Amici miei dopo il Sacrificio e la Resurrezione del Figlio anche la battaglia contro il nemico invisibile e ingannevole sembra meno pesante, giacché il computer, Internet, il cellulare, i libri intrattengono la mente, aiutano a combattere il male oscuro e forniscono una valida compagnia.
Una compagnia che nonostante sia necessaria, benché fornisca un valido aiuto, non sembra essere in grado di sostituire ciò che riesce a fare la parola pronunciata bocca orecchio.
En archè en o lògos
In principio era la Parola
A tal proposito voglio parlarvi del meraviglioso e inaspettato incontro con Spartacus, ovvero Luigi Spartaco Malatesta, occorso presso la dimora del mio amico discepolo Fabio. Anche quest’occasione di ritrovo è frutto dell’immaginazione, di un sogno che si realizza nel dormiveglia ed è caratterizzato dal fiato ansante dovuto a una mattiniera e fortuita chiamata di Fabio.
Cari miei, dopo essermi svegliato e riaddormentato mi ritrovo a ricevere un’altra telefonata gradita ma inattesa che Fabio effettua con l’intento d’invitarmi a casa sua perché ha un ospite che desidera conoscermi. Non indugio oltre, mi alzo, mi rado la barba, mi vesto con i soliti pantaloni e camicia ampia di colore bianco, indosso la maschera “a meza sola”, copro il capo con il cappello o meglio con il “cuppulone”, compilo l’autocertificazione e scendo.
Esco da casa e mi dirigo verso quella di Fabio, a non molta distanza dalla mia, pensando e ripensando all’identità della persona che intende presentarmi. In men che non si dica giungo da lui, busso per farmi aprire e prendo l’ascensore giacché Fabio vive al terzo piano di un palazzo di recente costruzione. Arrivato mi viene incontro la moglie, una signora dagli occhi profondi e luminosissimi, una donna che riesce ad affrontare ogni asperità del percorso con forza e senza mai abbattersi.
Prima che lei inizi a parlare, un dolcissimo gattone ci raggiunge per ricevere delicate e amorevoli coccole dalla sua padrona. Nel frattempo, la signora mi saluta cordialmente e mi dice di andare sul terrazzo poiché è lì che Fabio e il suo amico, attendono il mio arrivo.
Un posto particolare giacché consentendo di osservare da lontano il Monte Somma e la fonte del Sebeto, permette di dar luogo sia a profonde meditazioni che a consistenti divulgazioni di conoscenza, mediante la trasmissione bocca orecchio della parola.
Nel momento in cui Fabio apre la porta di accesso al terrazzo, mi rendo conto che non occorre parlare poiché certi silenzi soffiano come il vento.
Di fronte a me un uomo distinto, dall’aspetto intellettuale si gira verso di me nel tempo in cui si apre un tulipano. Mi ritrovo di fronte un uomo con gli occhi pieni di ombre in movimento, ben curato, accuratamente vestito, una persona gentile e molto carismatica. Con grande cordialità si presenta, dicendo di chiamarsi Luigi Spartaco Malatita, alias Spartacus, di provenire da Portici, la cittadina dove ‘a terra ‘a ‘nfonne ‘o mare, e chiedendo il permesso di sedersi perché desidera continuare a gioire dello splendido panorama.
Ricevuto il mio benestare mi invita ad accomodarmi accanto a lui per gioire assieme di quella vista e per dar luogo ad una meritevole conversazione. Fabio prontamente prende due sedie e le dispone una a destra e una a sinistra del graditissimo ospite.
Nell’occupare quella di sinistra, penso a voce alta:
benedetta questa terrazza che mi consente di rallegrarmi di un magnifico orizzonte e della presenza di un illustre personaggio.
Fabio, ascoltando queste parole e percependo la mia pressante curiosità, sottolinea che Spartaco ha la passione per la solitudine, per la città di Napoli e per il suo mare, per i luoghi dove è possibile meditare e riflettere profondamente, per i libri e le biblioteche. Aggiunge che oltre a poter vantare esperienze di contatto con il “piano divino”, pratica l’Ascesi Ermetica, è un cultore della Tradizione Perenne, delle Scienze Ermetiche e ritiene fermamente che l’amicizia sia un valore assoluto.
