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Può un Massone consapevole vivere sereno in un mondo ingiusto? Parte 2

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Massone


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La Massoneria, nei secoli, ha sempre risposto alle domande di “senso” e di cambiamento dell’umanità influenzando molte grandi svolte positive della storia universale.

Alcuni importanti frutti esterni del nostro lavoro, intuiti ed elaborati prima nel Tempio e poi espressi nella storia, pur non direttamente dalle singole Istituzioni iniziatiche ma agite da singoli o da “movimenti” ispirati da nostri Fratelli, si chiamano Democrazia, Risorgimento, Diritti umani, lotte contro le ingiustizie, battaglie a favore dell’Istruzione, redazione di importanti Carte Costituzionali.

Oggi il nostro grande trinomio Libertà, Uguaglianza, Fratellanza che ha sempre ispirato le più nobili battaglie di giustizia e solidarietà, non sembra brillare quanto merita.

Spesso, come Fratelli, nascondiamo la nostra incertezza o certe nostre “esitazioni” a tuffarci nel presente, nell’azione dietro l’orgoglio, comprensibilissimo, di appartenere ad un Ordine iniziatico che ha annoverato tra le sue file nomi altisonanti, personaggi illustri come Mozart, Voltaire, Franklin, Fleming, Garibaldi, Roosevelt, Truman, o l’appena citato Lemmi, solo per fare dei limitatissimi esempi.

Sono massoni che meritano tutto il nostro rispetto e la nostra riconoscenza. Ma i Fratelli appena citati, nel contesto storico in cui hanno agito e realizzato i piani del G.A.D.U., sono stati semplicemente contemporanei del proprio Tempo e del proprio destino.

La Massoneria non ci chiede di essere dei geni. Non ci impone dei modelli super-egoici. Sono certo che ognuno di noi, con la propria personale caratura, con le proprie ali – di colombo, di gabbiano o d’aquila, poco importa – ma con la forza del proprio mattone, piccolo o grande che sia, non possa non sentire il richiamo, il brivido, di poter essere un Massone “contemporaneo”. Orgoglioso di appartenere ad una Massoneria capace di accettare le sfide del presente e del futuro.

La Loggia, almeno potenzialmente, è una vera e propria Polis. Un cantiere operativo d’utopia spirituale e sociale. Nel piano di realizzazione del G.A.D.U. non ci può essere vera liberazione soltanto a livello personale.

Come ha magnificamente scritto il mistico trappista Thomas Merton:

L’amore è il nostro vero destino. Non troviamo il significato della vita da soli. Lo troviamo insieme a qualcun altro.

In tutte le vie spirituali appartenenti alla cosiddetta “via umida” o della “mano destra” come la Massoneria, una “via longa” che richiede tempo, costanza e perseveranza, c’è un’idea di condivisione, di costruzione graduale e di amore verso il mondo.

Lo testimoniano le tradizioni e i grandi maestri spirituali della storia.
Il buddhismo, in particolare quello di tradizione Mahayana, contempla la figura del Bodhisattva (da bodhi, “illuminazione” e sattva, “mente”), un essere impegnato a conseguire l’Illuminazione e che, per “compassione”, decide di rimandare il suo ingresso nel Nirvana fino a che tutte le creature senzienti abbiano raggiunto il suo stesso stato.

Sono il protettore dei non protetti, il capo carovana dei viaggiatori.
Sono diventato la barca, la strada e il ponte di coloro che desiderano raggiungere l’altra riva. Possa io essere una luce per coloro che hanno bisogno di luce. Possa io essere un letto per coloro che hanno bisogno di riposo […]

Così possa io essere di sostentamento in molti modi per il regno degli esseri innumerevoli che dimorano in ogni parte dello spazio, finché tutti non abbiano ottenuto la liberazione.
Śāntideva Bodhicaryāvatāra, cap. II ‘Adozione della mente del risveglio’. 

Il cuore dei Massoni di oggi si trova nella stessa eterna condizione e contraddizione di Arjuna nella Bhagavadgītā, poema indiano le cui prime tracce risalgono al V secolo a.C, bloccato al bivio tra inazione e impegno guerriero.

Il dialogo tra il nobile Arjuna e Krishna è esemplare. Di fronte all’imminente guerra che si dovrà da lì a poco combattere tra i Pandu che credono nella giustizia e nella verità e i Kuru gli oscuri usurpatori che hanno scelto la via del male e dell’inganno, Arjuna si blocca pensando con disperazione che da lì a poco si sarebbe potuto trovare nella condizione di dover uccidere parenti, amici e antichi maestri.

La sua rinuncia, in realtà, agli occhi di Krishna, non è però frutto di amorevole compassione ma di indulgenza sentimentalistica.
Il rimedio sarebbe peggiore del male, perché così facendo alimenterebbe la violenza dell’opposta fazione e lascerebbe i più deboli preda delle forze tenebrose sul punto di scatenarsi.

La sua è solo codardia e ignoranza, nel senso metafisico del termine.
La possibile scelta di ritirarsi in se stesso in stato di contemplazione è solo una maschera della sua de-responsabilizzazione.

Krishna, avatara del Divino, gli ingiunge di uscire dall’ignavia e di prendere parte alla lotta, di seguire il proprio Dharma per il bene della giusta causa:

meglio è seguire la propria legge d’azione, sebbene imperfetta in se stessa.

Arjuna si sveglia dal torpore, incita i cavalli e spinge il proprio carro nella battaglia, ma, questo è fondamentale, affrancato dal samsara delle proprie emozioni egoiche e finalmente consapevole di dover fare la propria parte nel mondo, con amore e distacco, per la liberazione collettiva dell’umanità.

Dovrebbe essere chiaro ad ogni avveduto iniziato che ogni battaglia esterna è la metafora di quella “guerra santa” tra bene e male da combattere prima, nel corpo e nella mente, all’interno di noi stessi.
In questa prospettiva ogni azione esterna non potrà che essere individuale.

Come si sa “le idee camminano sulle gambe degli uomini” e se prima di passare all’azione non avremmo fatto una profonda opera di purificazione, i nostri ideali, i nostri valori tradotti in azioni all’interno della società saranno l’ennesimo travestimento del potere.

Autore Hermes

Sono un iniziato qualsiasi. Orgogliosamente collocato alla base della Piramide. Ogni tanto mi alzo verso il vertice per sgranchirmi le gambe. E mi vengono in mente delle riflessioni, delle meditazioni, dei pensieri che poi fermo sul foglio.