Ciò che scrivo è figlio del mio amore per quei racconti di finzione che mi consentono una fantastica evasione, attraverso i quali tento di far immergere chi legge in una sorta di medias res, facendolo nuotare all’interno dell’argomento.
Le mie narrazioni pongono l’accento su quella cospicua «necessità espressiva» che mi spinge a dormire, perché così sogno, e, mentre sogno, una domanda e alcune affermazioni intrattengono la mia mente.
Perché corri tanto? La vita è qui; possiedi già tutte le risposte. Tu sei per te stesso il più grande degli arcani, l’origine di tutte le soluzioni.
L’ignoranza intralcia il percorso evolutivo, è necessario far sì che gli ostacoli non siano insormontabili. Bisogna inseguire la Luce e la Conoscenza, perché così l’uomo potrà trasformare le vie senza uscita dell’apparente labirinto che imprigiona l’esistenza, in idonee indicazioni.
Il mestolo per l’acqua, che va e viene dall’inferno caldo e freddo, è privo della mente e non soffre.
Il mestolo è immerso sia nell’acqua bollente che in quella gelida, ma non sente dolore, perché non ha spirito e forse non ha nemmeno un’anima. L’uomo, invece, ha entrambi.
Concordo con ‘Le rimostranze della Natura all’alchimista errante’ in cui Jean de Meung nel XIII secolo evidenzia gli errori degli alchimisti del suo tempo.
Io parlo a te fanatico sciocco che ti dici e ti dichiari in pratica Alchimista e buon filosofo e non possiedi né sapere né capacità dell’arte, né conoscenza di me… Con un fuoco che arderebbe chiunque desideri fissare argento vivo, quello volatile e volgare, e non quello che creo io come metallo? Per questa via non combinerai nulla.
Percorrere le strade impossibili e deserte che costeggiano quei laghi di montagna, lontani da tutto, eppure a due passi da città confuse come Napoli, le cui le antichissime vestigia egizie fanno bella mostra di sé nel centro abitato, caratterizzato da strade e piazze che, in alcuni periodi dell’anno, sono deserte e silenziose e in altri sono affollate e rumorose.
Attraversare indescrivibili paesaggi montani o vie ancora colme di cultura, storia, antiche e segrete tradizioni religiose ed esoteriche, è un’esperienza da raccontare, perché genera emozioni inimmaginabili.
La voglia di respirare la quiete mistica di paesaggi incontaminati, di territori caratterizzati da miseria e povertà a profusione, spinge ad allontanarsi dalla confusione delle città moderne e dai paesi rurali. Spostandosi sempre più, si riesce a gioire della presenza di piccoli rifugi, incastonati tra le rocce, a precipizio della ripida montagna, che, emettendo nell’aria strane fumigazioni, fanno vivere allucinazioni così prossime alla realtà, da sembrar vere. Visitandoli, inevitabilmente, oltre a pensare alla caverna di Platone, senza soluzione di continuità, si percepiscono le delicate vibrazioni presenti.
Io e Fabio Da’ath, nel bel mezzo di un viaggio attraverso paesaggi inviolati, storditi dalle esalazioni che fuoriescono dalle viscere di un famoso antro, ci ritroviamo a vivere un fittizio e meraviglioso incontro con un uomo esile, basso, posato, con palpebre e guance gonfie, dal collo sottile, gli occhi infossati, gli zigomi alti e marcati, la fronte ampia, i capelli canuti, il pizzo bianco, ma ben curato, che indossa occhiali dalla comoda montatura.
Lo sconosciuto, uscendo dal nulla, non appena si rende conto dei nostri timori, ci rincuora:
Non abbiate alcun timore reverenziale, sono un viandante che, come voi, cerca la verità e il sole della conoscenza. Mi chiamo Primo Levi e sono l’autore di ‘Se questo è un uomo’, il libro che, attraverso l’esperienza estrema di Auschwitz, parla dell’individuo, delle sue responsabilità e di quello che, nel bene e nel male, può fare.
L’artefice del testo che, oltre ad evidenziare i timori e le perplessità del singolo, rimuove il velo che copre l’assioma che, come un virus, prima attacca la persona, poi erge a dimora celata il labirinto mentale dell’uomo stesso. Un assioma che, se diventa un pensiero comune a tanti, può produrre atti e gesti che poi conducono direttamente ad imprese e azioni prive di etica e morale.