Ah! Che bell’aria fresca… Ch’addore ‘e malvarosa… È bello osservare da lontano la fonte del Sebeto, scorgere la vetta del Vesuvio, respirare il profumo dell’esoterismo campano ed esultare della presenza di un ospite così pieno di conoscenza. Tenendo conto che tutto ‘o lassat è perduto, essendo veramente consistente la voglia di ascoltarlo, chiedo a Spartaco se ritiene che la Kabbala sia la scienza che studia i mondi sensibili-sottili che ci circondano e se questa possa essere definita ‘Saggezza Segreta’.
Udendo le mie parole, gli occhi di Spartaco risplendono tanto da sembrare fari che illuminano il mare, bocche che comunicano mute parole, silenzi che soffiano come il vento. Facendo come chi frije ‘e pisce e guarda ‘a jatta, continuando a osservare l’orizzonte, risponde che la Kabbala consiste nella trasmissione delle cose divine e riguarda la Mistica giudaica e che la sua lunga genesi, pregna, nel corso dei secoli, la storia di quella parte di popolo giudeo che desidera conoscere e comprendere sia le forme che il simbolismo del Giudaismo.
Dichiara che l’opera centrale degli studiosi di Kabbala è lo ‘Zohar’ o ‘Libro dello Splendore’, che in tanti considerano un testo sacro di valore indescrivibile, e che il Giudaismo europeo, pian piano, nel corso del tempo, sembra non voler più assegnargli il giusto valore. Ciò significa che la scienza del Giudaismo e la comprensione dei documenti della Kabbala sono via via relegate in una nicchia dove accede solo chi intende apprendere.
Una nicchia, dove è possibile approfondire e descrivere il mistero del mondo inteso come riflesso dei misteri della vita divina; che permette al popolo giudeo di capire la propria genesi, ma che si sottrae alla comprensione di chi non è interessato ad andare oltre il velo che copre gli occhi, la coltre che separa la superficie dalla profondità. Una nicchia che, nonostante appaia come un campo di macerie sorto in un pruneto, permette ad occasionali studiosi, di affacciarsi e cercare sacre immagini.
Cultori che, da un’analisi superficiale, sembrano disorientati poiché non trovano nozioni, ma emblemi particolari, colmi di storiografia giudaica. Un insieme di simboli e storiografia che sembra discostarsi dalla mistica cristiana, che s’innesta al di fuori delle correnti mistiche seguite da tanti, ma che conserva il suo profondo carattere, che si trasforma, che si prepara a sbocciare a manifestare la sua esperienza messianica.
Ascoltando le parole che fanno riferimento alla mistica cristiana e all’esperienza messianica lo interrompo per fargli presente che la mia religione è quella professata dalla Chiesa cristiana di Roma, che sono appunto cristiano e credo in quel Cristo che vive in ogni individuo.
Comprendendo dove voglio andare a parare mi anticipa, mi mette delicatamente una mano sulla spalla e mi dice che i principi della Kabbala sono validi per chi professa qualsiasi fede o religione, che il suo studio non richiede l’abbandono del percorso religioso che si sta realizzando poiché il suo scopo è aiutare l’uomo a comprendere le leggi del cosmo.
Aggiunge, inoltre, che nonostante la Kabbala sia un’antica saggezza universale, capace di spiegare le leggi fisiche e metafisiche dell’Universo, non è una religione ma un’esperienza spirituale. Chiarisce dicendo che coadiuva l’uomo, poiché comprende le leggi spirituali che indirizzano la vita dell’essere umano e, allo stesso tempo, aiuta a capire come poter accedere al potenziale soggettivo e come esprimerlo pienamente affinché si possa vivere meglio.
Quindi, Spartaco rimuove lentamente la mano dalla mia spalla e ribadisce che la base della Kabbala vi è la conoscenza dei concetti occulti della Torah, ossia, di quei significati che, dimorando in questo libro sacro, lo dotano della capacità di trasmettere in silenzio una serie di leggi divine e lo rendono idoneo a rappresentare una valida guida universale in uso agli ebrei da tremila anni.
