L’undici novembre la Chiesa celebra San Martino, che, suo malgrado, è entrato nella cultura popolare più di ogni altro
Tra pochi giorni inizieranno i riti del Santo Natale, con le domeniche di Avvento e la preparazione dell’albero o del presepe, eppure, secondo la credenza popolare siamo in… estate.
L’estate di San Martino cade a metà novembre, quando il bel tempo mitiga la pioggia e il freddo autunnale, anche se, tale fenomeno, non si verifica sempre ogni anno e, secondo i meteorologi, dipende da un anticiclone che stazionerebbe sulla Spagna.
Poiché non si tratta di un colpo di coda della bella stagione, ma una parentesi autunnale, ha dato origine a veri e propri miti che affondano le loro origini nelle tradizioni antiche anche se collegati al Cristianesimo.
Tutto ciò è accompagnato da detti popolari come
L’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino.
Da dove nasce quest’espressione?
Secondo una leggenda assai diffusa, in una fredda giornata d’autunno, sembrerebbe proprio l’undici di novembre, Martino incontrò su proprio cammino un uomo infreddolito al quale donò metà del suo mantello di lana e, subito dopo, uscì un raggio di sole e la temperatura divenne mite. Quella stessa notte Martino sognò il viandante che altri non era che Gesù.
Ma chi era San Martino? Un militare nato in Pannonia, l’odierna Ungheria, nel 317 e morto nel 397, alla veneranda età di ottanta due anni, un record per l’epoca. Convertitosi al Cristianesimo, divenne Vescovo di Tours e fondò il primo monastero in Europa, nel comune francese di Ligugé.
San Martino ha un connubio forte anche con il mondo rurale, infatti proprio l’undici novembre, di norma, venivano rinnovati i contratti agricoli annuali e, dato che spesso ciò non accadeva, nacque il detto ‘fare San Martino’, cioè ‘mi tocca traslocare’.
Sono forti i legami anche con la terra e con i suoi frutti, poiché a metà novembre si aprivano botti per il primo assaggio del vino nuovo e per l’occasione venne coniato un altro detto:
A San Martino ogni mosto diviene vino.
Naturalmente il ‘Santo’, viene onorato anche in tavola con piatti tipici in tutto il Belpaese, dalla pizza con le alici in Campania allo spezzatino di carne in Abruzzo.
Discorso a parte merita il Veneto, dove i bambini, in una sorta di festeggiamento di Halloween girano per i negozi, armati di pentole, mestoli e coperchi, chiedendo non ‘dolcetto o scherzetto’, ma i Biscotti di San Martino, una pasta frolla con la forma del santo a cavallo, armato di spada.
I Biscotti di San Martino, poi, sono tipici anche della Sicilia agricola, quando le contadine sfornavano questi ottimi dolciumi da inzuppare nei primi calici del vino novello.
Il piatto più gettonato è l’oca e il povero palmipede deve ‘ringraziare sia il Santo’ sia la sua ‘natura’ per essere, suo malgrado, la vivanda regina della tavola.
Perché? Quando Martino fu acclamato Vescovo contro la sua volontà, si nascose in un casolare, ma fu mascherato dallo schiamazzo delle oche, che scorrazzavano per l’aia.
Anche la letteratura ha dato ampio risalto al Santo. Alzi la mano chi non ha declamato, almeno una volta in vita sua, la poesia di Carducci, messa in musica anche da Fiorello!
La lirica è composta da solo quattro strofe, ma sembra che tutti conoscano benissimo le prime tre, mentre pochissimi recitano a menadito l’ultima e noi di ExPartibus crediamo di fare cosa gradita citandola integralmente:
La nebbia agl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirartra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Giosuè Carducci – San Martino
Comunque San Martino è anche universalmente riconosciuto come il patrono dei ‘cornuti’, cioè colui che viene tradito. Ma da dove nasce questo non invidiabile primato?
Sembra che Martino fosse molto geloso di sua sorella, tanto da vietarle, durante i viaggi, di scendere dal cavallo tranne che per espletare i propri bisogni corporali. Pare che, in una di queste occasioni, la fanciulla, avesse consumato un rapporto amoroso con un uomo al riparo di una siepe, trasformando il fratello in ‘un cornuto’.
Un’altra spiegazione è legata al mondo contadino. A metà novembre, mentre si svolgevano le fiere del bestiame, in particolare quello munito di corna, gli allevatori lasciavano le mogli senza controllo e queste si abbandonavano ad effusioni carnali con sconosciuti.
Infine, proprio perché a San Martino venivano rinnovati gli incarichi di mezzadria, sembra che i signorotti avessero come parametro sia la bravura del colono nel produrre buone messi, sia l’avvenenza delle loro donne, appartandosi con loro.
Vogliamo chiudere questo nostro excursus in Abruzzo e precisamente nel paese di San Valentino in Abruzzo Citeriore, dove, si svolge la particolarissima processione dei cornuti nei giorni dedicati alla festa di San Martino l’11 novembre.
Se da metà dell’Ottocento, i giovani lasciavano candele accese sulle finestre dei mariti traditi, oggi tutti gli abitanti di sesso maschile, dopo il tramonto, percorrono le vie cittadine e sono accompagnati da schiamazzi e sfottò che inneggiano all’infedeltà coniugale.
Alla fine della sfilata goliardica, l’ultimo individuo sposatosi nell’anno precedente cede, all’ultimo uomo coniugatosi in quello in corso, un drappo di stoffa che raffigura delle corna di bue, un trofeo che, nel resto del mondo, dicerto quasi nessuno vorrebbe avere in bacheca.
Autore Mimmo Bafurno
Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.