Dopo l’ascolto di parole così profonde e piene di significati ermetici, io e Fabio, contenti per l’incontro, ci presentiamo. Esperite le presentazioni di rito, il mio fedele accompagnatore, affascinato dal carisma del nostro interlocutore, gli chiede se stiamo vivendo un’allucinazione, se stiamo respirando l’aria pura della realtà assoluta, oppure siamo immersi nella realtà relativa di cui si ciba il mondo sensibile.
Lo scrittore, con invidiabile calma, risponde:
Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che tornando la sera trovate il cibo caldo e visi amici, considerate se quest’uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane e che muore per un sì o per un no, possa essere definito un essere umano. Riflettendo sulle donne incapaci di ricordare, senza capelli, senza nome, con gli occhi vuoti e il grembo freddo, come una rana d’inverno, ditemi se, secondo voi, possano essere ancora definite esseri umani.
Mancandomi la forza di guardare oltre il filo spinato del campo di concentramento, non riesco a salvarmi dalle prigioni interiori che inaridiscono, fino alla dissoluzione, l’animo umano. La mia catarsi, non essendo completamente avvenuta, mi costringe ad autodefinirmi paradigma di quelle detenzioni interiori che mietono innumerevoli vittime.
Anche se l’esperienza del lager tenta continuamente di trasformarmi in polvere, per adesso sono vivo e il mio animo continua a palpitare per quelle ferite che non si possono mai risanare, salvo che non si riesca, mediante una trasmutazione reale e cristallina come l’acqua, a “lavare il vento e ripulire il cielo”.
Sono qui per parlarvi di un mio amico, di un’epoca non determinata ma antica, il germanico Rodmund, dedito alla ricerca di minerali di piombo, amante dei paesaggi aspri e rocciosi che, come tutti gli uomini della sua linea paterna, conosce bene una particolare pietra pesante, sa dove trovarla e come fonderla per estrarne il piombo nero.
Nonostante i continui e solitari cammini verso sud, non è ancora stanco. Ricordo bene i suoi quattro anni trascorsi a spostarsi, di contrada in contrada, evitando le pianure, risalendo le valli, battendo con il martello, come uno scalpellino di una corporazione medioevale. In quel periodo, d’estate lavorava i campi, d’inverno intrecciava canestri o spendeva l’oro in suo possesso, perché la ricerca del minerale non produceva i frutti sperati. Oggi, tutti gli altri esperti trasmutatori sono dediti a differenti impegni, il mio amico no, perché, come il piombo senza i ricercatori non vede la luce, così Rodmund senza esso non può vivere.
Ogni cercatore del metallo saturnino e di verità che si rispetti è anche un viaggiatore, infatti, il proavo di Rodmund, come si racconta, viene da molto lontano; si pensa da un paese dove la gente abita in palazzi di ghiaccio, dove il sole, oltre ad essere freddo, non tramonta mai e nel mare nuotano mostri lunghi mille passi.
Egli, ancora oggi, in compagnia di bastone e bisaccia, si sposta alla ricerca di pietre da fondere, o da far fondere da altre persone, dopo aver insegnato loro l’arte contro oro. Il mio amico Rodmund, anziché essere un negromante, come tanti pensano, è un alchimista che riesce a mutare il piombo in oro.
Fabio, approfittando di un attimo di pausa di Primo Levi, lo prega di continuare a parlarci di Rodmund, della ricerca del Piombo, delle proprietà di questo minerale e di ciò che ritiene possa soddisfare la nostra sete di conoscenza ed accrescere il nostro sapere.
Il nostro interlocutore, con la velocità di un Eurofighter in fase di decollo, riprende la parola:
Dato che le pianure non fanno per Rodmund, suppongo che non si trovi più in quel posto in cui la terra è appiccicosa e priva di virtù e segreti. Penso, viva, invece, sulle montagne, perché lì le rocce, che sono le ossa della terra, si vedono scoperte, suonano sotto le scarpe ferrate ed è facile distinguerne le diverse qualità.
Credo sia in quel luogo in cui le donne costruiscono splendide e solide case di pietra, piene di celata simbologia; attraversato da un torrente impetuoso, dall’acqua torbida e bianchiccia, come se ci fosse mescolato una grossa quantità di latte, che, grazie alla sua corrente, oltre a trascinare a valle i sassi che, provenendo da lontano, parlano chiaro a chi sa capire, li ripulisce dalle scorie, li riduce e distilla in una sorta di Albedo alchemico.