Il Libro della Creazione e quello dello Splendore o Zohar sono da classificare come capisaldi, come consistenti pilastri della spiritualità kabbalistica. Avendo letto entrambi, si sente di affermare che quello della Creazione è un testo magico-meditativo che appare come base di partenza, mentre quello dello Splendore può essere considerato sia un punto d’arrivo, che riassume anni di speculazione kabbalistica, sia il preludio per la meditazione futura, giacché è in grado di mostrare la saggezza e le caratteristiche metafisiche del creato.
Prosegue dicendo che il primo si occupa di cosmologia e cosmogonia, mentre il secondo riesce ad esercitare una consistente influenza sul giudaismo e tratta dell’essenza della Divinità, del modo in cui Dio si manifesta all’universo, delle peculiarità del Messia, dell’anima dell’uomo, della sua natura e del suo destino, della sostanza del bene e del male, della Redenzione e dell’importanza della Torah.
Poi, come d’incanto, alza una mano al cielo, quasi volesse catturare una nuvola, e dice che il fine ultimo della Kabbala è riunire il mondo a Dio, congiungere la terra al cielo, manifestare all’uomo la presenza di Dio, realizzare l’unità con lui mediante le pratiche spirituali e osservare la Torah. Quindi, abbassa la mano, si volta verso di me e mi chiede cosa penso di tali insegnamenti esoterici.
Cari amici, pur sembrando neghittoso e sonnolento non lo sono, infatti, pronto al balzo felino per ghermire la preda, senza se e senza ma, inizio a parlare. Sostengo che l’uomo sia paragonabile ad una scatola con cinque fori, in altre parole, cinque sensi atti a distinguere la realtà che guida l’essere umano, che la percezione, garantita da questi cinque buchi, sembri essere limitata, non adeguata alla realtà globale, giacché gli orifizi della scatola sembrano non essere completamente aperti. In realtà, i fori sono ben aperti, ma le informazioni che penetrano, secondo un’interpretazione soggettiva, incontrano una resistenza interna che si oppone all’ingresso di ciò che è sconosciuto.
Intanto Spartaco annuisce. Aggiungo che la resistenza dipende da com’è programmato il sensore che decifra le informazioni, che siano o meno conosciute, un sensore che non informa pienamente l’individuo e che, invece di comunicare la realtà oggettiva, la riduce, la modifica e la trasforma in soggettiva.
Un sensore collegato ad un programma che consiste nell’educazione ricevuta, nelle esperienze infantili, nell’egoismo, nella voglia di apparire anziché essere e in quel desiderio di ricevere che plasma la realtà affinché divenga come si desidera.
Un programma che non tiene conto della realtà esterna, né della disinteressata evidenza cosmica che sostiene e guida l’essere umano e nemmeno di quella legge generale dell’universo che si fonda sull’altruismo incondizionato e sul desiderio di dare.
Una legge che garantisce la vita all’umanità tutta; che ha regalato all’uomo i cinque sensi atti a misurare la vita e il desiderio di ricevere; che ha donato all’uomo l’attitudine a comprendere, attraverso altri modi, sia la vera natura dell’essere umano che la capacità di capire in cosa consista la facoltà di compenetrarsi con la realtà assoluta.
Nel compiere il percorso spirituale, i cabalisti tengono conto che nel mondo fisico, l’uomo, mediante i sensi, in ossequio alla legge della ‘Equivalenza della Forma’, percepisce le forme dei fenomeni come familiari, codificate e acquisite nel corso della sua esistenza. Essi, tengono conto che nel mondo non fisico, quello della realtà assoluta, se due campi di forza hanno la stessa qualità e lo stesso scopo, sono la medesima cosa.
Se l’individuo desidera essere in equilibrio con la legge generale dell’Universo, può farlo mediante la consapevolezza, grazie al prontuario per l’uso della realtà, attraverso il manuale che decifra e spiega i mondi interiori e quelli esteriori. In altre parole, egli può giungere a questo equilibrio, mediante quella scienza che alcuni denominano Saggezza e altri Kabbala.
Dimostrando di non rappresentare solamente il popolano sciocco, ozioso e stolto, manifestando una consistente sapienza e una duttilità che mi consente di adeguarmi ad ogni circostanza, dico che la Kabbala risponde all’assioma al quale molti aderiscono, ovvero, fa proprio il postulato che afferma che “nulla accade per caso”.
