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‘Quel che so di lei’: intervista a Monica Guerritore

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Monica Guerritore @ Azzurra Primavera
Monica Guerritore @ Azzurra Primavera


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Letteratura, teatro e vita vera: il racconto di un femminicidio nella Forza dell’Amore salvifico

Profondo, coinvolgente, autobiografico: Quel che so di lei, il nuovo libro di Monica Guerritore, edito da Longanesi, è disponibile dal 29 agosto in libreria e online.

Incentrato sul femminicidio della contessa Giulia Trigona, nel 1911, ad opera del suo ex amante, il tenente di cavalleria Vincenzo Paternò, illustra un percorso immaginato dall’autrice delle motivazioni che hanno indotto la nobildonna a consegnarsi al proprio carnefice. Otto intensi personaggi femminili, interpretati dall’artista a teatro, la aiuteranno in quest’originale introspezione.

La scrittura si muove su più livelli: letteratura, teatro e vita vera confluiscono l’uno nell’altro. Le descrizioni sono attente, particolareggiate, e, soprattutto nei passaggi autobiografici, quel palcoscenico, prima solo evocato dalla mente, diviene reale, s’impone e inscena le sensazioni, le emozioni, il non detto.

Il testo si legge tutto d’un fiato, salvo poi ritornare, pagina dopo pagina, a studiarlo come merita, tanto è denso. Infinite le chiavi di lettura sottese, che assomigliano a quei tanti sottotesti che ogni pièce di successo contiene in sé.

E proprio nell’ottica dell’approfondimento ci siamo rivolti a Monica Guerritore affinché ci sveli di più.

Il libro è dedicato allo psicoanalista, saggista e filosofo statunitense James Hillman, autore, tra l’altro, di ‘Psicologia alchemica’. Come mai proprio lui?

Sono stata indecisa fino all’ultimo se dedicarlo a lui o ad Andrea Camilleri, che mi è stato vicino dal primo momento, mi ha incoraggiata, ha apprezzato tutto il mio lavoro a partire dalla sceneggiatura di un film, divenuto poi un corto, cominciata nel 2006, fino al nostro ultimo incontro a casa sua ad aprile.

Poi ho scelto Hillman perché ho avuto la fortuna di conoscerlo e ho pensato che come i suoi testi e la sua persona hanno cambiato in me il modo di leggere il mondo del femminile nella sua complessità, così vorrei che indicasse una via ‘traversa’ anche a chi leggerà il libro.

Considerati i molteplici riferimenti presenti in ‘Quel che so di lei’ e in molti dei suoi spettacoli teatrali, quanto la chiave di lettura alchemica influenza la sua vita e, di conseguenza, la scelta delle tematiche da affrontare nella stesura dei suoi testi, siano essi libri, drammaturgie o sceneggiature?

È il ‘lento affiorare delle cose’ che somiglia al procedimento alchemico. È il tempo lungo di maturazione, di trasformazione di qualcosa che è in superficie, un fatto, un testo, e lasciandogli tempo si evolve in qualcos’altro.

Questo è quello che si mette in movimento, il mio modo di procedere ogni volta che comincio a intravedere in lontananza una donna. Qui lo metto in scena e lo rendo visibile, o leggibile, nel ritmo lento della donna che percorre il corridoio, il luogo del pensiero per eccellenza, che Freud chiamava ‘il perturbante’.

Nel tempo rallentato c’è spazio perché i fatti, il tradimento, la perdita, il richiamo del sesso lascino intravedere assonanze sentimentali. Ecco le porte socchiuse… Tutto si collega e comunica e in quel corridoio del pensiero vivono attimi di condensazione. La materia aurea affiora cambiando forma attraverso la parola.

E invece di un racconto composto da altre voci, altre presenze, quelle voci, quelle presenze sono diventate talmente ingombranti da far diventare quel luogo una prigione. Una prigione letteraria da cui forse noi donne stiamo cercando con in nostri NO di liberarci.

Il volume, frutto di un intenso e profondo lavoro su se stessa, nel corso degli anni, tra continui flashback ed elementi autobiografici, psicologizza il personaggio di Giulia. Che tipo di scelta ha operato per “dimenticare le cose che sapevo di lei, per ritrovare un senso nel cammino che l’ha portata verso la fine”?

