Quando governi con la paura, la risata è il suono più terrificante del mondo.
Jerry Lewis
La satira oggi ha ancora valore?
In un mondo iperconnesso dove tutti possono avere più dei quindici minuti di notorietà, che Andy Warhol profetizzò, ha ancora un senso credere nella satira come palliativo alla degenerazione retorica e moralista della cultura e della politica?
È difficile dare un riscontro deciso. Diciamo subito che è immortale, necessaria, sublime. Sempre pronta ad essere strumento di rivoluzione o di insurrezione, così come è sempre stata utilizzata anche dalla classe politica come beneficio di clemenza, come se, in quell’atto di neutrale indifferenza e di sorniona accondiscendenza, ci fosse tutta la finta bontà che si cela dietro un gran potere.
Nella sua definizione enciclopedica, viene rappresentata come una
composizione poetica che evidenzia e mette in ridicolo passioni, modi di vita e atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, o caratteristici di una categoria di persone o anche di un solo individuo, che contrastano o discordano dalla morale comune (e sono perciò considerati vizi o difetti) o dall’ideale etico dello scrittore.
Oggi, il concetto si è allargato ad altre modalità di espressione, modellandosi sulle mutate esigenze artistiche. Il linguaggio satirico, espresso in diversi ambiti quali il costume, la società o la politica, ad esempio nei confronti di uomini e istituzioni pubbliche, viene messo in pratica soprattutto attraverso giornali umoristici, vignette, spettacoli televisivi o teatrali.
E sui social, dove diventa anche violenza e sconfinata sciatteria. Si sa che la Rete non ha padroni ma ne ha tanti, tutti diversi e tutti impegnati a far sì che il conflitto assuma sempre più sembianze cruente. È il gioco delle parti che appaga e paga.
Nell’accezione più estensiva del termine, fare satira indica, quindi, rappresentare o descrivere persone e situazioni per mettere in risalto, spesso in modo caricaturale, gli aspetti negativi, quale che sia il mezzo adoperato.
L’etimologia della parola “satira” fa risalire questo termine al latino “satur” ossia “pieno” e, per estensione, “vario, misto”.
In particolare, deriva dall’espressione “lanx satura”, ossia un piatto colmo di primizie da portare in offerta agli dèi. Per questo motivo, originariamente, gli spettacoli che amalgamavano diverse tecniche artistiche venivano chiamati proprio satira.
La sua origine come stile letterario risale, invece, al II secolo a.C., quando, con intento esplicitamente polemico, Lucilio scrisse trenta libri di satire, in diversi metri, ma le sue opere regolamentarono l’esametro come il verso per eccellenza della satira.
Nei secoli successivi si affermò il cosiddetto prosimetro, ossia uno stile letterario contrassegnato da parti in prosa e parti in verso.
Altro esempio è il ‘Satyricon’ di Petronio, una sorta di romanzo d’avventure, giunto fino a noi in forma frammentaria, in cui il protagonista, il giovane Encolpio, è coinvolto in una serie di viaggi e peripezie per sfuggire all’ira del dio del sesso, Priàpo, da cui è perseguitato.
Attraverso il tema del riso, gli antichi riuscivano, quindi, ad affrontare, con distacco e dileggio, alcuni temi sferzanti, rovesciando tutto in chiave parodistica e caricaturale.
Si presentava così ai lettori, in un linguaggio divertente, chimerico, ricco di improvvisate e dissacrante, una seria e critica cognizione della generale vanità delle cose, del carattere effimero del potere e dei potenti, insomma una riproduzione del mondo diversa dalla realtà e capace di infiammare, attraverso il riso, una visione critica del reale e dei valori predominanti nella società del proprio tempo.
Presumibilmente questa trasformazione rende ancor meglio giustizia al nome stesso dello stile. È risaputo che la satira è stata subito contraddistinta da un intento manifestamente moraleggiante.
Trattare temi di politica, costume e attualità attraverso la satira, che ne dà un racconto intenzionalmente esasperato, ha lo scopo di trasmettere un contenuto in chiave spesso comica ed ironica per stimolare nel pubblico una riflessione.
Attualmente ha impugnato in maggioranza i connotati della critica comica, in particolare politica, e, pur non avendo conservato la caratteristica originaria della compresenza di diverse tecniche artistiche, credo sia la summa di diverse emozioni.
In essa c’è una straordinaria qualità emozionale, che, per molti versi, la differenzia distintamente da altre forme di comunicazione, almeno per due motivi.
Perché un ingrediente indispensabile della satira è l’ironia, i cui meccanismi si concedono facilmente a produrre una sensazione di stupore e di divertimento e perché, data la sua costituente battagliera, si serve costantemente di immagini di cedimento e capovolgimento che fruiscono di una considerevole carica sentimentale legata all’irritazione e alla ripugnanza, particolarmente quelle dove spunta l’esposizione di parti sessuali, escrementi o sudiciume. Tutto ciò passando dal cinema alla musica, dal disegno al teatro.
Proprio perché è espressione artistica nella misura in cui opera una raffigurazione simbolica che, come la vignetta ad esempio, espone quale metafora caricaturale: si esprime con il paradosso e l’allegoria irrazionale, la libera dal parametro della verità e la rende dissimile rispetto alla cronaca.
A differenza di quest’ultima che, avendo l’intenzione di procurare informazioni su fatti e persone, è soggetta al vaglio del riscontro storico, la satira assume i connotati dell’inverosimiglianza e dell’iperbole per destare il riso e sferzare il costume.
Insomma, è riproduzione sarcastica e non cronaca di un fatto; delinea un giudizio che, obbligatoriamente, si attribuisce connotazioni soggettive ed opinabili, sottraendosi ad una dimostrazione di veridicità. La verità non esiste e se esiste ha molteplici sfaccettature.
Viene, dunque, lasciato spazio sconfinato alla fantasia. Qualche limite, però, dovrebbe essere ricavato dal buonsenso, particolarmente se non si vuole arrischiare di trovarsi in mezzo ad un processo penale per diffamazione.
Il suo linguaggio fondamentalmente simbolico e ripetutamente paradossale è svincolato da forme convenzionali, per cui è inapplicabile il metro della discrezione dell’espressione. In sostanza, è quello che si concretizza in una forma artistica che vuole provocare l’ironia del destinatario, spingendosi sino al sarcasmo e all’irrisione.
Questo indica che, grazie alla satira, è ammesso diffondere anche notizie non vere, poiché, se il suo scopo è proprio quello di far ridere, essa non deve necessariamente corrispondere a verità.
In Italia la stampa satirica ha sempre potuto avere il supporto di un nutrito pubblico di lettori. In sede storica, al contrario, non ha goduto della giusta reputazione, pur essendo una fonte fondamentale per fare una storia della mentalità.
Più di ogni altro mezzo espressivo, cerca ed esige la complicità del destinatario. Per queste ragioni, diviene il terreno privilegiato per le ricerche che intendono ricostruire gli umori di un dato periodo, in particolare se non sono riconducibili ad una precisa cultura politica.
Tenendo ben presente l’impossibilità di ridurre ad un preciso paradigma le molteplici manifestazioni della satira, possiamo affermare che tale linguaggio conserva sempre un quid di ambiguità, un non detto, che lascia al lettore una parte attiva, partecipata, nell’interpretazione del messaggio.
Quello che ci vuole per dare un senso reale ed onirico alla democrazia, al libero pensiero e alla volontà di sovvertire la bugia con la verità e viceversa.
Di questi tempi è sempre meglio di un calcio in…
La satira non ha padroni, quindi sta bene sotto ogni padrone.
Nanni Moretti
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.