L’uomo consente alla Luce di penetrare nella sua vita se si comporta come essa, se dà luogo a un idoneo processo di correzione, se rimuove il velo che lo divide dagli altri mondi e se sconfigge la forza denominata ego. In altre parole, se la forza dell’anima, desiderosa di costruire e di essere causa, vince la battaglia contro la forza dell’ego, che, invece, spinge ad essere effetto, l’essere umano diviene come la Luce e comprende chi è, da dove viene e dove sta andando.
I kabbalisti, in merito alla creazione, ritengono che esista la manifestazione di Dio che si estrinseca mediante una forza chiamata Luce e che questa, a sua volta, desideri condividere e donare se stessa. Pertanto, la Creazione consiste nella realizzazione di un mondo di beatitudine, dove esiste un ricevente, un essere umano, una radice o sorgente dell’uomo, ossia, un Vaso.
Un mondo di beatitudine consistente sia in una stazione ricevente, ovvero, l’uomo, munito dell’attitudine a ricevere, sia in quella Luce dotata della predisposizione al dono degli attributi divini. Ove mai l’uomo riuscisse a perforare il buio che lo circonda, a superare i dieci veli, le dieci dimensioni, ossia le dieci Sefirot dell’albero della vita, potrebbe ricevere la guida necessaria per accogliere, come dono, quel soffio vitale che riconnette l’essere umano alla fonte della Luce.
Spartaco, resosi conto che ho terminato, prende la parola e dichiara che la Kabbala può essere paragonata ad un sistema integrato fondato preminentemente sulla luce, ad un mezzo che lavora, contemporaneamente, sia sul microcosmo che sul macrocosmo. Quindi, si gira verso Fabio e gli chiede cosa ne pensi.
Fabio risponde che approfondendo la conoscenza della saggezza della Kabbala mediante la !decodifica! di uno dei testi sapienziali più efficaci ed occulti che siano mai stati scritti, il Sefer Yetzirah o libro della Creazione, l’uomo può discernere sul profondo e vivificato significato del Creatore e della Creazione.
I suoi studi lo portano a ritenere che l’Albero della Vita, composto di dieci Sefirot, consista nella sintesi dei maggiori insegnamenti della Kabbala e che, al di là di ogni ragionevole dubbio, le Sefirot rappresentino gli attributi di Dio e che svolgano un importante ruolo nel processo di comprensione archetipale “della Realtà Assoluta”, del “Mondo delle Cause” e delle leggi universali, giacché, al contempo, le regolano, codificano e decodificano.
Mediante un distillato di conoscenze fisiche e metafisiche, ovvero attraverso il Sefer Yetzirah, i rabbini, i sapienti, tramandano un metodo per far comprendere gli insegnamenti di una dottrina riservata a quei pochi in possesso degli strumenti “spirituali” atti a discernere tale conoscenza, a interpretare i misteri della creazione, la struttura del Cosmo ed il potere magico evocativo dell’alfabeto ebraico.
Precisa poi, che il Sefer Yetzirah, oltre a presentarsi come il più antico e misterioso di tutti i testi della Tradizione Kabbalistica, sembri contenere una sorta di codifica composta di numeri e lettere, capaci di illustrare, mediante un sistema di corrispondenza, l’intera Creazione ed Evoluzione del Mondo. Puntualizza, inoltre, che i kabbalisti insegnano che ogni lettera dell’alfabeto ebraico possiede una forma ed un valore numerico e che, ognuna di queste, legata ad un’altra, cambi di “valore” e significato.
Per apprendere il senso profondo di questo testo mistico bisogna conoscere l’ebraico biblico, le leggi della Torah, il Talmud e parte della Ghematria. Questo lascia intendere che la Saggezza del Creatore consista anche nei numeri e che ogni cosa che esiste sia decodificabile mediante essi. Chiosa poi dicendo che l’essere umano, provando il profondo bisogno di razionalizzare e decifrare mediante i numeri, la somma o la sottrazione numerica, fa corrispondere una parte definita della realtà materiale.