Suppongo viva sulle alture che sovrastano quella bellissima valle in cui le rocce rosse, colme di bianche striature, emanano vibrazioni ctonie simili a sibille che, con i loro canti, annunciano ai viandanti la presenza del piombo, paradigma della Nigredo, del bianco, simbolo dell’Albedo, e del rosso, emblema della Rubedo.
Lo immagino lì perché sa bene che in quel luogo ci sono sassi bianchicci con granelli neri. Il germanico, infatti, conscio della loro presenza, ha sempre con sé il crogiolo d’argilla, la carbonella, l’esca, l’acciarino e un altro strumento segreto, che solo il vero ricercatore conosce e che serve a capire se una pietra è buona o no.
Il nostro interlocutore è inarrestabile e, accortosi di quanto siamo affascinati dal suo carisma, continua il suo racconto:
Non bisogna fidarsi delle apparenze, perché la pietra, che sembra morta, è, invece, piena d’inganni. A volte, come certi animali camaleontici che mutano colore per non farsi riconoscere, cambia sorte già mentre la scavi. Rodmund, quando la trova, la riscalda nel crogiolo, posto su di un idoneo fuoco, poi la fa raffreddare, affinché diventi un piccolo re, un dischetto lucido ma pesante, capace di espandere il cuore.
Il germanico, risalendo la corrente, conduce il piccolo re fino al valico, quindi lo trasporta nella valle che ospita quel bellissimo paese da cui si intravedono montagne bianche di neve anche in estate. Dopo un meritato riposo, munito d’idonei strumenti alchemici, riparte e, seguendo la corrente di un altro ruscello, riprende il cammino che sbocca verso il luogo pianificato, il giacimento ospitato da un ripido canalone in cui l’erba, stentando sempre di più, cede il passo ad un’erta riva ghiaiosa, caratterizzata dalle pietre bianche, che affiorano a portata di mano, mentre per trovare quelle nere basta scavare trentatré centimetri.
Egli è il principe del Piombo; infatti, incontrando sulla sua strada la pietra giusta, nera, poiché non può andare contro la sua indole, inizia a lavorarla, a trasmutarla in oro.
La natura di Rodmund, agendo come la forza che guida i salmoni a risalire i fiumi, o come quella che fa tornare le rondini nido, lo spinge sempre a trasformare il piombo in oro.
Improvvisamente, nel tempo in cui si apre un tulipano, appare una Luce, che quasi ci abbaglia ed induce il nostro interlocutore a smettere di parlare.
La Luce, sorprendendoci, dice:
Ascoltate, figli della mia sapienza, in alchimia i simboli di base, sia a livello spirituale che materiale, simboleggiano quel Sé originario che è in grado di trasmutare in qualcosa di preponderante ed inattaccabile.
Il regno dell’alchimia assegna ad ogni elemento una rappresentazione fisica ed un livello filosofico particolare e, pur consentendo al vero ricercatore di scoprire le leggi che interconnettono la vita materiale con quella spirituale, non consente a chi non è pronto e ai meri curiosi, di comprendere le tecniche per accedere ai processi segreti.
Nella Tradizione Ermetica, il significato dei metalli non è circoscritto alla sua sola accezione letterale, infatti, il ricercatore, in modo soggettivo e dinamico, li associa utilizzati in Alchimia a moltissimi significati di tipo metafisico ed individuale. Per scoprire il senso dell’elemento, dà dinamicamente luogo ad un percorso interpretativo che tiene conto anche della situazione in cui l’elemento stesso è utilizzato.
La Luce, conscia della nostra condizione emotiva, per calmare la nostra trepidazione, prosegue:
Primo, avvicinati, perché inducendoti a sognare, al mio uscio ti permetto di bussare. Fabio trova in me conforto, perché in un mondo felice ti porto. Pulcinella, innumerevoli angeli per te cantano in coro, perché i tuoi sogni siano d’oro.
Rivolgendosi ancora a me, continua:
Anziché sentirsi tristi e soli, bisogna emulare te perché con la mente voli.
Dopo questa breve e simpatica divagazione, la Luce, aggiunge:
Cari miei, il piombo, dal punto di vista morfologico, è un metallo denso, duttile, malleabile, di colore bianco-bluastro, resistente alla corrosione e governa simbolicamente le tenebre.
