Questa, questa soltanto, è la vera vendetta: la ripugnanza della volontà per il tempo e per il «così fu». Davvero una grande follia dimora nella nostra volontà; e fu sventura per ogni cosa umana che tal follia imparasse ad aver dello spirito!
Lo spirito della vendetta: miei amici, ecco ciò che fu sin adesso la miglior riflessione degli uomini; e dov’era il dolore, si suppose ci fosse un castigo.
Friedrich Nietzsche
La vendetta è qualcosa che sembra ormai sorpassato, in realtà è molto viva e presente sul piano del nostro immaginario collettivo, non è stato per nulla superata nel modo in cui, ad esempio, un leader innalza il suo consenso politico e nemmeno come comprendiamo i rapporti umani, solo che ha una fisiologia differente rispetto al passato.
Razionale o irrazionale, moderna o primitiva, personale o impersonale, giusta o tremenda: nella dimensione sociale, da sempre la vendetta assolve ad un’indiscutibile funzione retributiva, istituendo relazioni di riconoscimento. E andando al di là delle strutture di giustizia del potere politico legittimo, istituisce certamente relazioni di potere.
Ma allora essa è istinto o istituzione?
La forza dell’istinto si manifesta nel fatto che tutti gli uccelli di una stessa specie edificano i loro nidi in ogni epoca ed in ogni Paese nello stesso modo. Gli uomini, invece, costruiscono le loro case in maniera differente a seconda del luogo e del tempo. Qui vediamo l’influenza della ragione e della cultura sulla natura.
L’istinto aggressivo non muta nello spazio e nel tempo, cambiano però le forme e le norme della vendetta. Essa sembra avere nascita da una reazione istintuale ad una aggressione subìta, ma non è solo istinto: è anche istituzione.
Viaggiando nella storia e nella geografia umana, ci troviamo, infatti, di fronte a molteplici forme della vendetta, che sono specifici ai differenti diritti ai quali appartengono: la vendetta barbaricina, la Ultio romana, la vendetta del Kanun albanese, la vendetta dei samurai, la vendetta delle saghe nordiche medioevali, la vendetta dell’antico diritto hindu, la vendetta malavitosa ecc..
Essa è, ancora oggi, il modo riconosciuto di farsi giustizia, è tipica delle società segmentarie in cui l’individuo, inteso come persona che possiede una serie di diritti e doveri, è scarsamente riconosciuto, ha senso solo se appartiene ad una comunità e lì il concetto di vendetta si sviluppa sull’idea che se un membro viene toccato, la comunità ha il diritto di uccidere un qualsiasi soggetto appartenente ad un’altra; la vendetta, quindi, si trasforma in un regolamento di conti tra gruppi sociali diversi.
Nel corso dell’evoluzione, soprattutto all’interno della cultura occidentale la vendetta cambia volto: modo attraverso cui l’individuo offeso si vendica direttamente sull’offensore. Nel contesto hollywoodiano, nell’ambiente western, i soggetti non si vendicano su membri a caso di un altro gruppo ma la si fa pagare direttamente a chi ha offeso.
La cultura e lo stato moderno non possono permettere la vendetta, giustizia da sola, ma devono disarmare qualsiasi individuo che preveda di sostituirsi allo stato in nome della violenza. Diversamente verrebbe meno la sovranità.
La vendetta è una reazione passionale privata, da parte di una persona o di un gruppo, a un torto subìto nei confronti di chi tale prepotenza ha perpetrato, al fine di fargli del male. Se accettiamo di discutere questa accezione, notiamo subito che il concetto di vendetta non si comprende se non in relazione a quelli di offesa, punizione e giustizia.
In realtà, il concetto di vendetta, così come le diverse parole che lo esprimono, dipendono fortemente sia dal contesto antropologico e culturale sia dal tempo storico, che, come ammoniva Moses Mendelssohn, non è il medesimo per tutti e in ogni luogo.
Dall’esame del significato della vendetta presso un determinato popolo si può giungere ad individuare una più generale concezione del mondo, dell’uomo e della comunità. Secondo le Scritture ebraiche, accolte anche nel canone cristiano, l’essere umano è parte della comunità, l’azione del singolo coinvolge l’intera comunità e la vendetta significa compensazione, ossia annullamento di un torto subìto, ripristino dell’ordine perduto, dell’interezza della collettività.
Chi uccide un uomo ferisce non soltanto la collettività, ma la vita stessa. In tal senso, la vendetta non implica necessariamente odio, come nella concezione moderna.
