È vero ed è stato provato e riprovato in una serie ormai infinita di articoli scientifici nei più grandi giornali: i migliori chirurghi, in tutte le specialità, ottengono i migliori risultati, nella maggior parte delle operazioni eseguite.
Però, e questo fa parte della personalità, il 90% di loro ritiene di essere nei top 10% del proprio campo. E, quando chiediamo dei loro risultati, la risposta è che sono sempre eccellenti.
La realtà è ben diversa. Sarebbe bellissimo se fosse davvero così. Quando, però, esaminiamo in maniera scientifica i risultati degli studi di alcune delle più frequenti procedure chirurgiche in ortopedia, come la ricostruzione del legamento crociato anteriore, la riparazione della cuffia dei rotatori della spalla, la protesi del ginocchio e dell’anca, si scopre che il tasso di successo realmente classificato come “eccellente” è meno del 75%.
I risultati “buoni” sono inglobati con quelli “eccellenti”, ed in questa maniera il tasso di successo statistico raggiunge un livello accettabile. E questo è quanto poi diciamo ai nostri pazienti. Questo paradigma permea buona parte della nostra pratica quotidiana. Fin qui, sarebbe ancora accettabile.
Quanti di noi chirurghi, però, effettivamente seguono, in maniera scientificamente accettabile, i propri pazienti operati?
Si sente spesso dire
Opero talmente tanto che non ho il tempo di far ricerca.
È un bene? In altri Paesi si sono istituiti una serie di registri nazionali su protesi di anca e ginocchio, ad esempio. Ogni anno, in maniera anonima, si pubblicano i dati del registro. Però, ciascun chirurgo riceve i propri dati in relazione a quelli dei propri colleghi. Così si può capire se effettivamente le cose stanno andando bene.
Per definizione, il 50% di noi sono al di sopra della media ed il 50% al di sotto di essa. Se si è parecchio al di sotto, allora bisogna prendere provvedimenti. In questo caso il capo dipartimento viene informato, in maniera confidenziale, ed il chirurgo deve andare incontro ad un periodo di pratica clinica supervisionata, sotto la guida di colleghi più esperti per ritornare a livelli accettabili.
Suppongo che in Italia questo approccio, che serve a salvaguardare lo stato di salute dei pazienti, sarebbe considerato troppo intrusivo nei confronti del chirurgo, al quale sarà permesso di continuare a dire di essere nel top 10%, e mai ammetterà che in realtà è nel 10% più basso.
In ogni caso, la chirurgia dei tessuti articolari danneggiati e la sostituzione protesica delle articolazioni usurate non ripristina la normale anatomia.
Eccetto per l’osso, che ritorna davvero alla normalità, il resto dei nostri tessuti muscoloscheletrici è costituito da collageno che spesso guarisce con la formazione di nuove fibre disorganizzate, tessuto cicatriziale o altri componenti, e l’area lesa funziona in modo diverso dal normale. Questo nuovo è di buona qualità, ma spesso i tessuti si allungano, si cicatrizzano, perdono flessibilità o cedono completamente.
Per giungere davvero all’eccellenza, è necessario abbracciare un nuovo paradigma. Lo specialista della riabilitazione deve essere coinvolto prima dell’operazione chirurgica: un intervento eseguito perfettamente può essere rovinato da una cattiva o assente riabilitazione.
In quel momento, il paziente deve essere considerato, e deve considerarsi, un “atleta in allenamento” in maniera tale che, durante la riabilitazione, la perdita muscolare, l’atrofia ossea e la depressione non vanifichino quanto ha fatto il chirurgo.
Dobbiamo cercare di supplire alla mancata rigenerazione. Fattori di crescita e citochine sono importanti e sono secreti in maniera massiva dopo un trauma.
Basta osservare quello che succede ad atleti di élite quando subiscono una lesione del ligamento crociato anteriore. Sono operati subito e bene, e sono riabilitati al meglio. Eppure, una notevole percentuale di loro, nonostante sia completamente guarita, non ritorna mai alla completa normalità. Ogni anno, li vediamo ritornare sul campo e subire una recidiva della lesione appena ricostruita.
Solo ora stiamo incominciando a studiare la relazione fra sistema muscoloscheletrico e sistema nervoso centrale e pochi di noi ne sanno abbastanza per poter utilizzare le proprie conoscenze in maniera concertata e mirata.
Troppo spesso il paziente stesso, quasi come il chirurgo, si ritiene al top 10%, e pensa di poter recuperare velocissimamente, senza input di uno specialista della riabilitazione. Ne pagherà il prezzo.
I risultati “abbastanza buoni” semplicemente non dovrebbero essere accettati come gold standard. I dati sono chiari: non siamo bravi come pensiamo di essere nel riparare e ricostruire la maggior parte degli infortuni.
L’uso di fattori di crescita, chirurgia navigata od assistita da robot, per quanto di moda, non possono sostituire la biologia ed accelerare tempi di recupero che hanno impiegato milioni di anni per essere ottimizzati.
Non bisogna aver fretta: i chirurghi davvero coscienziosi dicono la verità, anche se non è quella che i pazienti vogliono sentirsi dire.
Il Prof. Nicola Maffulli sarà a disposizione per rispondere ai quesiti che gli arriveranno alla mail ortopedicorisponde@expartibus.it.
Autore Nicola Maffulli
L'autore più citato in ortopedia, il Professor Nicola Maffulli, è superspecializzato in traumatologia sportiva. Ha pubblicato più di 1.200 articoli su riviste scientifiche e 12 libri e ha descritto oltre 40 nuove tecniche chirurgiche in chirurgia del ginocchio, piede e caviglia e chirurgia sportiva, molte delle quali sono state ampiamente adottate in tutto il mondo. Atleta in gioventù, il suo sogno di andare alle Olimpiadi è stato realizzato a Londra: ha guidato un gruppo di sette chirurghi ortopedici per le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Londra, ed ha poi organizzato i servizi medici delle Universiadi 2019. Giornalista pubblicista, risponde ai lettori alla mail ortopedicorisponde@expartibus.it su problematiche di natura ortopedica e traumatologica.
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