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Sequenze narratologiche

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Sequenze narratologiche


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Sappiamo tutti che in una storia, a prescindere dall’argomento portante, ci sono personaggi che fanno delle cose e ai quali succede qualcosa. Abbiamo parlato dei modelli di architettura, di rottura dell’equilibrio iniziale, del climax e del ripristino della situazione di partenza.

Riprendendo il paragone con chi costruisce un edificio, finora ci siamo occupati di realizzare il disegno, il progetto, e mettere le basi della struttura del palazzo che dobbiamo costruire.

Un palazzo com’è fatto? In ordine d’importanza ci sono le fondamenta, i pilastri, i muri portanti, i tramezzi, le aperture per porte e finestre. Ma chi dice a un architetto dove apporre le fondamenta, quanti pilastri prevedere e dove realizzarli, in che direzione far correre i muri portanti?
Un progettista si basa su due fattori: la conoscenza della materia e l’esperienza. Ma basta cemento, torniamo a costruire storie.

Il come, il dove, il quando e il perché possono essere racchiusi in un unico concetto, quello di sequenze narratologiche. Come puoi intuire dalla sua etimologia questo termine indica una successione, ossia il susseguirsi in una catena logica dei singoli elementi narrativi. Prima di addentrarci nelle spiegazioni chiarisco subito cosa intendo per elemento narrativo: è una singola porzione di testo che possiamo isolare da tutto il resto del racconto. Se mi passi la similitudine, potremmo paragonarlo a un atomo. Gli elementi narrativi sono le strutture fondamentali di un testo, una sorta di unità di misura e, come gli atomi, sono a loro volta divisibili perché ogni testo è formato da paragrafi, frasi, parole, lettere.

Restiamo in ambito scientifico per avvicinarci all’obiettivo. Immagino tu sappia che il nostro DNA è una sequenza di aminoacidi. Questo è un esempio di sequenza del nostro codice genetico: AUG – ACG – CUU e via dicendo. Presi singolarmente questi aminoacidi, queste lettere, “A”, “C”, ecc., possono essere insignificanti ma, tutti insieme e nella giusta sequenza, formano la catena che rende possibile la vita di un organismo. Fuor di metafora, anche nella scrittura riscontriamo qualcosa di simile. Infatti una sequenza narratologica è un blocco presente in un testo, un’unità di elementi narrativi fatti della stessa sostanza e che rivestono una specifica funzione.

Definita la sequenza narratologica, vediamo quali tipi di sequenze possiamo incontrare. La prima grande biforcazione è fra le sequenze statiche e dinamiche. Una sequenza statica, come suggerisce l’aggettivo, è un blocco di testo in cui l’azione è ferma o prossima allo zero. In pratica, non succede niente. Viceversa in una sequenza dinamica è l’azione a far muovere la storia, assistiamo a un’accelerata degli eventi e, di fatto, accade qualcosa che conferisce alla narrazione un brio maggiore, una certa vivacità.

Ricorda:

  • Le sequenze statiche rallentano il ritmo della storia;
  • Le sequenze dinamiche lo velocizzano.

Le sequenze statiche possono essere di due tipi:

  1. Sequenze descrittive. Sono blocchi di testo in cui l’autore si sofferma a descrivere un luogo, un personaggio o un determinato oggetto;
  2. Sequenze riflessive. In questi blocchi troviamo le impressioni interiori del protagonista o di un altro personaggio.

In entrambi i casi si tratta di sequenze che permettono di arricchire la narrazione, scendendo a un livello di profondità più dettagliata. L’azione è rallentata, o azzerata, di proposito, per far concentrare il lettore sulla descrizione di un qualcosa in tutti i suoi aspetti, oppure sulle emozioni dei protagonisti.

A ben vedere possiamo considerare le sequenze riflessive come una sottocategoria di quelle descrittive, dato che in fondo non fanno altro che descrivere emozioni.

Una delle tecniche più impiegate nelle sequenze riflessive prende il nome di flusso di coscienza. Si tratta di un espediente che permette di esternare i pensieri di un personaggio senza un ordine o una logica rigidi. Sono “pensieri così come vengono” e sovente vengono chiamati anche monologo interiore.

Eccone un esempio:

Un quarto dopo che un’impossibile ora suppongo che si stiano svegliando ora in Cina pettinandosi le loro treccine per il giorno bene penso presto le monache suoneranno l’angelus loro non hanno nessuno che venga a disturbare il loro sonno eccetto uno strano sacerdote o due per il loro compito notturno la sveglia della porta accanto al canto del gallo che sbatte il cervello fuori da se stesso fammi un po’ vedere se riesco ad appisolarmi.

Questo stralcio è molto famoso, essendo tratto dall’Ulisse di Joyce, un romanzo che si basa tutto sul flusso di coscienza. Come puoi notare, molto spesso questa tecnica prevede la totale assenza di punteggiatura: questo perché si tratta di una sequenza che vuol rappresentare i pensieri ondivaghi di una persona e si sa, noi pensiamo per libera associazione di idee, senza vincoli. Ti ricorda qualcosa? Se hai risposto “brainstorming”, mi compiaccio.

