Cos’è un romanzo? La risposta è ovvia: una storia, che il suo autore ha deciso di raccontare. Ebbene, una delle scelte più importanti da fare “a monte” quando si progetta una nuova storia è in che modo si desidera raccontarla.
Il narratore è colui che si occupa di raccontare la storia, quello che oggi secondo un anglicismo che detesto viene chiamato anche story teller. Ma attenzione, non è detto che narratore e autore siano la stessa persona. Sì, l’autore è chi scrive il testo, ma il narratore è uno strumento narrativo, un espediente letterario, e l’autore può scegliere di impersonarlo oppure no.
Non esiste un modo unico o migliore degli altri per narrare una storia. Ciascuno adotta quello che preferisce o verso il quale si sente più portato. Spesso poi gli autori cambiano tecnica narrante da libro a libro, e questo non significa che abbiano mutato idea e ripudiato il registro narrativo che avevano impiegato in passato.
La scelta del narratore influenza la visuale che si vuol fornire ai lettori e, a volte, anche il rapporto con loro. Fra breve vedremo come. Prima di tutto però fammi introdurre la prima grande decisione che un autore deve prendere in merito alla scelta del narratore: prima o terza persona? In una storia raccontata in prima persona il narratore coincide col protagonista. Si parla a tal proposito di io narrante:
Inizio a camminare.
Cammino lento perché non ho bisogno di correre. Cammino lento perché non voglio correre. Tutto è previsto, anche il tempo legato al mio passo. Ho calcolato che mi bastano otto minuti. Al polso ho un orologio da pochi dollari e un peso nella tasca della giacca.
Questo è l’incipit di Io sono Dio, romanzo pubblicato nel 2009 da Giorgio Faletti. Lo stesso autore optò invece per la narrazione in terza persona in altre sue opere, sia prima che dopo quella citata. Questo ad esempio è l’incipit di Pochi inutili nascondigli, un suo racconto del 2008:
La casa è piuttosto strana, però di qua la vista è stupenda!
In piedi sulla soglia, Marco si girò verso la sorella. Stava ritta sulla scogliera che precipitava a picco nel mare, una ventina di metri oltre il piccolo giardino delimitato da un muretto bianco.
In questo caso Faletti scelse di narrare la storia in terza persona, e come puoi vedere il narratore qui non è il protagonista ma un’altra persona o, per meglio dire, qualcuno esterno alle vicende. Se la prima differenza fra queste due tipologie di narrazione è lapalissiana, ben più sottili sono le loro caratteristiche. In verità esistono pro e contro che ho provato a sintetizzare nelle seguenti tabelle.
Narrazione in prima persona |
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È, teoricamente, più semplice | Raccontando emozioni e pensieri del protagonista, permette di evitare la regola dello show, don’t tell |
Permette di identificarsi col protagonista | La storia viene raccontata dal punto di vista del personaggio principale ed è quindi più facile identificarsi per chi legge |
Rafforza l’empatia con il lettore | Proprio perché il lettore si cala nel personaggio, questo legame rafforza l’empatia e il pathos giacché vive e prova le sue stesse emozioni. |
Narrazione in prima persona Contro |
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Narrazione limitata a un solo punto di vista | Non puoi scrivere quello che pensano gli altri personaggi, tutto ciò che fanno deve essere espresso attraverso gli occhi e le parole del protagonista |
Il narratore non è al corrente di tutti i fatti | Il protagonista scopre gli elementi della storia man mano che procede la narrazione. |
I “cambi di campo” sono quasi impossibili | Se succede qualcosa all’insaputa del protagonista, diventa assai difficile descriverlo visto che non è presente. |
Narrazione in terza persona Pro |
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Narrazione da più punti di vista | Puoi raccontare il punto di vista dei vari personaggi o addirittura offrire al lettore il punto di vista dell’autore |
Nessun limite narrativo | Puoi raccontare le azioni di un personaggio senza la presenza del protagonista, inserire analessi e prolessi |
È più vivace | Dato che i personaggi, e il narratore, interagiscono ciascuno dal suo punto di vista, narrazione e dialoghi sono più vivi. |
Narrazione in terza persona Contro |
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Più difficile coinvolgere il lettore | Non identificando il narratore col protagonista, pathos ed empatia non sono automatici. |
È indispensabile mostrare cosa accade | Viene meno il “trucchetto” di raccontare le cose con i pensieri del protagonista, quindi tutto dev’essere mostrato e reso credibile. |
È più complicato mantenere la coerenza | Proprio perché ci sono più “voci” e salti narrativi, si è esposti a errori logici o incoerenze sui fatti narrati. |
Come avrai capito, in entrambe le soluzioni i punti a favore e contro si bilanciano e non esiste una tecnica migliore dell’altra. È probabile che un autore alle prime armi possa preferire la prima persona, ma come vedi anche lì ci sono difficoltà.
Nella scelta quel che deve pesare è il tipo di storia che stai raccontando: se racconti una storia d’amore, o stai scrivendo un romanzo di formazione, oppure un racconto introspettivo / psicologico, la prima persona è la scelta più indicata perché ti permette di esternare le emozioni provate dal protagonista; in un thriller, un giallo o un fantasy invece interagiscono più personaggi più o meno della stessa importanza, per cui forse sarebbe preferibile adottare la terza persona. Queste comunque non sono regole assolute. Esistono fantastici thriller scritti in prima persona, per esempio.
Forse la vera discriminante nella scelta è il peso specifico dei personaggi. Se nella tua storia c’è un protagonista che fa la parte del leone, meglio la prima persona; viceversa, la terza persona è la scelta più idonea a raccontare le vicende con gli occhi di diversi personaggi tutti importanti più o meno nella stessa misura.
