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Pulcinella, Fabio Da’ath e l’Alchimia

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Pulcinella


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Quella che oggi vi narro non è certo una favola, ma un distacco dal cielo, un pezzo di nuvola e quest’occasione sfrutto, perché nella nuvola trovo tutto. Prima di scrivere chiudo gli occhi per sognare tutto ciò che vorrei trovare. Conoscere l’alchimia non è un sogno, sia perché è tutto vero, o almeno lo spero, sia perché è un’emozione che, se provata, regala la crescita annunciata.

Stanotte ‘a dint’ ‘o lietto cu’ ‘nu strillo aggio miso arrevuoto tutt’ ‘a casa, mme so’ mmiso a zumpà comme a n’arillo… E nun mme faccio ancora persuaso. Ma comme, dico io po’, cu’ tanta suonne i’ mme so’ gghiuto a ffà ‘o cchiù bello; sti suonne songo suonne ca te ponno fa’ rummannè stecchito comme a niente. I’ stevo allerta ‘ncopp’a a muntagna. Tutt’a ‘nu tratto sento ‘nu lamiento…

Come tanti abitanti di Suessola e di Akery, che si arrampicano, a piedi o in bici, sulla montagna di Cancello Scalo, anch’io, per fare attività ginnica, salgo a piedi sulla brulla pendenza. Nonostante sia stanco per la fatica, nell’arrivare alla vetta, ho ancora la forza di pensare ed ascoltare il gemito che proviene da dietro una siepe, di raggiungerla per capire chi necessita di aiuto e, se possibile, prestarlo.

Inaspettatamente, scorgo Fabio Da’ath, esperto ciclista di categoria amatoriale, che si prodiga nel soccorso di un collega di arrampicata ciclistica, caduto a causa di una buca coperta di arbusti. Il mio amico, mentre presta le cure del caso, nel presentarmi il ciclista infortunato mi informa che proviene dall’Isola della Desolazione e che è un alchimista che desidera essere non un uomo diverso, ma un uomo migliore.

Esperite le presentazioni del caso, il velocipedista si lascia andare ad una frase che intriga non poco la mia mente:

C‘era nel cielo della cupola una fenditura e ne cadevano gocce, ma non d’acqua: gocce lucenti e pesanti che piombavano sul pavimento di roccia… era tempo d’iniziare la Grande Opera, che, come il cielo, anche la terra ha la sua rugiada.

Poiché sono intellettualmente curioso, interiormente inquieto e non essendomi sconosciuta la Grande Opera, le sue parole, immediatamente, mi rimandano al processo alchemico per eccellenza, quindi gli chiedo di parlarmi, se le condizioni fisiche lo consentono, sia del luogo da dove proviene, sia dell’alchimia.

Egli, non aspettando altro, con l’intento di cogliere l’anima e l’essenza sfuggente, ambigua ed enigmatica dei processi alchemici, inizia a raccontare.

Provengo dall’Isola della Desolazione, l’immaginario luogo alchemico magistralmente descritto da Primo Levi. Zona strutturata nella quadripartizione tra i classici elementi alchemici: il fuoco, ben contenuto e cullato dal Vulcano Snowdon; l’acqua, limpidissima dell’Isola delle foche; la terra, che mostra il suo dolore mediante la foresta che piange, così chiamata perché vi sgocciola sempre acqua, anche durante i sei mesi in cui non piove; l’aria, pura, che sovrasta l’Isola delle uova di gabbiano. 

Un’isola atlantica dislocata a sud-ovest di Sant’Elena, caratterizzata da ripetitive condizioni climatiche. Sei mesi di pioggia si alternano a sei di assenza di precipitazioni.
Le duplici condizioni atmosferiche sono presenti fra la parte secca, dove si trova “il pozzo sacro”, una misteriosa grotta dal fondo caldo, che esala una consistente quantità di vapori, e la zona della foresta che piange. 

Mi chiamo Abrahams e sono il caporale di cui parla Primo Levi nella sua storia mercuriale. Grazie all’alchimista olandese Hendrik conosco ora “le sette chiavi di Ermete Trismegisto, l’unione dei contrari e altre cose interessanti”. Sono in grado sia di testimoniare che dal “pozzo sacro” sgorga il mercurio indispensabile nei processi alchemici, sia che sull’isola è possibile “iniziare la Grande Opera”.

Il mercurio che la misteriosa grotta dona agli isolani, non è altro che lo spirito volatile, il principio femminino che dirama le forze dello spazio sulla terra e, come ogni altro tipo di mercurio combinato con lo zolfo, che è la mascolina terra ardente, permette di ottenere quell’Uovo Filosofico in cui sono uniti e commisti il maschio e la femmina.

Anche se concordo appieno con Brian Cheyette quando dice che la chimica di Levi è definita ovunque come una scomoda miscela di magia, alchimia e precisione della fisica, sono costretto, mio malgrado, a dar ragione anche ad Hendrik. Il suo obiettivo, infatti, come quello di tanti altri alchimisti, è di raggiungere l’unione dei principi maschile e femminile, far sì che si ritorni alla condizione originaria in cui uomo e donna sono due aspetti di un’unica entità.

Cari miei, in merito all’Alchimia è interessante aggiungere che sull’isola vive anche Vincenzo, un fotografo amico di Hendrik, che, ritenendosi androgino, proprio per raggiungere l’unione del principio maschile e femminile, non si è mai sposato. È un uomo di poche parole che deambula con andatura dondolante e testa alta e dispensa sempre sorrisi sinceri. Sull’isola si parla spesso del fotografo alchimista e delle sue straordinarie immagini.  

