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Rete e minori: tra GDPR e responsabilità dei genitori

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Rete e minori


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È un dato di fatto oggettivo e non possiamo cercare di contrastarlo; forse limitarlo, forse regolamentarlo, ma è un fenomeno contro il quale non possiamo combattere.

Anche i bambini usano lo smartphone e lo fanno meglio dei genitori, per non dire dei nonni.

Del resto, le generazioni native digitali non possono essere private dello strumento principale che caratterizza la Rivoluzione Digitale e, dalla scuola media, tutti sono in possesso del loro smartphone, possibilmente ultimo modello che, anche se nelle pie intenzioni di qualche genitore dovrebbe essere utilizzato come forma di controllo, in realtà viene usato per giocare, parlare con gli amici, ascoltare musica e vedere video e, non nascondiamoci dietro un dito, navigare sui social.

Potremmo andare avanti su luoghi comuni e parlare dei genitori che mandano online video dei loro figli con scene di body shaming che resteranno per sempre online o balletti che madri e figlie fanno insieme, ma si tratta di scelte del tutto personali delle quali, forse, qualcuno potrà pentirsi tra qualche anno.

Ma cosa dice la legge in materia di Internet e minori?

La norma principale in materia è il Regolamento Generale Europeo sulla Protezione dei Dati (GDPR) 679/2016. Si tratta di una disciplina voluta per garantire in Europa omogeneità per il trattamento e la protezione dei dati.

Le norme italiane, in quanto parte dell’Unione europea, seguono il quadro generale del GDPR. Tuttavia, per alcuni dettagli specifici, valgono ancora alcune regole nazionali.

Per quanto riguarda l’accesso dei minori ai social media, il GDPR stabilisce che il trattamento dei dati personali di un minore è lecito solo se questi ha almeno 16 anni.

Tuttavia, gli Stati membri possono ridurre questa età minima fino a un limite minimo di 13 anni e l’Italia ha scelto di consentire solo a chi ha compiuto i 14 anni di iscriversi liberamente ai social.

Pertanto, un minore di 14 anni in Italia non potrebbe fornire il proprio consenso autonomamente per il trattamento dei dati personali sui social media. Sul punto è opportuno ricordare che l’iscrizione ad un social è un vero e proprio contratto. Non si tratta, infatti, della semplice messa a disposizione da parte di una piattaforma di uno spazio a titolo gratuito per postare o navigare.

L’iscrizione rappresenta la conclusione di un vero e proprio contratto per il quale l’utente accetta di pagare con i propri dati personali: un prezioso bene di scambio, che verrà utilizzato dal gestore della piattaforma per inviare pubblicità mirata, offerte, consigliare siti o aziende.

Quindi, nel caso di minori di 14 anni, il consenso deve essere fornito o autorizzato dai genitori o tutori legali. I fornitori di servizi online dovrebbero adottare misure ragionevoli per verificare che il consenso sia stato dato o autorizzato dai titolari della responsabilità genitoriale.

Queste disposizioni sono progettate per proteggere i minori online e garantire che il trattamento dei loro dati personali avvenga in modo sicuro e conforme alla legge sotto il teorico controllo dei genitori.

Gli operatori dei social media sono tenuti a implementare misure adeguate a garantire il rispetto di queste norme e proteggere la privacy dei minori.

Resta ovviamente il fatto che, tramite cellulare e computer, possono essere commessi anche e principalmente i reati più tradizionali, che spaziano dall’ingiuria alla diffamazione, ma che possono anche giungere fino all’induzione al suicidio, lo stalking e altri fatti di cyberbullismo.

Tutte ipotesi non remote, laddove si considerino le vicende di ragazzine che si sono tolte la vita perché prese di mira per il loro peso o l’aspetto fisico. E gli insulti online, in alcuni casi, non sono cessati dopo la morte.

Emergono, quindi, evidenti le responsabilità che incombono sui genitori, prima ancora che sulla scuola, in quanto sono responsabilità dirette non certo di natura penale, che ricadrebbero direttamente sugli autori del reato, bensì quelle successiva in termini di risarcimento danni cagionati dal comportamento dei propri figli.

L’articolo 2048 del Codice Civile, infatti, prevede espressamente che padre e madre, congiuntamente tra loro, sono tenuti a rispondere dei danni cagionati dal figlio e possono liberarsi da tale onere solo laddove forniscano una rigorosa prova di non aver potuto impedire il fatto. Una prova non sempre facile da poter offrire e che espone i portafogli dei genitori alle malefatte dei figli.

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Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.