In ‘Serial Kinder‘ i protagonisti sono quattro vecchietti ed è scritto in terza persona; viceversa il libro al quale sto lavorando ora, ‘Io e la mia scimmia’, già dal titolo ti fa capire che conoscerai un unico protagonista. Difatti la storia è raccontata in prima persona.
A proposito di terza persona, c’è da fare un’ulteriore distinzione. Il narratore in terza persona può essere limitato oppure onnisciente. Vediamo cosa significa. La distinzione verte sul livello di conoscenza dei fatti. Il narratore limitato non è a conoscenza di tutte le vicende: ne conosce una parte, oppure nessuna e le apprende assieme al lettore; al contrario, il narratore onnisciente è già al corrente di tutta la storia – cioè di quel che è successo prima, che sta accadendo mentre leggi e che accadrà dopo – e gioca col lettore, raccontando i fatti mescolati a suo piacimento.
A sua volta, il narratore limitato può essere soggettivo oppure oggettivo: il primo è un personaggio vero e proprio, che però non conosce e non ha a che fare con le vicende che narra. Pensa ad esempio al racconto di una rapina in un supermercato e immagina, che so, una signora che mentre sceglie la frutta assiste alla scena.
Questa scelta permette di continuare a narrare in terza persona, il narratore è esterno, e di certo la sua conoscenza delle cose è limitata, ma è un tipo di narrazione che si avvicina molto a quella in prima persona perché i fatti sono narrati con gli occhi del personaggio, e questo ti offre la possibilità di far emergere la sua personalità, introdurre più pathos insieme alle emozioni di chi narra.
Invece il narratore limitato oggettivo è più simile a un cronista, a un giornalista che si limiti a riportare, non raccontare, i fatti così come li vede o ne è a conoscenza. Una sorta di narratore “super partes” che, lungi dal provare sensazioni e coinvolgimento emotivo circa le vicende che riporta, ti permette di avere una narrazione imparziale senza fornire giudizi su ciò che esterna.
A proposito di giudizi. Si è detto, ed è vero anche secondo me, che fra i narratori in terza persona quello onnisciente sia il più affidabile. Tuttavia proprio perché “sa tutto” – ossia conosce cioè vita – morte – e – miracoli dei protagonisti, i loro pregi e difetti, i loro vizi, il loro passato e il loro futuro – è anche fra tutti il narratore più esposto all’imparzialità. Ossia, quello che è più a rischio di esprimere giudizi sui personaggi. Anzi era prassi comune in passato, pensa a Tolstoj o a Jane Austen, farcire i propri romanzi di giudizi sulle vicende e sui personaggi, e spesso l’autore-narratore si ergeva quasi a moralizzatore.
A me questo tipo di approccio non piace molto perché ritengo che il narratore debba rimanere imparziale, specie quando coincide con l’autore. Però i giudizi a volte possono anche essere inseriti di proposito e impiegati come “arma” per portare fuori strada il lettore, specie nei thriller.
Vi è un’ultima, fondamentale decisione che devi prendere riguardo al narratore: il tempo narrativo. In altre parole, racconterai la storia al presente o al passato? Anche qui la scelta è libera e dipende sia dalle preferenze personali che dalle necessità narrative. Narrare al presente è sinonimo di immediatezza: stai raccontando una cosa che sta accadendo in quel preciso istante.
Questo conferisce brio alla narrazione e, come suol dirsi, porta l’azione nella pagina. È una telecronaca in tempo reale. Siccome è particolarmente indicato per accelerare il ritmo narrativo, il presente permette di influenzare i lettori trasmettendo stati di agitazione, ansia, attesa febbrile per qualcosa che sta succedendo in quel momento. Per tutte queste ragioni molto spesso il presente è un’ottima scelta per la narrazione in prima persona.
Di quest’ultima affermazione è valido il contrario: scrivere al passato è più indicato qualora tu abbia scelto di adottare la terza persona. Il perché è facile da intuire. I tempi di narrazione non sono immediati e possono essere distorti a piacimento: puoi allungarli, trattenere il lettore in attesa, velocizzarli, rallentarli. Inoltre la multi-prospettiva derivante da più personaggi interagenti è storicamente resa meglio attraverso l’utilizzo del passato.
C’è poi un’altra ragione meno evidente ma, secondo me, determinante. Soprattutto se hai scelto un narratore onnisciente, viene meno il presupposto dell’immediatezza: narrare al presente diventa quasi una chimera. In ogni caso, nulla ti vieta di sperimentare e scegliere la prima persona e il passato, o la terza persona e il presente.
Ma la cosa più importante che devo dirti in merito al tempo di narrazione è questa: attenzione alla coerenza! Non è semplice rispettare la coerenza dei tempi, specie se scrivi al passato. Non è come in inglese, la nostra lingua, cito ancora una volta Fantozzi: “maledetta”, complica le cose perché abbiamo l’imperfetto, il passato prossimo, il passato remoto, il trapassato, ecc. Avere una buona padronanza della grammatica è imprescindibile se vuoi scrivere.
Mentre Maria va al cinema incontrò Nicola à non si può sentire!
Maria incontrò Nicola mentre stava andando al cinema à meglio, no?
A saperlo prima, Francesca gliel’avrebbe detto à sbagliato.
Ad averlo saputo prima, Francesca gliel’avrebbe detto à forma corretta.
That’s all. Ci rivediamo la settimana prossima!
Autore William Silvestri
Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.
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