Il ricercatore, sfruttando sia le caratteristiche di questo elemento che le cognizioni individuali, mediante la sua combustione, innesca il processo metaforico di pulizia e purificazione delle scorie, in altre parole, sgrossa le imperfezioni dell’animo umano.
Simbolicamente, è governato dal pianeta Saturno, l’astro che alcuni individuano come il Guardiano della Soglia, che sbarra e rallenta l’accesso allo stadio superiore di conoscenza. Il Piombo della Nigredo, oltre ad essere idealmente legato al processo di putrefazione e trasformazione, durante la fase denominata Albedo, si trasforma in Argento; che sta a rappresentare che ciò che compone il corpo mentale e psichico, mediante la purificazione, vibrando ad una frequenza più alta, rispetto alla precedente, scarica di tensione il corpo fisico.
La Luce, intrigando sempre più le nostre menti, seguita:
Rodmund sa bene che combinando il piombo con l’argento si ottiene il metallo purificato che i ricercatori chiamano Mercurio dei Filosofi.
Sa, inoltre, che la trasformazione del Piombo in Oro, ottenuta grazie alla Pietra Filosofale, è una profonda metafora utilizzata dagli alchimisti per descrivere il percorso di crescita e “trasmutazione” individuale.Trasmutazione accompagnata da un segreto che, visto con gli occhi che sanno vedere, rappresenta il classico uovo di Colombo, perché consiste semplicemente nel “Ricordo di Sé”, nella capacità di restare totalmente presenti nel “qui e ora”, mentre si svolgono le normali attività quotidiane.
Quanto al Piombo e alla sua affinità con la prima fase alchemica, partenza del percorso iniziatico che ogni alchimista che si assurge a tale rango è tenuto a compiere affinché possa realizzare la Pietra Filosofale, occorre precisare che, nonostante, a prima vista, la Nigredo appaia oscura e per certi versi un po’ macabra, è necessaria, giacché, com’è noto, l’oscurità prelude sempre alla luce.
Quanto ai corpi sottili, mentale e psichico, la fase denominata anche Opera al Nero, consiste nella distruzione, putrefazione, annientamento di tutti quegli elementi viventi, disgregati e dannosi, presenti in tali corpi. Se sul piano mentale il ricercatore o iniziato distrugge i suoi Io e le sue personalità, sul piano psichico si impegna nella distruzione delle emozioni immobilizzate nella psiche.
Le tensioni presenti nel corpo fisico sono tenute in vita dagli Io e dalle emozioni dissolte e con il loro annientamento, non hanno più ragione di esistere. Giacché mediante l’auto-osservazione, il ricercatore è in grado di innescare il processo di disgregazione e putrefazione, vivamente vi sprono ad auto-osservarvi e, dunque, a comprendere sia il comportamento che la formazione dei vari Io e delle varie personalità e di prendere coscienza sia delle emozioni individuali, che seguendo un percorso involutivo pian piano degenerano, sia dei fattori fissati, durante infanzia e adolescenza, tramite il condizionamento familiare e sociale.
Gli elementi cristallizzati sono dannosi perché non permettono all’uomo di esercitare il dono del libero arbitrio e perché lo lasciano in balia di bisogni indotti da mancanze derivate dai comportamenti appresi da chi gli vive accanto, che il sistema cognitivo tende a considerare come corretti, perché praticati dalla massa.
Purtroppo, ora devo lasciarvi, perché altri ricercatori, desiderosi di ascoltare le mie parole, mi aspettano. Mi preme solo dirvi che solo l’auto-osservazione permette di prendere coscienza del fenomeno e di intraprendere, in modo consapevole, una distruzione dei blocchi, e di purificare la materia sottile.
La Luce, dopo queste parole, cagionandoci un serio dispiacere, seguita dai nostri melanconici sguardi, si allontana.
Guardando in direzione della Luce notiamo venire verso di noi un uomo slanciato, volto regolare, colorito roseo, espressione allegra, capelli ricci color castano, occhi grandi e così brillanti da sembrare smeraldi. Fabio, accortosi che si tratta di Pietro, editore napoletano con ampia esperienza alchemica, attirando la sua attenzione, lo prega di raggiungerci e parlarci delle sue ricerche.
Pietro, come un purosangue scosso, che dopo il disarcionamento del proprio fantino corre il palio di Siena con una velocità senza pari, non aspettando altro che l’invito ad intervenire, esclama:
Cari amici, la conditio sine qua non affinché si possa intraprendere il cammino che porta alla purificazione, al miglioramento, all’innalzamento, ossia, alla trasmutazione, consiste nel prendere coscienza che il percorso conduce ad un perfezionamento interiore che permette un migliore atteggiamento nei rapporti interpersonali.
