Un recupero per il diritto: oltre il soggettivismo moderno – 2 Parte
Lorenza Iuliano
Paolo Grossi (2006)
Una delle più gravi antitesi della modernità giuridica è far esprimere da un Principe che non è più l’Imperatore munito di potestà globale, piuttosto un Sovrano particolare, quella che invece doveva essere la voce della comunità universale.Il nuovo Principe del ‘500 ha ora una potestà dalla valenza giudiziale; volontà, individualità ed indipendenza sono così forti in lui da fargli rifiutare di ridursi a semplice ius dicere. Ormai, presuntuosamente, egli stesso crea il diritto nel proprio Stato, proponendosi sempre più come conditor iuris, come legislatore. Il Sovrano illuminato ed illuminante del ‘700 ne è l’erede legittimo. Il potere si risolve così in un soggettivismo esasperato del Principe. Il paesaggio giuridico della modernità è semplicissimo, perché ridotto drasticamente. La semplicità del paesaggio giuridico moderno soffre di artificiosità; più che semplice il paesaggio è semplicistico. L’assolutismo politico appartiene in buona parte al passato dell’Europa e sta nascendo lo Stato liberale di diritto che implica il primato dello Stato sulla società, il successo di un “super-soggetto politico/sociale”, lo svilimento dello scenario giuridico ad un’azione in cui solo gli individui hanno un ruolo. Si tende così all’abolizione delle società intermedie. La civiltà giuridica borghese, esige che Stato ed individuo abbiente siano forti, ciascuno con un proprio ordine potestativo ma ambedue in stretta simbiosi. “Il paesaggio è artificiosamente semplice, ma anche necessariamente semplice”: la semplicità è il frutto di una sapiente strategia. Si ha un autentico raggrinzimento del diritto: sul piano del macro-soggetto si esprime e consuma nella volontà del titolare del potere supremo, si rivela come comando, espressione di superiorità, potere. Solo un ferreo monismo giuridico può assicurare il controllo del diritto che deve coincidere con la volontà del potere supremo, e dunque deve essere pensato, voluto e prodotto in alto. Nascono da questo la condanna della consuetudine, personificata nella reiterazione di un evento, proveniente dal basso e connesso all’esperienza quotidiana; scienza e giurisprudenza pratica subiranno la stessa sorte, perché fonti basilari nella complessità giuridica dell’antico regime, tecnicizzavano, circoscrivevano e categorizzavano l’usualità. Dato che la legge, ormai unica fonte, va applicata, non si può fare a meno dei giuristi, cui viene tolta però ogni libertà di azione, “riducendo il dottrinario nella prigione dell’esegesi e il giudice nelle strettoie di un sillogismo incatenante”. Sul piano del micro-soggetto, il diritto si sfaccetta in una serie di posizioni rigorosamente individuali; viene radiata la dimensione collettiva che aveva attribuito una seppur lieve forza sociale al soggetto singolo, mentre viene “minimizzata la sua dimensione sociale”; ne consegue l’isolamento dell’entità individuale circoscrivendo i suoi rapporti esterni a semplici relazioni con altre entità individuali. “È un paesaggio segnato da individualità”. La macro-individualità politica si realizza nello Stato/persona e si concretizza in un completo apparato potestativo; la micro-individualità privata si rinvigorisce nella convergenza tra il cittadino (che conta, che può votare in base al suo censo) e l’homo oeconomicus ormai al centro del processo capitalistico. La scelta sostanziale della modernità giusnaturalistica per l’astrattezza sembra consolidare il rinserrarsi delle varie individualità. Astratto dalla società era lo Stato/persona, così come generale, inflessibile e teorica era la legge, che con la dichiarazione meramente ampollosa di uguaglianza conservava una sua “sostanza punitiva per il socialmente debole”, il povero, l’ignorante, cioè per la stragrande maggioranza. Alieno dalla società era il singolo, considerato e risolto come soggetto unitario. Regole astratte, ossia non infestate dalla fattualità quotidiana, principi generali e rigidi, cioè che non si piegano a congiunture specifiche ed esigono di avere una rappresentazione unitaria tralasciando la mobilità e contingenza del terreno storico, possono e devono avere un’immobilizzazione scritta in un testo cartaceo, resistente alle trasformazioni ed immune all’incidenza storica del logorio.