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Shakespeare amore… nostro

Maximilian Nisi in 'Shakespeare amore mio' - ph Alessia Giallonardo


Straordinario recital di Maximilian Nisi nell’ambito della rassegna ‘Tutto il mondo è palcoscenico’ 

Ieri, venerdì 24 maggio, ore 20:30, al Succorpo della Basilica della Santissima Annunziata, nell’ambito della rassegna ‘Tutto il mondo è palcoscenico’, direttore artistico Gianmarco Cesario, del Maggio dei Monumenti di Napoli, abbiamo assistito al recital shakespeariano ‘Shakespeare amore mio’, con adattamento e traduzione dei testi originali del protagonista e regista della performance, Maximilian Nisi, solo in scena, con Gianluca Rovinelli, arpa e percussioni, dietro di lui. Luce soffusa e radente.

Scenario vagamente surreale nella sua maestosità architettonica e, al contempo, raccolto come un utero materno.

Gli spettatori disposti in un semicircolo evocativo di cerimonie conventuali, di altri tipi di riunioni, in altri consessi, in un tempo diverso, lontano dalle frenesie odierne.

I cuori di spettatori e protagonista battono all’unisono, incalzati dal ritmo della recitazione e dal contrappunto musicale dell’arpa che, in perfetta armonia con il recitato, accompagna, racconta, fraseggia, sottolinea, punteggia.

I personaggi si impadroniscono dell’interprete e lo trasfigurano completamente, cambiandogli movenze, espressioni del viso, postura del corpo che, a seconda del ruolo, si curva sotto il peso di un dolore senza sbocchi, si protende verso un desiderio amoroso inestinguibile, si raggrinzisce per il peso degli anni e delle colpe, si slancia verso uno scenario fiabesco. Sogna. Soffre. Spera. Rinuncia. Denuncia. Racconta. Immagina.

L’attore, Nisi, che abbiamo già avuto il piacere di intervistare nel corso della rassegna, è qui irriconoscibile. L’adesione ai personaggi è totale. La voce cambia nel timbro e nel tono nel volgere di pochi secondi, facendosi più roca, fino ad un sussurro, o più squillante ed enfatica, ad accompagnare età, caratteri e vicende diverse dei ruoli interpretati.

Improvvisamente prende per mano i diversi personaggi del Bardo di Stratford-upon-Avon e ce li presenta, semplicemente, in una girandola vorticosa che incalza tempo e spazio e non ci dà il tempo di annoiarci.

Ecco che, al centro della scena, arriva Mercuzio, beffardo e irridente, con la sua ironia tagliente, a sconfessare i sogni d’amore di Romeo. Una giravolta, e va via.

Ed ecco Romeo che ci rapisce, con la più nobile dichiarazione d’amore che sia mai stata scritta, ad implorare lo sguardo della sua Giulietta e, subito dopo, in un battito di ciglia, ci coinvolge nella sua disperazione, quando che apprende che l’uccisione di Tebaldo lo porterà lontano dalla sua amata.

Un inchino e Amleto, principe di Danimarca, è qui. Mima una pazzia strumentale a conoscere una verità straziante: il tradimento operato dai suoi congiunti più stretti a danno di suo padre. Sofferenza. Disperazione. Siamo con lui, ancora una volta, quando si interroga sull’essenza stessa della vita e della necessità della conoscenza, della verità… Essere, o non essere….

Il protagonista, al cambio del personaggio, cambia voce, timbro, postura, e si sposta fisicamente sulla scena.

Otello. Maximilian cambia ancora. Ancora un personaggio diviso tra la ricerca della certezza e la verità assoluta negate alla natura umana e che, proprio per l’impossibilità di realizzarsi, porteranno il Moro di Venezia alla rovina e alla morte. L’arpa incalza.

Un inchino e davanti a noi c’è Macbeth. Un condottiero. Un generale. Un uomo leale e buono corrotto dalla bramosia di un potere desiderato non da lui, ne finirà travolto.

Nisi evoca i suoi terrori e ci sprofonda nell’animo tormentato da rimorsi senza fine di quell’uomo, che, incapace ormai di riposarsi e di fidarsi dei suoi stessi uomini, combatterà valorosamente fino a terminare la sua vita in un bagno di sangue.