Per penetrare a tutto tondo nell’Alchimia occorre comprendere il legame esistente tra gli opposti concetti di mortificazione, putrefazione, scioglimento, disgregazione e di resurrezione, fortificazione, accrescimento e sintesi, secondo un percorso d’iniziazione che, divenendo più chiaro e comprensibile, permette un’idonea coscienza. Il ricercatore è consapevole nel momento in cui, oltre ad acquisire cognizione del percorso, comprende il significato dei simboli in modo dinamico e soggettivo.
Pietro, tenendo presente che la parola è ragione di vita per l’uomo e che il saggio non parla mai di ciò che non può tramutare in azione, cercando di attirare ancor di più la nostra attenzione e di trasformare le sue parole in un nostro ascolto silenzioso, ma dinamicamente attivo, dice:
Si legge, da più parti, che San Tommaso d’Aquino, Sant’Alberto Magno e San Bonaventura da Bagnoregio, siano anche cultori della ricerca alchemica.
Alcuni studiosi collegano San Tommaso d’Aquino all’alchimia, perché discepolo di Sant’Alberto Magno, il santo cui sono attribuiti scritti tra cui ‘De Mineralibus’ e ‘Alkimia Minori’, che molti ritengono autentici. Nonostante non sia possibile dimostrarlo, penso che l’Arte Regia attraversi la strada di San Tommaso e la fisica del santo Aquinate sia assimilabile a quella di Aristotele, ossia, quella che in tanti pensano essere affine alla filosofia degli alchimisti medievali.
Cari miei, esaminando la teoria aristotelica si riesce a comprendere che la materia, oltre ad essere indeterminata e ricettiva, è plasmata, definita dalla forma pura, dal principio attivo, da Dio. Questa e la forma sono concepite come termini assoluti, entro cui è compreso tutto l’Universo: materia prima, che per Aristotele non è conoscibile perché è indeterminata, per i ricercatori è l’embrione cosmico che genera i metalli, e forma pura.
Fabio, ascoltando questi concetti, come morso da una tarantola, scusandosene, lo interrompe e rimarca:
Il ricercatore che aspira alle cose del cielo, senza mai trascurare quelle della terra, trova giustizia, pace ed equilibrio. Chi abusa delle cose inferiori, non può discernere quelle superiori, chi, invece, abusa di quanto è in alto, non può comprendere quanto è in basso.
Il figlio dell’uomo, portando il la terra nell’alto dei cieli e viceversa, mette un freno a questi abusi. Il suo monito è: “Date a Cesare ciò che è di Cesare e al Padre ciò che è del Padre Celeste”.
Levi, scosso, non poco, dalle parole di Fabio, rendendosi conto che nessuno di noi intende aggiungere altro, interviene:
Ritengo che sia la morte in croce di Cristo, narrata nei Vangeli, che l’attraversamento dell’Inferno da parte di Dante Alighieri raffigurino la Nigredo.
Spero che mi perdoniate, ma desidero riprendere a parlare di Rodmund e del piombo al solo scopo di descrivere la fase alchemica che questo metallo simbolizza. Intendo, quindi, soffermarmi sulla Nigredo, inizio del Lavoro su di sé, distruzione dei desideri, dell’ego, della putrefazione, della morte alchemica, cioè, dell’Opera al Nero.
La Grande Opera rappresenta il sentiero iniziatico che i ricercatori come Rodmund e come me, devono percorrere per realizzare la Pietra Filosofale, il Lapis Philosophorum.
Cari miei, “homo faber fortunae suae”, l’uomo è artefice della propria sorte. Colui che decide di attraversare le tre fasi alchemiche nella prima, la Nigredo, sperimenta il processo mediante cui la vita, abbandonando pian piano la materia, genera, all’interno della terra individuale, una sostanza putrida e senza forma. Questo processo fa sì che la materia, fermentando, generi e porti alla luce una nuova forma di esistenza.