Attenzione, però. Prima abbiamo detto una cosa fondamentale: le sequenze statiche rallentano il ritmo della narrazione. È innegabile che ci sia della bellezza in tutto ciò, e che l’interminabile descrizione iniziale del lago di Como o tutte quelle pagine che Hemingway impiegò per descrivere il vecchietto mentre fumava la pipa siano dei capolavori della letteratura. Tuttavia siamo nel terzo millennio e – giusto o sbagliato che sia – il lettore comune rifugge da descrizioni così dettagliate. Rileggi l’esempio tratto dall’Ulisse: in tutta sincerità, tu leggeresti un libro intero scritto così?

A mio parere le sequenze statiche, descrizioni e riflessioni, vanno a braccetto con le pillole per il mal di testa: usale con cautela. E comunque, mai nell’incipit o nel momento clou della storia. A meno che tu un giorno non diventi il nuovo Eco, un editore cui mandi il tuo manoscritto non arriverebbe nemmeno a pagina 2.

Passiamo ora a esaminare l’altra categoria di sequenze, quelle dinamiche. Anche qui troviamo due sottotipologie:

  1. Sequenze narrative;
  2. Sequenze dialogiche (dialoghi).

In ambedue i casi l’autore spinge sull’acceleratore e la storia viaggia a velocità doppia. È stato detto, ed è vero, che in un testo narrativo le sequenze narrative sono le più importanti. La narrativa infatti non è poesia, è il tramandare per iscritto una storia, narrare in senso stretto.
Le sequenze narrative permettono di far procedere la storia, di rivelare informazioni, di sciogliere nodi cruciali, di portare l’azione dei personaggi nel vivo. In una sequenza narrativa succede sempre qualcosa.

Di eguale importanza sono le sequenze dialogiche. Anche i dialoghi infatti aumentano il ritmo della narrazione, sono uno dei motori della storia e permettono di veicolare informazioni vitali in maniera addirittura più rapida rispetto ai blocchi narrativi. Attenzione però, perché è risaputo che i dialoghi sono la cosa più difficile da scrivere in assoluto. Prossimamente vedremo perché.

Già che ci siamo vorrei fare una precisazione. Non confondere il dialogo con il discorso diretto, perché un dialogo può avvenire anche in forma indiretta:

Mi rivelò che era stata Marzia a raccontare tutto all’avvocato, e quando le risposi che ne ero al corrente Francesca replicò che ero stato un cretino a prendermela con lei.

In una frase di due righe, inventata or ora, ho sintetizzato un botta e risposta fra due persone e dispensato informazioni importanti per il prosieguo della storia.

Abbiamo visto i quattro tipi di sequenze narratologiche più frequenti, ma non ti ho ancora detto come e quando utilizzarli, e in che ordine. E sai perché? Perché non posso dirtelo io. Non esiste una regola e molto dipende anche dal tipo di storia che desideri scrivere.

In un romanzo psicologico o in una storia d’amore, ad esempio, le sequenze riflessive e i flussi di coscienza faranno la parte del leone, mentre in un thriller le sequenze narrative dovranno reggere gran parte dell’impianto. Diciamo però che, per come va oggi il mondo editoriale, è sempre bene cominciare la storia con una sequenza dinamica – dialogo o narrazione – in modo da acciuffare subito l’attenzione del lettore. Descrizioni e sensazioni arriveranno dopo l’incipit.

Un’altra cosa. A scuola, perlomeno ai miei tempi, ci sottoponevano degli esercizi di analisi del testo volti a isolare le differenti sequenze di un brano estratto da un testo antologico. In pratica di quel brano dovevamo evidenziare, con dei colori differenti, le varie sequenze: narrative, descrittive, ecc.. Questo è un ottimo approccio anche per chi svolge o aspira a svolgere il mestiere di scrittore in modo professionale. Specie se, come me, hai una buona memoria visiva.

Ti porto il mio esempio. Quando scrivo, lo faccio quasi sempre di getto. È capitato che io abbia scritto 150 – 200 pagine in un paio di giorni perché, posseduto dal demone della creatività, non riuscivo a fermarmi neppure per andare al bagno. Figuriamoci rileggere. Questo è un bene dal punto di vista della creazione, ma ti espone a molti errori e, fra questi, c’è il rischio di non dosare le varie sequenze in modo equilibrato. Quando termino la prima stesura di un romanzo inizio a revisionare il tutto evidenziando il testo con colori differenti a seconda del tipo di sequenza che ho scritto. Questo mi aiuta a comprendere se ho scritto un dialogo troppo lungo, o una descrizione troppo breve, o un flusso di coscienza intollerabile.

Come sempre puoi adottare questo accorgimento o meno, la scelta è sempre tua, però a mio modo di vedere si tratta di un metodo di analisi del testo molto efficace e, soprattutto, che ti consente di individuare subito se qualcosa a livello di sequenze narratologiche non va.

E siamo arrivati al termine anche oggi. Continua a migliorare il tuo livello di scrittura e, come sempre, se hai dubbi sono qua.

Autore William Silvestri

Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.