Per Spinoza la vendetta è lo sforzo di ricambiare con il male chi ci ha fatto del male; sebbene possa anche accadere che il male subìto non sia reale, ma solo immaginato. Soprattutto però, d’accordo con Hobbes sul fatto che gli uomini «sono guidati più dall’affetto che dalla ragione», il filosofo olandese individua nel desiderio di vendicare qualche torto fatto a tutti un affetto comune che può fungere da guida per la moltitudine come «una sola mente».
Un’idea che ricorda la concezione biblica sopra brevemente schizzata. In entrambi gli autori emerge chiaramente l’idea che la vendetta sia qualcosa di essenzialmente diverso dalla punizione.
Aristotele, in particolare, addita una duplice via che la reazione a un’offesa ricevuta può imboccare: la punizione persegue lo scopo di colpire l’offensore, la vendetta di soddisfare/ l’offeso. È una distinzione essenziale, che va ulteriormente approfondita.
Quest’articolo è stato pensato ed elaborato nei mesi scorsi ma trova forte attualità nella comoda vivacità quotidiana: l’attualità è più irreale della fantasia, come spesso sappiamo. Negli ultimi giorni, i mass media hanno focalizzato la loro attenzione sul fenomeno del “revenge song”, ovvero dirne quattro al proprio ex.
Una chiara vendetta a suon di singoli, album ed EP soprattutto generato delle voci più famose del sistema mondiale che, piuttosto che star lì a piangersi addosso, preferiscono monetizzare sugli insuccessi della propria vita sentimentale, mettendo in musica parole che, nell’impeto del momento, si limiterebbero ad essere nient’altro che semplici insulti.
Tutto nasce da una hit della nota star colombiana Shakira che, dopo la fine del rapporto con il suo ex marito Gerard Piqué, ha dato voce al suo rancore nel testo di ‘Music Sessions Vol.53’, raggiungendo un successo record e proponendosi come vero e proprio manifesto delle donne tradite.
Il testo, dai toni molto pesanti, ha fatto il boom di streaming e visualizzazioni; su YouTube per ora ha superato 120 milioni di riproduzioni. Il singolo, in poche ore, è diventato per alcuni una sorta di inno delle donne tradite, ma, per altri, è stato considerato anche l’espressione di un rapporto tossico, che punta a denigrare la nuova compagna dell’ex difensore del Barcellona.
Man forte le ha dato un’altra famosa cantante americana, la giovane Miley Cyrus con la sua nuova ‘Flowers’ piena di riferimenti relativi alla fine del matrimonio con l’attore Liam Hemsworth, da cui ha divorziato nel gennaio 2020.
Due successi che stanno scalando la classifica delle vendite e che sembrano pensate per una vendetta a scopo di lucro. Nulla è al caso, nemmeno se in uno di questi due testi, quello di Shakira, si esplicitano due paragoni tra auto e tra marche di orologi che hanno comportato un grande effetto mediatico ma anche qualche presunto danno di immagine visto che il termine di paragone non sembra essere lusinghiero per almeno due di queste aziende tirate in ballo.
Tornando alla vendetta canzonistica, a me va di ricordare il magnifico testo di Francesco Guccini ‘Quattro stracci’, che parla della fine della relazione con la compagna Angela, madre della figlia Teresa, già al centro della canzone ‘Farewell’.
La canzone è compresa nel bellissimo disco ‘D’amore, di morte e di altre sciocchezze’, del 1996, ed è una delle ballate più rabbiose di Guccini, nata dall’incomprensione della fine di un rapporto che, come sempre accade, fisiologicamente porta con sé un pizzico di rancore, di criticismo e la voglia di smentire le ragioni del suo vissuto: la trama comune è l’incomunicabilità tra i due attori della storia.
Perché diciamolo, in certe parole c’è un’invettiva del tutto personale piena di livore poetico, una congerie di riferimenti a fatti strettamente privati che possono non interessare ma che, quasi senza dubbio, ci consente di rispecchiare certi nostri dolori.
Perché alla fine la vendetta è un piatto che viene servito freddo, ma, a volte, è così romantico poter sfruttare l’onda d’urto di un crescendo rabbioso.
Quello che resta, a mio avviso, è che la vendetta migliore, anche se la meno facilmente attuabile nell’immediato, è provare ad essere felici. Nonostante tutto e tutti.
Ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri
Quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri
Persa a cercar per sempre quello che non c’è
Io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri
Quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri
Persa a cercar per sempre quello che non c’è
Io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri
Quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri
Persa a cercar per sempre quello che non c’è
Francesco Guccini – Quattro stracci
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.