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Se lo dice Barbera. Mostra in Mostra

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Michael Caine


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I primi occhi che incontro sono quelli di Michael Caine. Veste gli insoliti panni del proiezionista. Ammicca per farmi entrare. Non è possibile resistere. Allora entro. L’ingresso con tanto di tappeto rosso è quello del dimesso Hotel Des Bains.
È imperdonabilmente chiuso, come diversi altri alberghi qui a Venezia Lido.

Per fortuna gli attuali proprietari del Des Bains si sono resi disponibili ad accogliervi ‘Il cinema in Mostra. Volti e immagini della Mostra Internazionale di Arte cinematografica 1932-2018’. È questo il titolo dell’esposizione curata personalmente da Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, allestimento e messa a punto dell’ASAC, che espone foto, filmati, manifesti e documenti relativi appunto alla storia della Mostra.

L’archivio su cui è possibile contare per la realizzazione di questo racconto è veramente sterminato, ma per chi cura un allestimento la dimensione enorme del repertorio disponibile a volte rende le cose più difficili, anziché semplificarle.

Sono immediatamente conquistata dall’atmosfera. Il legno scuro delle porte, la luce che entra dalla portafinestra e il verde che spunta da tutte le parti e fa capolino verso l’interno come a voler sbirciare pure lui la Loren e Orson Welles. Il racconto procede di decennio in decennio, vedo subito che si tratta di una sequenza di relativamente poche immagini scelte, a fronte delle migliaia di cui l’archivio veneziano dispone, come si farebbe per costruire un album di famiglia. Sono stati, infatti, stampati dai negativi solo le foto indispensabili al racconto e quelle nelle quali siamo venuti bene. Questa storia Alberto Barbera ha voluto narrarla mettendo in primo piano solo gli eccellenti protagonisti: la storia italiana e i grandi artisti che hanno popolato questi 75 anni di cinema nel mondo.

Paolo Baratta, presidente della Biennale, dice nella sua introduzione alla Mostra che si tratta di:

Immagini e volti di una lunga storia, che è storia del cinema, ma nella quale si intravvedono o si riflettono fatti e vicende della Storia dell’Italia e del Mondo.

Si procede, dicevamo, a capitoli di dieci anni per volta. La prima edizione è quella del 1932. Nei primi anni di vita, dunque, questo racconto non può ignorare immagini che ritraggono un pubblico circondato dalle bandiere che inneggiano al fascio e svastiche, un pubblico di soli militari, insomma fotografie che raccontano dell’epoca difficile anche nelle foto di scena. Il ritratto di Göbbels che ammicca a Pavolini fa male anche quasi un secolo dopo. Per non parlare delle immagini tratte da film che pur in un solo scatto permettono di vedere il racconto a unica voce narrante la razza ariana.

Solo le facce di Rossano Brazzi e Alida Valli in ‘Noi vivi’ mi strappano un sorriso, ma è perché mi ricordano l’odore di buono e la risata di pancia di mia nonna Maria. Faccio il giro delle epoche insieme alle foto. Un’installazione video presenta un montaggio di spezzoni di film che hanno partecipato al concorso. Le foto, invece, sono diverse come contenuto. Vanno da scene del film vero e proprio, a immagini dei registi, degli attori, delle sale, della gente per strada che guarda adorante i divi, della strada stessa dell’albergo nel quale risiedono, del sorriso stampato in faccia di chi ha il premio in mano.

Insomma, un racconto eterogeneo. Chiaramente a farla da padrone i “Nomi” del cinema mondiale. Orson Welles che chiacchiera con Darryl F. Zanuck, noto produttore cinematografico, mentre, come si direbbe dalle mise, tornano dal mare. Erano a Venezia con ‘Macbeth’. Ammetto di essere particolarmente sensibile alle immagini che ritraggono gli anni Cinquanta e i loro divi, ed anche quelle di colore, come quella della delegazione giapponese in visita al Lido.

Trovo la scelta delle foto veramente efficace per come ha spaziato senza esitazioni tra i generi: c’è il racconto della scena e del dietro le quinte, la storia delle persone e quella dei personaggi. In particolare gli anni della contestazione, intorno al ’68, invitano la Mostra, come il Paese, ad una rivisitazione dei modi di stare al mondo. Si manifesta perché siano rappresentate le idee piuttosto che i grandi nomi, perché ci sia uno spazio più grande per il cinema cosiddetto di autore che per i successi “commerciali”. Sono anni nei quali i manifesti portano un elenco di nomi di illustri sconosciuti, perlopiù rimasti tali: non si saprà mai se per colpa di un sistema che, fuori determinate regole commerciali, ha la tendenza a distruggere quello che non può capire. L’anima di questa manifestazione, d’altra parte, è stato rimarcato più volte nel tempo, mira più all’immortalità dell’arte che alla gloria del cinema fine a se stesso.

Non a caso la mostra del cinema è inserita nel contesto più generale di una biennale dell’arte perché come dicono gli stessi organizzatori:

La Mostra vuole favorire la conoscenza e la diffusione del cinema internazionale in tutte le sue forme di arte, di spettacolo e di industria, in uno spirito di libertà e di dialogo.

