“Ismeria: vocabolo risultante dalla fusione della parola “isteria” e del suffisso “ismo”; atteggiamento consistente nella pregiudiziale classificazione della totalità degli eventi sociali in base alle letture offerte dagli “ismi” contemporanei”. Potrebbe essere un neologismo passabile, se l’evidente cacofonia non ci costringesse ad una provvidenziale autocensura.
Ma veniamo al fatto.
“Caro Giuseppe, il titolo apparso ieri su Qs – Quotidiano Sportivo sul trio olimpico azzurro di tiro con l’arco femminile – titolo nel quale le atlete italiane vengono definite ‘cicciottelle’ – è tra le uscite più sessiste del giornalismo italiano”.
Questo l’incipit di una mail inviata anche al sottoscritto da un notissimo sito dedito alle petizioni online. Pur essendo di solito ricettivo ad iniziative di tal fatta, stavolta rimango perplesso per almeno due motivi.
Il primo è di natura sociale e lessicale. Certamente il titolo in questione è di cattivo gusto, oltreché superfluo, posto che la notizia riguarda tutt’altro – nella specie una vittoria olimpica, in cui peraltro la “perfetta” forma fisica non è direttamente collegata al risultato. È però altrettanto vero che nulla spinge a individuare tale titolo come “sessista” e non semplicemente come irrispettoso, deprecabile, inutile o superfluo.
L’essere cicciottelli non attiene infatti alla sfera del sesso e della sessualità, potendo benissimo riguardare anche un uomo – cosa che è infatti successa durante le scorse olimpiadi; in quel caso fu “la pancetta” della squadra maschile di tiro con l’arco ad assurgere agli onori della cronaca, ma allora di sessismo nessuno parlò.
L’accusa di sessismo relativa all’essere cicciottelle appare anzi essa stessa sessista, in quanto si appropria di un’offesa potenzialmente “bipartizan” – l’essere cicciottelli – collegandola all’aspetto e all’avvenenza della sola donna, riproponendo il medesimo atteggiamento che intende censurare e titillando la frenesia benpensante di un uditorio sempre più propenso a sollevarsi – a parole – dinanzi ad espressioni del genere.
C’è poi la faccenda del sesso di chi scrive. Ad offendere una donna è stato un uomo? L’offesa diventa automaticamente sessista, punto. Così stando le cose, quando coronerò uno dei miei sogni di adolescente – diventare campione mondiale di Risiko – e un editore si permetterà di scrivere “calvo italiano sul tetto del mondo” potrò dargli tranquillamente dell’imbecille. Nel caso si tratterà di un editore donna al contrario non ci saranno dubbi: si tratterà di un’offesa sessista.
Si diceva che la cosa non convince sotto due profili. Il secondo riguarda il rapporto tra la libertà e la censura nelle sue molteplici declinazioni. All’indomani dell’affaire cicciottelle, Andrea Riffeser Monti, proprietario della testata, rimuove “con effetto immediato” Giuseppe Tassi, Direttore di Qs Quotidiano Sportivo, con tanto di scuse alle dirette interessate.
È nel suo diritto, si dirà, e va bene. Tuttavia ci si permetta di sollevare qualche dubbio relativo non alla liceità, ma alle motivazioni di tale scelta. Non eravamo, pochi mesi fa, tutti Charlie? “Ma quello riguardava la religione”, si dirà. Sì ma si dirà male. La rimozione ex auctoritate a seguito di un titolo pur deprecabile, richiesta a furor di popolo, non appare infatti tanto diversa dalle furibonde richieste – da parte dello stesso popolo – di chiusura dei giornali satirici per le loro pur deprecabili uscite sulla divinità.
Una volta Salman Rushdie ebbe a dire: “Quando, durante un convegno, sento qualcuno affermare: ‘io sono per la libertà di espressione, tuttavia…’ mi alzo e me ne vado”.
Qui non si vuole plaudire al titolo di Qs. Ma, fermi restando i limiti di legge, altro è la libertà di sottolineare il pessimo gusto di un giornale e magari evitare di acquistarlo, altro è limitarne in maniera diretta o indiretta – ivi inclusa quella gerarchica – le possibilità d’espressione.
Senza dimenticare che siamo spesso proprio noi a cercare avidamente il titolo ad effetto, il retroscena scomodo, il particolare di cassetta, salvo poi offenderci quando uno uno dei nostri ismi preferiti chiama improvvisamente alle armi.
In conclusione, agire in questo modo è agire “di pancia”, né più né meno che titolare “sulla pancia”: entrambe le strade paiono, per la libertà di espressione, fondamentalmente errate.
Autore Giuseppe Maria Ambrosio
Giuseppe Maria Ambrosio, giornalista pubblicista, assegnista di ricerca in Filosofia Politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’. Ha all'attivo numerose pubblicazioni su riviste italiane e straniere e collabora con diverse riviste di settore. Per ExPartibus cura la rubrica ScomodaMente.