Come Pietro ben sa, i ricercatori operano con lo spirito, per cui, quando si parla di putrefazione, si intende l’imputridimento dell’ego. L’individuo che decide di realizzare la Nigredo, immergendosi nella notte oscura dell’anima, assapora lo smarrimento che precede la crescita spirituale, debella i personalismi e i pregiudizi, estirpa i preconcetti e, sedendosi sulla riva del fiume, osserva il nuovo vento che porta via le idee in precedenza legate all’ego, trattandole come foglie secche che cadono dagli alberi. Chi decide di affrontare la notte oscura, distruggendo il vecchio Io, crea le premesse per un uomo nuovo e spiritualmente più completo.
I simboli della Nigredo sono il colore nero e l’oscurità della notte; questa fase è assimilabile al ritorno al buio del grembo materno e, come il feto attende di vedere la luce, così gli aspetti di sé, invisibili e sconosciuti, aspettano di essere illuminati dalla luce dell’alba. Un cospicuo paradigma dell’incontro con l’ignoto che prende corpo durante questa fase, consiste nella Luna, che, a livello planetario, si lascia governare da Saturno, l’astro oscuro e tenebroso.
Primo, apparendoci come un destriero bianco, che alla ricerca della libertà di pensiero e d’azione, percorre senza soluzione di continuità la battigia marina, prosegue:
Faccio ricorso al linguaggio simbolico perché credo sia il mezzo più idoneo per descrivere le trasmutazioni alchemiche, ovvero la Nigredo, e le altre operazioni.
Ritengo che sia difficile esprimere, mediante un linguaggio diverso i processi che, oltre a trascendere la psiche umana, presentano consistenti difficoltà, sia perché non sono un semplice riflesso di ciò che accade a livello dell’animo umano, sia perché riguardano operazioni complicate.
Vi preciso, inoltre, che non credo esista un altro linguaggio capace di rappresentare sia il compito di realizzazione del sé, compiuto dal ricercatore, e i mutamenti che questi vive interiormente, sia il processo d’individuazione del percorso psichico che porta ad integrare e migliorare la propria personalità.
Concordo con chi associa la Nigredo all’archetipo dell’Ombra, cioè, ai contenuti rimossi dell’inconscio. In merito ad essi, penso Jung intenda circoscriverli nell’alveo degli aspetti di sé che l’individuo è portato a respingere, sia a causa dell’educazione ricevuta, che delle influenze causate dall’ambiente circostante.
Quanto all’Ombra, credo sia opportuno definirla l’alter ego dell’uomo, l’altro Io, l’antagonista reale e pensante, che agisce ed aspira a ciò che la coscienza repelle, in altre parole, una parte inferiore della personalità, un reale nemico interiore. È il ricettacolo di ciò che l’individuo non riesce ad ottenere nel bene e di quello che continuamente riceve nel male.
Il ricercatore, mediante la Nigredo, non distrugge l’Ombra, poiché questa, nonostante sia buia e oscura, può presentarsi anche come una figura positiva che appartiene al mondo cosciente, manifestandosi nelle vesti di un parente, di una persona di fiducia. Anziché occuparsi di ciò che lo caratterizza positivamente, focalizzando l’attenzione su ciò che deve mutare, deve debellare e imputridire ciò che riceve nel male.
L’alchimista, tenendo conto che non può esistere il bianco senza il nero, ripulendo l’Ombra anziché annientarla, avvia il processo di putrefazione dell’Io, demolisce il sistema di credenze che pende sul suo sé. Entrando nel caos, spicconando e eliminando ciò che crea smarrimento, ciò che nei sogni appare come mostri, incubi, viaggi nell’oscurità; lasciando spazio ad un Io nuovo, simbolicamente rinnovato, prima muore e poi, mediante le successive fasi, rinasce dalle ombre.
Detto ciò, Primo Levi ci prega di scusarlo, dovendo proseguire la sua ricerca è costretto a salutarci. Pietro, a sua volta, osservando il tramonto del Sole, si accorge della tarda ora e, imitando lo scrittore, si congeda perché deve riprendere il suo percorso alchemico.
‘A bbona mercanzia trova sempe n’ata via, quindi, come accade dopo ogni meraviglioso incontro, mentre penso all’Alchimia, al Piombo e alla Nigredo, non mi resta che riaddormentarmi. Stanotte m’aggio fatto ‘nu suonno: m’aggio sunnato ca steve cammenanno ‘ncopp’ ‘a rena, accumpagnato d’ ‘o Signore, e pe’ dinto ‘a nuttata, comm’ ‘a tante stelle, se vedevene passa’ tutt’ ‘e juonrne d’ ‘a vita mia.
Autore Domenico Esposito
Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.