La porta chiusa sul delitto. Il fatto che sia andata da lui dopo averlo lasciato e non amandolo più, ma abbia fatto l’amore con lui. Tutto mi diceva che non c’era una spiegazione univoca, una certezza, che la donna manteneva un segreto, una contraddizione che ne faceva un enigma e che andava rispettato.

È allora che non ho più cercato risposte che avrei dato con il mio meccanismo mentale e ho cominciato ad individuare i momenti fatali, i turning point, quelle stazioni di cambio che imprimono a tutta una vita una strada diversa e altre voci hanno pianto, sofferto, si sono scempiate, regalate e ribellate al posto di lei che non aveva più voce.

Come si è preparata per quest’ennesimo ruolo che ha messo in scena, stavolta “solo” su carta, ricordando le sue esperienze sul palcoscenico, “quei gemelli di affetti, simili, fatti della nostra stessa materia incorporea”?

Con tanti personaggi e spunti e sogni sarebbe potuto essere davvero molto più lungo. La ‘brevità’ del racconto è dovuta al fatto che nel mio immaginario ho lavorato per immagini e non pensando alla ‘carta’. Il libro penso che abbia l’articolazione di opera visionaria – film, spettacolo teatrale, pittura – piuttosto che una forma letteraria che, in parte, infatti, non rispetto.

A volte ho anche avuto discussioni creative accese con la mia editor che cercava di ‘formattare’ la struttura mettendola in un ordine forse più comprensibile, per capitoli che si sarebbero dovuti susseguire in una progressione lineare, mentre, invece, la mia poetica lavora su voragini che si aprono su mondi interiori dove, come in un girone dantesco, vorticano musiche assonanti o dissonanti, figure, eventi; non c’è prima, non c’è dopo.

Per rispondere a come ho trovato alla fine un mio ‘senso’ alla sua ‘caduta’, al suo cammino verso la morte, direi che è stata l’opera stessa a darmi la risposta: marionette manovrate da racconti del passato.

Così come quelle figure disincarnate, bellissime, appassionate sibilavano a me la loro storia immutabile da dentro quelle stanze con le porte socchiuse, talmente vere che il mio cuore le riconosceva e sussultava, così hanno parlato a Giulia, figlia dell’Ottocento. E narravano delle loro passioni, delle loro vicende. È solo questo che spiega il perché, dopo essere stata messa in guardia dall’andare all’appuntamento con un uomo pericoloso, lei possa aver risposto: ‘Mi ha amata, non mi farà del male’.

Di quale amore parla? Un amore letterario sulle cui pagine ha pianto probabilmente ed è quell’amore letterario che lei vive. E che confonde i suoi sistemi d’allarme e la uccide.

Perché ha scelto proprio questi otto personaggi femminili, questi otto luoghi che hanno abitato il suo corpo per illustrare il percorso intrapreso per incontrare il suo castello immaginario delle ‘Donne prigioniere di amori straordinari’?

Sono personaggi iconici, mitici, depositari unicamente di quei ‘momenti psichici’, ‘momenti fatali’ un filo rosso che l’ha condotta fino alla stanza 8.

Intuizione è uno dei termini ricorrenti, un filo conduttore della narrazione e della riflessione. Che valore dà a questa caratteristica? La ritiene una facoltà preminentemente femminile?

È una facoltà essenziale femminile. È quella che ti fa tenere insieme un quadro ampio ma con lucidità, senza affidarsi ai sensi e ai sentimenti. Intuizione è una parola razionale, intellettuale, non sentimentale.

Intuizione è voltare la testa di scatto e fissare lo sguardo nella cosa che hai capito essere così in modo da vederla. In questo caso dobbiamo noi tutte lavorare sull’intuizione per guardare in faccia le cose per come sono, sapendo che potremmo sopportare la delusione che non siano come le avevamo immaginate, come vorremmo che fossero. Voltare la testa di scatto e cogliere nell’altro il gesto inatteso che ti racconta il pericolo.

Tradimento, perdita dell’infanzia, eros, caduta, vulnerabilità, rifiuto, ribellione, coraggio verso la conquista di una nuova e più matura leggerezza: queste le diverse voci dei personaggi. Forti, fiere, rabbiose, sensuali, voraci, consapevoli, adultere ingabbiate nell’illusione di una vita altrove, o deboli, succubi, sofferenti, incapaci di dire di no. Donne prim’ancora che Madri, o semplicemente Madri che hanno accantonato la loro femminilità, o ancora Donne sgarbate. Tutte queste diverse sfumature dell’essere umano come hanno sedimentato per poi riemergere in lei attraverso Giulia?