Ad aiutare la suggestione, il cambio di illuminazione della scena che ora è rosso sangue.

Macbeth è sangue. Macbeth è battaglia, cozzare di elmi e incrocio di lame nelle scintille del combattimento.

Riviviamo insieme a lui la disperazione per la perdita del faro della sua vita, lady Macbeth.

“La vita è solo un’ombra errante… io comincio ad essere stanco del sogno. Soffia vento vieni rovina. Si muore meglio con l’armatura indosso”.

Una giravolta: ecco un momento di apparente letizia. Con la declamazione di Sonetti scritti da un bardo ispirato, meditabondo e filosofico. Pausa.

Ed eccoci nel bel mezzo di un Sogno di una notte di mezza estate.

Vaghiamo in una foresta incantata. Il suono dell’arpa arricchisce il racconto ed evoca campanelli di fate e scrosciare di ruscelli cristallini. Ascoltiamo i deliri amorosi di fate ed elfi. Oberon, il re delle fate, comanda a Puck, simbolo dell’elemento capriccioso dell’amore, di procurargli una viola del pensiero per far innamorare Titania, la regina delle fate, immersa nel sonno accarezzato da una luna eburnea.

La serenità ci pervade, ma ecco un nuovo repentino cambio di atmosfera magistralmente sottolineato dagli interpreti.

Dinanzi a noi Riccardo II: un uomo inetto, destinato alla catastrofe e alla furia devastatrice, è qui colto nel momento dell’abbandono forzato della corona, mentre trasforma questo evento in una messa funebre.

Il timbro vocale diverso, la voce più soffusa e meno spiritata dell’interprete fa cogliere una rassegnazione carica di tensione furibonda trattenuta. Mestizia. Riccardo si specchia, lo vediamo assorto a rimpiangere il passato. Lo specchio si infrange ai suoi piedi…

E ora un altro masterpiece del teatro classico di Shakespeare: l’orazione di Marco Antonio alla morte per assassinio di Giulio Cesare.  Epica. Tamburi rullanti. Il musicista abbandona l’arpa per le percussioni e dà il ritmo alla scena. Siamo a Roma, dinanzi al Senato e al cadavere di Cesare mentre Marco Antonio scuote le coscienze. La postura di Nisi si raddrizza, si fa fiera. Lo sguardo è diretto, la voce è limpida.  Marco Antonio è tornato a vivere, anche se per lo spazio di un rullare di tamburo.

A conclusione del recital, un cameo da La tempesta, l’ultima opera di Shakespeare, in cui tutti i motivi del suo teatro, storia, commedia e tragedia, confluiscono.

Prospero. Prospero in cui tutti i tormenti dei protagonisti del teatro shakespeariano sfociano ed in cui sembra rappresentarsi lo stesso Poeta all’apice della sua arte. Prospero, che spezzerà la sua bacchetta e finirà la sua carriera, rinunciando, per sempre, alla saggezza e al potere, nella consapevolezza che il non sapere vale più del sapere e che la conoscenza non genera automaticamente la felicità.

La serata si conclude con la consapevolezza dell’eternità dei temi trattati perché, sfrondate da pesantezze auliche e differenze storiche, le miserie, i successi, le esaltazioni, le furie, le disperazioni degli eroi del poeta di Stratford-upon-Avon sono ancora le nostre, come nostra è la spasmodica ricerca di certezze e verità assolute che sono negate alla natura umana.

Un grazie ancora a chi ci ha accompagnato in questa carrellata di verità universali e versi senza tempo.

Alessia Giallonardo Photographer

Autore Floriana Narciso

Floriana Narciso, napoletana. Un cuore sospeso tra Napoli e la verde Irlanda. Mediterranea nell'aspetto ma "Irish"nel midollo, vive costantemente in bilico tra due culture e pensa in due lingue fin dal primo vagito. Laurea in lingue straniere europee, dottorato in linguistica per scopi speciali su tematiche di politica internazionale, vive e lavora tra varie realtà. Pensa a buon diritto che i libri e i gatti siano i migliori amici dell'uomo. Nel suo sangue scorre prevalentemente un buon tè nero, forte e bollente anche sotto il solleone. Scrive perché non riesce a farne a meno.

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