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Scommettiamo che…

Scommesse


Ci sono tre modi per rovinare una società: con le donne, che è il più comodo; con il gioco, che è il più veloce; coi computer, che è il più sicuro.
Oswald Dreyer Eimbcke

Le trasformazioni sociali che hanno investito i Paesi occidentali negli ultimi decenni hanno determinato anche un cambiamento dei comportamenti di consumo patologico. Nelle dipendenze, infatti, operano al contempo fattori psicologici, individuali e sociali.

È di questi giorni l’uragano che si è abbattuto sul mondo del calcio, direi l’ennesimo. Stavolta ad essere protagonisti sono una serie di calciatori noti ma, soprattutto, giovanissimi che rappresentavano il futuro del nostro pallone nazionale.

Fagioli, Tonali e Zaniolo sono i primi nomi. Ce ne saranno altri? Forse, intanto lo sport più amato nel mondo ha fatto autogol.

Quello che colpisce, stavolta, è che ad essere carnefici e vittima, allo stesso tempo, sono pivelli a cui potrebbe, nonostante la giovane età, già non mancare nulla. Giovani, ricchi e famosi eppure fragili. Deboli, annoiati, angosciati.

Diventano, allora, vite con un’ascesa purgatoriale, che ha continuamente bisogno di sentirsi dichiarata la fedeltà a sé, al suo senso. Nel 2020, un report di Nomisma indicava che il 42% per cento dei ragazzi italiani tra quattordici e diciannove anni gioca d’azzardo, e di questi il 9% sviluppa pratiche di gioco problematiche.

Lo sport italiano sembra non avere tuttora piena consapevolezza del problema né delle proprie responsabilità a riguardo. Si apre il dibattito.

Contro un indifferentismo dilagante di chi marcisce in una cella che con l’aria risucchia la voglia di vita, di riscatto sociale, sentenziando questo barbaglio accecato, acefalo. Contro una società, una cultura globalizzata politicamente promossa che fa dei centri Snai gli unici centri di aggregazione sociale. Contro una plumbea cupidigia. Contro tutto questo ciarpame, un dardo di luce, una via di fuga fatta di vigile leggerezza non ci resta che l’orgoglio del cittadino, dell’individuo in quanto animale sociale.

Intanto, va chiarito cos’è la ludopatia. Il suo significato, dal latino ludus, gioco, e dal greco pathia, sofferenza, quale malattia del gioco, trova infatti riscontro in una forma di dipendenza comportamentale, simile a quella da tossicodipendenze e disturbi dello spettro ossessivo – compulsivo, come la dipendenza da acquisti, giochi elettronici, social network e Internet, secondo la classificazione nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), il principale riferimento per i professionisti di salute mentale.

Durante i periodi di stress o depressione, l’urgenza di dedicarsi al gioco d’azzardo per le persone che ne sono affette può diventare completamente incontrollabile, esponendoli a gravi conseguenze, personali e sociali. Per continuare a dedicarsi al gioco d’azzardo e alle scommesse, chi è affetto da ludopatia trascura lo studio o il lavoro e può arrivare a commettere furti o frodi.

L’ingresso nel mondo delle scommesse apre la porta a un sistema che, attraverso i circuiti dopaminergici, aggancia l’individuo in un ciclo ossessivo. Questo processo riduce la capacità di controllo cognitivo, trasformando la dipendenza in una ‘passione irrefrenabile’.

La ludopatia può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio.

Perché va delineato un quadro d’insieme che mette in luce la complessità e le molteplici sfaccettature del gambling a partire dall’incerto confine tra normalità e patologia, sottolineando, alla fine, la necessità di un approccio multidimensionale e di sviluppo di programmi di trattamento multimodali in grado di comprendere le diverse angolazioni e specificità che il gioco d’azzardo patologico presenta.

Lo sappiamo, le dipendenze sono le patologie più rappresentative dell’epoca in cui viviamo, caratterizzata dalla frequenza con la quale una moltitudine di persone ingaggia un comportamento e uno stile di vita insani e distruttivi, con la convinzione paradossale che il contenuto e la modalità della propria dipendenza siano espressione della personale ricerca di libertà e benessere.

Basterebbe questo: probabilità di fare 6 al superenalotto: 1 su 622.614.630. Probabilità di prendere una cinquina al lotto: 1 su 43.949.268. Probabilità di morire colpiti da un fulmine nel corso di un anno: 1 su 12.000.000. Sarebbero sufficienti questi dati a scoraggiare qualunque potenziale giocatore d’azzardo.

Ma le dinamiche della dipendenza da gioco, della cosiddetta ludopatia, sono molto più complesse e delicate. Insomma, non è un gioco. È ormai riconosciuto quanto siano rilevanti le ripercussioni economiche, psicologiche e relazionali dei comportamenti di gioco eccessivo sull’individuo e il suo ambiente sociale.

Con l’aumento delle occasioni di gioco a partire dai primi anni Duemila, anche in Italia questo tema è assurto agli onori della cronaca, generando allarme sociale, mobilitando l’opinione pubblica e attivando i decisori politici a livello locale e nazionale.

Secondo gli ultimi studi più accreditati questa patologia, i cui tratti più significativi possono essere individuati anche tramite la somministrazione di uno specifico test del South Oaks Gambling Screen, SOGS, può essere originata dalla presenza di differenti e numerosi fattori concausali: predisposizione genetica, caratteristiche caratteriali specifiche, impulsività, difficoltà nel comprendere o nel gestire le proprie emozioni, diffusione e promozione sociale del gioco d’azzardo.

Gli stessi studi chiariscono che le motivazioni personali che rendono l’azzardo così attraente e popolare sono indubbiamente la speranza di un guadagno facile, di cambiare la propria vita, di riscatto sociale, ma soprattutto le forti emozioni, legate al rischio, che da molte persone sono percepite come particolarmente piacevoli e stimolanti.

L’impulso irrefrenabile a continuare a ripetere il comportamento di gioco connessa alla necessità di giocare sempre di più, sintomi comuni di questa patologia, portano, inevitabilmente, ad una spirale di fallimento sia personale che, molto spesso, anche della famiglia di cui la persona fa parte.

L’essere tempestivi può essere indubbiamente un fattore decisivo, sia per aiutare il soggetto a tutelare la sua salute, sia sotto per salvaguardarne il patrimonio e quello altrui, se notate che un familiare incomincia ad affezionarsi troppo intensamente alla mania del gioco.

Gli esperti sostengono che sperare che un ludopatico smetta da solo non è soltanto un’illusione, ma è concedere al giocatore la possibilità di portare l’intera famiglia al fallimento totale sotto ogni punto di vista.

Tornando al mondo dello sport, gli psicologi danno al fenomeno anche un’altra interpretazione: alcuni calciatori interiorizzano una competitività sempre maggiore che emerge nei momenti di riposo e le scommesse sportive, in cui l’azzardo viene confuso come abilità personale, sostituiscono l’adrenalina del match.

Insomma, un modo pericoloso di colmare i vuoti, le pause tra allenamenti e partite che una volta erano dedicate alla socializzazione. L’immaturità nel gestire successo e ricchezza, soprattutto a giovane età, può condurre a scelte nefaste.

La sfida potrebbe essere recuperare il gioco nella sua dimensione creativa, che contiene quell’emozione e quell’intimità che permette di creare qualcosa di personale e di non vivere sul bordo della vita. E questo non è una scommessa.

La vita è un gioco di probabilità terribile; se fosse una scommessa non punterei su di essa.
Tom Stoppard 

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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