettore e lasci che succeda altrove. A cosa è dovuto questo cambiamento di azione?
Non accade a Berlino e, soprattutto, non in un campo di sterminio, ma nel castello di Wewelsburg perché questo era il punto esoterico maggiore, dove si riunivano i più importanti ufficiali della Gestapo e le medium molto potenti, tra cui Maria Orsic, di cui ho scritto nell’articolo ‘Maria Orsic e il Nazismo’.
La prediletta di Hitler, portata lì con l’inganno dal Ministro della Propaganda Goebbels, oggi è completamente esautorata dalla storia e dalla storiografia, nonostante fosse allora un personaggio di spicco con poteri straordinari.
La rocca era un forte nodo energetico perché si trovava nella foresta di Teutoburgo, in Vestfalia, dove i nazisti esoterici praticavano dei culti pagani vicino a corsi d’acqua, anche se, in realtà, i rituali esoterici peggiori, quelli che smuovevano forze occulte negative per dominare il mondo, erano eseguiti nella torre nord del maniero, dove, ancora adesso, l’unico simbolo rimasto è il cosiddetto ‘Sole nero’.
Al di sotto della sala Obergruppenfuhrer, ce n’era un’altra, la Walhalla, dove si celebravano veri e propri sacrifici umani, immolando specialmente donne ebree. Ritengo che questo fosse il vero centro di potere, quello in cui nascevano le idee non solo politiche, ma soprattutto esoteriche.
A mio avviso, e me ne assumo la responsabilità, il nazismo ad un certo punto scaturisce da un esoterismo oscuro, con evocazioni e cerimoniali specifici.
Non è un caso che Himmler, a capo della Gestapo, a costo di svuotare le casse dello Stato tedesco, avesse affittato la fortezza a prezzi elevatissimi per ben cento anni.
La perdita dell’occhio sinistro cosa simboleggia?
La perdita della vista fisica di Lelè coincide con l’acquisizione di una conoscenza spirituale, esoterica e spiritualistica enorme. Questo le era stato predetto dal suo spirito guida, la zia Giamina, durante un sogno lucido. Successivamente, Lelè non avrà più solo comunicazioni oniriche, ma effettive, prima con la scrittura automatica e poi con la visualizzazione.
Quindi, la sua cecità ha una sorta di significato edipico?
Esattamente!
Ciò che mi è piaciuto di più del romanzo è che non è “solo” un racconto sulla Shoah, ma è anche un messaggio di speranza. Non neghi quanto di straziante abbia comportato, ma affermi che c’è qualcosa di positivo da cercare con cura e serbare gelosamente…
Hai colto in pieno quello che era il mio intento. A questo proposito, mi riallaccio ad uno dei personaggi che ho amato moltissimo e che ho studiato approfonditamente, la filosofa Hannah Arendt che scrisse tempo fa, per il processo Eichmann, ‘La banalità del male’.
Ho sedimentato tantissimo quel libro e ho capito che, in effetti, il bene è risolutivo. Si nasce nel bene, noi siamo energia positiva. È nel cammino che poi ci affacciamo al male. E Hannah lo aveva identificato correttamente: il male può anche essere banale nelle sue sfumature, il bene, al contrario, è radicale.
E, fin quando il bene sarà tale, sarà una piattaforma di energia da cui dovremo continuamente attingere che, alla fine, coinciderà con quella stessa origine positiva da cui proveniamo.
Tra qualche settimana ci sarà la prima presentazione del libro, come ti stai preparando?
Grazie anche al Direttore di ExPartibus, che farà da relatore, stiamo organizzando, con tanta fatica, questa presentazione che si terrà in concomitanza con il Giorno della Memoria, il prossimo 26 gennaio 2019, ore 10:00, presso Domus Ars, di fronte il Monastero di Santa Chiara.
Sugli altri relatori per ora glisso; siamo in contatto con due noti intellettuali, ma finché non mi daranno una conferma definitiva preferisco non sbilanciarmi.
Sono onorato della disponibilità di Anna Maria Ackermann e Lucia Stefanelli Cervelli, due ottime attrici che leggeranno alcuni brani del testo, in particolare quelli più significativi di Lelè e Mara.
A questa prima presentazione seguirà una sorta di “tour della Memoria” che durerà circa un anno e comprenderà anche incontri culturali e con le scuole per affrontare la tematica della Shoah e dell’esoterismo ad essa sotteso.
Mi auguro che, per quanto possibile, il romanzo venga compreso nella sua essenza, studiato, magari anche criticato, purché lasci un segno in chi lo legge.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.