Quante immancabili polemiche si porta dietro ogni festival: chi è stato ammesso, chi ha avuto più o meno giustamente il premio, chi ha vinto. Venezia non fa eccezione. Anche gli anni considerati bui, quelli cioè dal ’69 al ’77, definiti “Gli anni dell’abbandono. Il decennio senza concorso”, rappresentano una tappa fondamentale di questa storia. Sono probabilmente questi anni che permettono l’impennata successiva di orgoglio per un ritorno del GRANDE cinema nelle sale del Lido. Maestose le arene all’aperto piene delle sedute aggiunte, perché quelle previste non bastavano. Gli spettatori che si aggiungevano di corsa, all’ultimo momento, per non perdersi lo spettacolo. Mi sembra di sentirli… gli anni in cui esisteva la meraviglia, o meglio la capacità di meravigliarsi. Eppure, guardando il procedere delle epoche, capisco dalle foto, che scorro prima velocemente e sulle quali poi ritorno, che c’è sempre stato bisogno e sempre ci sarà della Storia del sogno. Di chi il sogno sa raccontarlo e farlo diventare opera d’arte.

Incontro ancora Pasolini e Rosi e poi Il colore che irrompe importante e definitivo a prendersi la scena. Gli anni ’80. ‘Il sole sorge ancora. La mostra si reinventa’. Questi volti per me hanno il sapore degli amici. Sono cresciuta insieme a loro. Ciao Robin… quanto sei stato bravo in ‘Goodmorning Vietnam’, quanto mi manchi. E poi Michael J. Fox, che rivedo timido cercare le parole nell’intervista che la RAI ha montato insieme alle voci ed alle manifestazioni di quegli anni. Quanta Italia e che mondo!!!

È la volta degli anni ’90 e 2000 girato l’angolo; tra tanti grandi mi viene da sorridere quanto vedo il nostro maestro Avitabile, altrettanto conosciuto, ma per me una faccia familiare e vicina che mi piace sia mischiata a tanta internazionalità. E poi c’è pure Tony accanto a lui, o meglio nello stesso pannello, ma nella stampa accanto. Mi sento a casa. A chiudere il percorso un’area per i selfie. Gigantografie davanti alle quali portarsi il telefonino a mo’ di specchio, poi, chiaramente, fare boccuccia accanto a George Clooney.

Sfoglio il catalogo della mostra e sono grata a Barbera per aver scritto le seguenti righe che mi hanno aiutato a capire molto non solo della Biennale:

… viviamo in un’epoca in cui i festival si riproducono anziché ridursi. Perché il ‘festivalismo’ è un fenomeno inarrestabile in quanto generato dalla stessa proliferazione del consumo individuale imposto dalla Rete. Perché risponde a quell’inarrestabile voglia di comunità che altri luoghi di lunga consuetudine socializzante come le parrocchie, i partiti e le università, non sono più in grado di soddisfare. Ritrovare il gusto unico e irripetibile di scoprire un nuovo, attraverso film in compagnia di altre mille persone e degli stessi autori, condividendone le emozioni, tornando a confrontarsi, magari a dividersi, misurando i propri gusti e le opinioni con quelle degli altri.

È proprio così. C’è bisogno di collettività. Abbiamo bisogno di condivisione, tutta quella che si può e preferibilmente di alto profilo per migliorarci, per migliorare.
Mi prendo un po’ di tempo. Ci penso su e vado via ripromettendomi di tornare a mente fresca il giorno dopo. E così faccio.

Sono attenta ai frequentatori stavolta e mi diverto a fare conversazione e cercare sponde anche tra gli stranieri. Chiedo ad una signora americana, che osserva da buoni dieci minuti Marcello Mastroianni, se ne ha mai visto un film. Mi racconta di Fellini come fosse stato suo fratello, sa più cose dello stesso Storaro sulla storia di Cinecittà. Insomma, un pubblico di amanti. Di amori. Di innamorati senza tregua, senza sosta senza paura.

Nelle ore successive sapremo che ha vinto Netflix, per usare la formula che è tanto piaciuta ai giornali. Io penso che abbia vinto la capacità di raccontare un sogno e che, come ‘Nuovo Cinema Paradiso’ ci ha insegnato, anche proiettarlo sulla parete di fronte invece che nella sala chiusa VALE. È CINEMA. Concludo dunque con le parole del curatore di questa Mostra e della Mostra del cinema, Barbera:

… la Mostra ha un senso se è più un luogo di sperimentazione che una vetrina, se serve ad arricchire i suoi frequentatori, se diventa a propria volta un produttore di contenuti inediti. Infine, se ci aiuta a scoprire film capaci di aiutarci a interpretare il passato dietro di noi a decifrare il futuro davanti a noi, lontani dalle dittature del “presentismo”. Lo ha detto non ricordo chi, aggiungendo: ‘Niente è così grande da valer la pena di essere difeso. Ma niente è così trascurabile da non poter essere amato’. Dunque, amate anche voi la Mostra insieme a noi.

Foto Barbara Napolitano

Autore Barbara Napolitano

Barbara Napolitano, nata a Napoli nel dicembre del 1971, si avvicina fin da ragazza allo studio dell’antropologia per districare il suo complicato albero genealogico, che vede protagonisti, tra l’altro, un nonno filippino ed una bisnonna sudamericana. Completati gli studi universitari si occupa di Antropologia Visuale, pubblicando articoli e saggi nel merito, e lavorando sempre più spesso nell’ambito del filmato documentaristico. Come regista il suo lavoro più conosciuto è legato alle dirette televisive dedicate a opere teatrali e liriche. Come regista teatrale e autrice mette in scena ‘Le metamorfosi di Nanni’, con protagonisti Lello Arena e Giovanni Block. Per la narrativa pubblica ‘Zaro. Avventure di un visionauta’ (2003), ‘Il mercante di favole su misura’ (2007), ‘Allora sono cretina’ (2013), ‘Pazienti inGattiviti’ (2016) ‘Le metamorfosi di Nanni’ (2019). Il libro ‘Produzione televisiva’ (2014), invece, è dedicato al mondo della TV. Ha tenuto i blog ‘iltempoelafotografia’ ed ‘il niminchialista cinematografico’ dedicati alla multimedialità.