Quante volte parenti, amici, conoscenti o un avventore di una discussione vi hanno mandato all’inferno e voi non avete potuto esaudire il loro desiderio perché ignoravate il luogo dove si poteva accedervi?
Ebbene ve lo diciamo noi e per farlo scomodiamo, niente poco di meno che, la guida del sommo Poeta, quel Publio Virgilio Marone che nel settimo canto dell’Eneide afferma:
Est locus Italiae medio sub montibus altis nobilis et fama multis memoratus in oris, Ampsanctis Valles…
Che tradotto in italiano è:
Vi è un luogo al centro dell’Italia circondato da alte montagne famoso e celebre in ogni posto, la Valle d’Ansanto…
Questa zona è nota da sempre per la presenza di un piccolo lago di soli quaranta metri e profondo solo due, dalla forma triangolare chiamato Mefite, caratterizzato dalla presenza di gas solforosi provenienti dal sottosuolo e che, a contatto con l’acqua, generano un ribollire di esalazioni tossiche.
Signore incontrastato di questo luogo è lo zolfo, infatti sulle sponde di questo “specchio liquido” vi è assenza di vegetazione, fatta esclusione di alcune rade ginestre presenti comunque ad una distanza di “sicurezza”.
Questo laghetto, dalla notte dei tempi era dedicato al culto della dea Mefite, che, in un primo tempo, era considerata divinità benigna e protettrice, simbolo di fertilità.
Successivamente, le cose cambiarono e divenne un’entità malefica intorno alla quale sorsero leggende ancora vive nella tradizione popolare.
Molti personaggi illustri hanno visitato questi luoghi, come Cicerone, il già citato Virgilio, Seneca, Sant’Agostino, Plinio ed altri ancora.
A Mefite, comunque, si associa il concetto della morte, soprattutto per le esalazioni, che avevano fatto credere agli abitanti del luogo che la Dea preferisse uccidere ella stessa le vittime sacrificali.
Con l’avvento del Cristianesimo, la Mefite diventò sinonimo dell’Inferno e le esalazioni gassose divennero espressione del diavolo. Il suo tempio fu distrutto e, grazie a San felice da Nola, evangelizzatore di quei luoghi, sostituito da una chiesa cristiana, Santa Felicita e i suoi 7 figli martiri.
Ovviamente, sorsero leggende e racconti che, tramandati di generazione in generazione, ancora oggi sopravvivono nella memoria popolare. Si crede che i diavoli vadano a zonzo tra queste colline e che cerchino di trascinare con loro le anime dei malcapitati nelle bocche gassose che sono considerate le porte dell’inferno.
Ci sono, poi, altre credenze di tipo naturalistico: quando il laghetto rumoreggia in modo strano, con forti boati, una persona deve morire; quando le acque si alzano diventando scure, il fango ribolle eccessivamente ed il fetore si fa insopportabile, qualche calamità naturale è in agguato. Infatti, si dice che prima del sisma del 23 novembre 1980 le acque del fiume fossero diventate nere.
Fra le molte “leggende metropolitane” dell’epoca sulla Mefite, ne segnaliamo tre.
Un uomo, nel mezzo della notte, udì colpi d’ascia provenire dal suo terreno e, sospettando che fossero i ladri, si alzò per andare a vedere ma, uscito, si rese conto che il rumore aveva origine dalle bocche del laghetto e capì che era il diavolo che cercava di tentarlo ed attrarlo a sé.
Un puledro abbandonato fu ritrovato da un uomo nei pressi della Mefite e portato nella sua stalla, ma la bestia, insofferente alla corda a cui era stata legata, la spezzò con un colpo violento. L’episodio si ripeté più volte, finché egli pensò ad alta voce che quel cavallo fosse un Diavolo che scomparve davanti quando pronunciò “Dio”.
Altra avventura fu quella di un contadino del posto che, terminata la trebbiatura nei suoi campi situati vicino alla Mefite, mentre la luna brillava, caricò il suo grano su due muli per tornare in paese. Giunto dinnanzi alla chiesa di Santa Felicita incontrò un uomo che lo invitò a seguirlo lungo una stradina che si trasformò prima in una grotta e poi in una galleria, alla fine della quale i due si trovarono di fronte ad un alta roccia ai piedi della quale vi era una buca piena di monete d’oro. L’agricoltore, non avendo mai visto così tanto denaro, pensò d’impossessarsene, ma lo sconosciuto gli propose un patto diabolico: il bottino in cambio della sua anima! Spaventato fuggì, tornando sulla strada verso casa.
Quest’ultimo aneddoto ha dato il là alla leggenda secondo la quale, in prossimità della Mefite, ci fosse un tesoro e molti hanno provato a scavare, tra cui anche un tale che, tantissimi anni fa, raccontava di aver sognato Santa Felicita che gli avrebbe indicato il punto esatto dove cercare, mettendolo però in guardia di non farsi spaventare dal serpente messo a sorvegliare l’oro. Poiché il sogno si ripeté, l’uomo decise di tentare, ma dopo aver trovato il cofanetto segreto, fu atterrito da un grosso rettile simile ad un drago che lo fece scappare via.
Discorso a parte merita la leggenda seconda la quale Plutone rapì Proserpina. Sembra che il Dio degli Inferi fosse fuoriuscito dalle profondità della terra nelle vicinanze della Mefite, su un cocchio trainato da quattro cavalli di colore nero e, con le sue braccia possenti, avesse afferrato la giovane portandola con sé nel regno dei morti e consentendole di tornare sulla terra solo in una parte dell’anno, la primavera.
Stando al mito, dunque, quando Proserpina è nell’Ade, la natura si addormenta, dando origine all’autunno e all’inverno, mentre nei restanti sei mesi la terra rifiorisce, dando origine alla primavera e all’estate.
Il lago della Mefite si trova a Rocca San Felice in provincia di Avellino, uscita autostradale Grottaminarda. Chi oggi volesse visitarlo può farlo liberamente, ma con grande cautela, ed è necessario si trattenga il meno possibile per via dei fumi, in quanto in alcuni momenti, accostarvisi troppo è pericoloso, tanto l’aria è pesante ed irrespirabile.
Non a caso, si sono registrate diverse morti, sia di persone che di animali e per chiunque voglia avvicinarsi è consigliabile mettersi sopra vento.
Autore Cinzia Bisogno
Cinzia Bisogno, nata a Salerno, artista iperrealista, collabora con terronitv.