Mediante il Sefer Yetzirah è intuibile l’occulto, ciò che vive dietro il velo, ciò che esiste al di là della realtà manifesta. Premettendo che ad ogni lettera corrisponde un concetto universale e assoluto, dice che questo sembra essere retto dal numero che la lettera rappresenta. Allo scopo poi, di suscitare in me in desiderio di approfondire i concetti, Fabio esemplifica citando sia il numero uno che l’Aleph, ovvero, la lettera ebraica associata alla Sefirot denominata Keter.
Premettendo che le lettere ebraiche rappresentano geroglifici geometrici, dice che penetrando nei segreti della prima lettera dell’alfabeto ebraico, ovvero, di Aleph, si riesce a percepire che questa simbolizza l’intero universo, rappresenta tutto ciò che è uno, l’essere concepito, il principio del pensiero, l’influsso divino sulla natura umana.
I kabbalisti estraggono da un pentacolo in base cinque, le lettere dell’alfabeto ebraico e le trascrivono su di un piano simbolizzante il paradiso terrestre e consistente in quattro cerchi, concentrici gli uni negli altri, iscritti in altrettanti quadrati. Essi sembrano utilizzare tali figure geometriche per gli insiti significati e perché, fungendo da normografo, aiutano nella realizzazione del grafema.
La riproduzione della lettera Aleph, in posizione statica, rappresenta sia il diametro che la circonferenza, mentre quando ruota in modo orario, oltre a produrre sia la fase ascendente che discendente, indica l’unità con l’essere, l’inizio, il movimento e l’equilibrio.
Per lui i kabbalisti ritengono che Dio crei l’Universo mediante ciò che le lettere in materia archetipale simbolizzano e che i kabbalisti esistono quattro modi per interpretare l’unità:
1) Universale. Genera e comprende tutti i numeri. Non ha alcun elemento binario.
È un’unità innumerabile, inconcepibile, infinita, universale, necessaria e di facile comprensione per l’uomo;
2) Relativa e manifesta. Comprende un elemento binario che dà inizio al numero e lo riassume elevandosi sempre. L’elevazione rende infinita la progressione;
3) Vivente e generante. Atta a generare sia il movimento che la vita;
4) Visibile e rivelato. Atta a rivelare la forma universale.
Queste quattro nozioni dell’unità sono rappresentate da quel Tetragramma divino in cui la Croce rappresenta la figura geroglifico-archetipale.
Fabio, per esemplificare ancor di più, ci mostra uno schema in cui si nota che, nonostante la palese congruità con l’Aleph, esiste un’evidente difformità rappresentata dall’elemento verticale. Infatti, i kabbalisti usano trascrivere l’Aleph inclinata, giacché il Creatore per emanare le sante lettere, si piega verso l’essere umano, e mentre l’albero della scienza si incurva verso l’uomo, il serpente della vita gli si avvolge attorno alle gambe.
Prima di terminare, dice che Aleph, così disposta, ha lo scopo di indicare sia che il movimento circolare della Croce dona vita ai soli, sia che con il moto perpetuo del quadrato si realizza il cerchio. In altre parole, si realizza l’unica e vera quadratura del cerchio…
Manifestando poi un sorriso e una mimica facciale amabile termina dicendo che:
l’unità universale è Dio
l’unità vivente è lo Spirito Santo
l’unità visibile delle Armonie Universali è la Provvidenza
Ascoltando queste parole, mentre guardo l’orologio per controllare l’orario, concludo che, alla luce di quanto detto, lo scopo della Kabbala sembra essere quello di permettere all’uomo di ritrovare Dio scoprendo, altresì, il percorso che conduce a lui.
Dovendo quindi andar via, dopo aver salutato Fabio e Spartaco, m’incammino verso casa mia. Un pensiero che penetra e permea la mente mi accompagna. Penso, infatti, che Benedetto Croce leggendo questo scritto, non mi consideri un mero polinomio, anzi, continui a stimarmi e a parlar bene di me, giacché conosco un posto sconosciuto a molti, un luogo che consiste in un bosco nero attraversato da un sentiero che porta al lago dei cigni bianchi che, cantando, annunciano il ponte rosso, illuminato dalla Luce.
Autore Domenico Esposito
Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.