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Scampia – Urban Art Pack



Graffiti, pomodoro e mozzarella in mostra a Scampia

L’essere umano ha impiegato 4000 anni a ricoprire il mondo di strade e muri; le generazioni a cavallo tra la fine della guerra del Vietnam ed oggi non hanno trovato difficoltà a trasformare l’habitat urbano in un parco giochi, in un museo, in una palestra di vita tanto tribale quanto monumentale. Il fenomeno dei graffiti ha ricevuto dalla critica internazionale una collocazione artistica di tutto rispetto, anche se spesso torna a presentarsi il dubbio che non si tratti di una forma d’arte, ma di un limpido e impietoso vandalismo.

Siamo abituati a camminare per le periferie delle città e scoprire, tra i titani di cemento armato, delle inaspettate detonazioni di colore fatte di scritte, spesso incomprensibili, e disegni di ogni sorta. I writer agiscono di notte, dopo aver preparato la loro opera in ogni minimo dettaglio. A pensarci bene questi ragazzi dipingono a proprie spese, rischiando multe, se non addirittura l’arresto, ben lontani da qualsiasi prospettiva di remunerazione. Su tale base non ho difficoltà a pensare che la genuinità di questo movimento artistico, sia essa stessa un monumento all’arte.

Evitando di parlare del più ampio movimento Hip Hop, il writing è approdato in Europa agli inizi degli anni ’90 e nonostante il vecchio continente sia la patria indiscussa della nascita dei movimenti giovanili, la sua enorme diffusione, soprattutto in Italia, ha sempre dato adito allo stereotipo “Tu vuò fa l’americano”!

Fortunatamente gli artisti italiani sono Artisti.

Provate a chiedere ad un americano cosa siano i Graffiti e non riuscirete a fargli dire la parola Writing!

Il termine “graffito” è un’invenzione della stampa italiana che sagacemente ha concentrato in un solo termine sia la connotazione tribale che quella esplosiva, appunto graffiante, di un’arte di strada che irrompe con la prepotenza, si esprime ed urla l’incontenibile disagio delle periferie, trovando nel colore e nella deformazione volumetrica delle lettere, il suo capro espiatorio. Dopo una fortissima confusione negli anni ’90, in cui ogni opera era un esperimento a sé stante, la bomboletta spray è diventata un sostituto del pennello.

Senza la presunzione di essersi completamente distaccato dalla madre patria americana, il writing italiano ha assunto via via una sua identità, incorporando stili visuali che vanno dall’iperrealismo alla pura provocazione in stile banksy. Le periferie milanesi accolgono ogni novità si presenti dall’Europa continentale; la capitale è fortemente indirizzata verso un bombardamento di scritte megalitiche; a Napoli vige il caos! Il capoluogo campano, che da diversi anni incanta l’Europa con le fermate della metropolitana, installazioni temporanee, mostre in chiese sconsacrate ed eventi museali, ha fatto sentire le onde del suo dispositivo arte-formante anche al writing.

Ideato da Roberto Danilo Tisci, con la supervisione artistica di Giuseppe Picciafoco, il quartiere Scampia ha visto, per la prima volta sabato 6 febbraio, un ibrido di writing e street art. L’idea centrale del progetto è stata di applicare sul muro di Via fratelli Cervi, una serie di cartoni per le pizze, simbolo non soltanto della celeberrima pietanza, ma anche del riverbero del suo consumo: il packaging delle pizze da asporto è probabilmente meno stereotipata della tipica immagine della pizza napoletane, ma enormemente più comune, più concreta e quotidiana. Il progetto propone una commistione tra arte dei graffiti, arti applicate e design, attraverso il recupero di alcuni dettagli dell’opera murale per mezzo dei packaging della pizza da asporto, convertiti in supporto, istallati sul muro prima dell’inizio della performance e rimossi al suo termine.

I writer invitati alla “murata” di Scampia, provenienti da tutta Italia, hanno potuto esercitare la loro arte sul cemento armato e contemporaneamente sui cartoni per le pizze, sparpagliati, random, sulla dura tela: unico comune denominatore delle opere eseguite durante la jam session. Ogni writer ha il suo stile, il suo carattere, il suo battito arterioso, ma se guardate quel muro da lontano e lo confrontate con un suo analogo americano, capirete che i graffiti sono un virus mutato che conserva, al contempo, la sua radice americana ed il suo fitto fogliame italiano.

Linee tirate di getto convertono le lettere in esperimenti di composizione volumetrica e cromatica, ma il rimando al capoluogo partenopeo è inevitabile, incontrollabile: le mani che brandiscono le bombolette sono le stesse che mangiano spaghetti ed ovviamente pizza.

Ogni nome, acronimo o frase ha il preciso scopo di farsi riconoscere dagli addetti ai lavori di tutto il mondo, come se esistesse un internet parallelo, via muro, che viaggia alla velocità della contaminazione, proprio come il rapper Kaos asseriva nella sua canzone “il codice”. Che siate dell’ambiente oppure no, poco importa: quei muri di Via Fratelli Cervi, dipinti grazie al progetto autofinanziato Urban Art Pack sono anche i vostri, andate a vederli.

Autore Dario David

Dario David, naturalista e antropologo, classe '79. Ha lavorato nel settore elettromedicale diagnostico, contribuendo a farlo andare in crisi. Si occupa di e-commerce e dark-marketing.

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