Erano già nella stanza interiore. Ogni volta dopo l’ultima recita di uno spettacolo guardo l’abito di scena adagiato inanimato sulla sedia in camerino. Vuoto, floscio… la DONNA non c’è più a riempirne il tessuto, ma non svanisce. Da quella notte in poi affonda pian piano in un posto tra il diaframma e la gola e si aggiunge alle altre… sfocate… Se mi chiedessi a bruciapelo una battuta, un monologo, una loro parola non sarei in grado di dirtela, ma il sentimento primario, quello per cui sono state scritte, sì.

Ricordo quando ripresi dopo un anno di interruzione ‘Madame Bovary’, per la regia di Giancarlo Sepe, arrivai ad un punto in cui Emma crolla sulle ginocchia e… e… le parole non mi venivano, non c’era verso, ma il nodo in gola e il respiro affannato di qualcosa che mi aveva fatto del male sì… era il respiro di Emma in quel momento. Quello non si dimentica. Mai.

Ognuna di loro respira il sentire che le appartiene: Liubov Andreevna rivive eternamente la Perdita. La Lupa cerca eternamente la sessualità come fonte di energia del femminile. La Signorina Giulia si concede eternamente allo scempio di sé. Madame Bovary eternamente in cerca di Eros che l’ha baciata ed è fuggito…

Eternamente è la parola chiave. Perché anche loro sono prigioniere del momento in cui l’Autore le ha fissate e che eternamente rivivono.
Ho intuito che le tappe di Giulia fossero segnate da quei momenti e quei momenti sono vissuti da quei personaggi.

Un racconto di un amore “inteso come morte di una parte di te che si fonde nell’Altro”, ma anche un inno alla libertà, all’indipendenza, al “coraggio di reinventarsi finalmente lievi” per uscire dal labirinto, perché “una via nuova e meravigliosa” è possibile ed è quella che conduce all’Amore salvifico, che nasce dalla Forza che “significa anche concederci quella parte mancante che ci permette di essere finalmente intere, di essere autonome ma anche di amare con abbandono e fiducia uomini che ci amano con altrettanto abbandono e altrettanta fiducia”. Dopo aver terminato la stesura del libro e dunque, delle sue trame immaginarie, qual è ora il suo livello di consapevolezza? Quale la sua rivelazione?

Questa… la libertà di rapportarsi vis-à-vis con l’uomo amato. Inventando noi stesse ogni giorno, sorprendendo l’uomo amato e aiutandolo a scoprirci ogni giorno nuove… un cammino rivoluzionario su un crinale dissestato dove le dinamiche non sono ancora state scritte e dimenticandoci di quelle storie dolentissime e funeste, parafrasando il titolo del libro di Pietro Citati.

Un libro così originale come genesi e descrizione, in cui sono presenti indicazioni di regia, accenni a scenografie, costumi, luci e musiche, è da intendersi come un progetto definitivo compiuto o come un nuovo tassello di un insieme a cui attingere per dar vita ad un successivo lavoro, magari metateatrale?

Era quello che dicevo all’inizio. Non ho scritto pensando alla ‘carta’, non sono una scrittrice, ma sono una drammaturga e scrivo per azioni, immagini, suoni e musiche. Ecco perché ha la durata, e l’andamento, di un film o di uno spettacolo.

E tornando appunto alla cinematografia, legata a Giulia e al Maestro Camilleri, cosa ci può raccontare del corto di 15 minuti ambientato tra Roma, Trieste e Ortigia su questo femminicidio ante litteram?

Camilleri, dicevo, mi ha ascoltata e accompagnata sin dal lontano 2006, quando ho cominciato la sceneggiatura di un lungometraggio, ma non ho trovato un produttore che credesse nel progetto.
Poi ho vinto un bando contro il Femminicidio del Ministero P.O. e ne ho scritto un corto dove raccontavo la depressione di Giulia, conseguente al tradimento del marito e alla morte della sorella nel terremoto di Messina, come un lento affondare in un mare melmoso, in un mondo di sotto.

Là, in quel mondo di sotto, viveva la sua vicenda; l’incontro con l’uomo che la ucciderà e la caduta delle difese che la consegnano a lui erano evidenziate dalla perdita dei meccanismi d’attenzione e di allarme: ‘perdere la pelle’, ‘… perdere la protezione…’

'Quel che so di lei' di Monica Guerritore

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.