In ossequio a quanto suggerito da Thomas Henry Huxley, è dedito all’agnosticismo, quell’atteggiamento concettuale con cui si sospende il giudizio rispetto alla religione, poiché, come egli stesso afferma, non ne ha e non ne può avere una sufficiente conoscenza. Si astiene sempre dall’emettere un giudizio sulla questione dell’esistenza o meno delle varie entità divine.

Chi lo osserva si rende conto che il suo volto è quasi sempre sereno e calmo. Chi incrocia il suo sguardo è calamitato dai suoi occhi, perché essendo luminosissimi, rapiscono in un modo così concreto da lasciare per qualche attimo l’astante tramortito ed incantato. Il suo studio è dislocato nel centro storico della cittadina. Per le sue macchine fotografiche, usa filtri colorati capaci di garantire eccellenti risultati attingendo sia alla perizia professionale, che all’ampia sapienza alchemica.

Chi ha la fortuna di osservare da vicino le sue gigantografie, anziché, denominarle foto, le definisce opere d’arte. Conserva a casa tutte le sue realizzazioni, anziché venderle a gallerie o a privati, perché ritiene che l’uomo, per accostarvisi, deve essere, per prima cosa, pronto, poi deve possedere innate doti: mente disponibile alla meraviglia, capacità di liberare l’anima dai vincoli della vita quotidiana, occhi per vedere ed orecchie per ascoltare. 

I soggetti da lui ritratti non sono personaggi, paesaggi ma alchimia ed empatia, così consistenti da aprire le porte d’accesso al mondo interiore e agli stati d’animo del fotografo. Chi esamina i suoi scatti, è inviluppato in un agglomerato energetico, un vortice di vibrazioni che, trasportandolo all’interno dell’immagine, lo trasformano in attore della scena.

Da semplice osservatore ci si trasforma in un aviatore che pilota il proprio aereo in zone in cui la turbolenza dell’aria è indescrivibile, in un esploratore di nuove e misteriose rotte, oppure in un viandante che, compiendo viaggi onirici, si libera da ogni legame terreno. Chi ammira le sue istantanee, testimonia grande leggerezza di spirito ed immensa gioia, poiché la visione della dinamicità fissata fa sentire protagonisti della propria vita. Si ha, inoltre, l’impressione volare, percorrere rotte così colme di conoscenze da impregnare di nuovi e sconosciuti linguaggi.

Attualmente, lo studio fotografico di Vincenzo ospita, in un angolo, un vecchio cavalletto, piegato su se stesso e, al centro del locale, uno robusto, che sostiene una gigantografia tanto imponente e luminosa da conferire al locale il giusto pregio. Questa, grazie all’emanazione di molte vibrazioni, sembra essere coperta da un telo caratterizzato da tre singoli colori: il nero, il bianco e il rosso.

Molti isolani pensano che essa non sia da attribuire a lui, giacché l’immagine dell’Uovo Cosmico è tanto luminosa e vera da sembrar reale. Hendrik, avendone le chiavi, permette, anche se non spesso, a qualche adepto di contemplare l’opera alchemica realizzata da Vincenzo, il viandante dell’anima.

Uovo Cosmico

Fabio, conscio che il suo amico ciclista non ha altro da aggiungere, interviene.

Esimio Abramo, caro Pulcinella, in merito all’Uovo Cosmico è opportuno precisare che quando giunse il tempo non poterono né sopportare la visione della sua luce, né ascoltare la forza della sua voce tonante.

Nell’alzare, poi, gli occhi al cielo, prosegue:

Adesso, invece, versando, con la sua venuta, la grazia sul mondo, non ha annunciato la sua discesa con una voce terribile e forte, né si è manifestato nel terremoto o nel fuoco, ma come rugiada sul vello, come una goccia che cade lentamente sulla terra. È apparso tra noi ricoprendo la sua grandezza con il velo della carne.

Abramo, nonostante sia ancora dolorante, rimarca:

Cari miei, voglio parlarvi di un’altra persona, uno straniero amico di Hendrik. Bisogna premettere che un indigeno del luogo confida al forestiero amico dell’alchimista, che sull’isola esiste una pietra color ocra in grado di trasformare qualunque metallo in oro! Giacché la notizia proviene da una fonte attendibile, per trovarla, questi decide di mettersi in viaggio.

Si cinge di una catena di ferro e si incammina. Ogni volta che vede una pietra di tale sfumatura, la raccoglie e la batte sulla catena che gli cinge la vita. Puntualmente, si rende conto che non accade nulla, che il ferro resta tale. L’amico di Hendrik sa bene che non è una ricerca facile, ma non dispera, anzi, prosegue fiducioso. Passano i giorni, le settimane, i mesi ed è ancora fisso sul suo obiettivo, continuando a raccogliere, battere e buttar via.

Dopo anni, mentre percorre una strada di periferia, un ragazzo lo saluta cordialmente e gli chiede il luogo d’acquisto di quella bella catena d’oro che porta alla cintura. Egli, confuso, abbassando gli occhi sul monile che porta in vita, si accorge che non è più di ferro, bensì d’oro. Lo straniero è felice, ma anche rammaricato, perché non sa quale, tra i vari sassi, sia l’artefice dell’alchimia.  

Ascoltato ciò, non lasciando al nostro interlocutore il tempo di continuare e spiegare che costui non sia in grado di sapere quale sasso inneschi il processo alchemico, rivolgendomi al ciclista, domando:

Sebbene tutto ciò certifichi l’esistenza dell’Alchimia, mi piacerebbe saperne un po’ di più, puoi condividere con noi parte della tua conoscenza?

Abramo, senza indugiare nemmeno un istante, replica:

Caro Pulcinella, tanti ritengono che l’alchimia sia un’antica e nuova scienza in grado di combinare elementi di chimica, fisica, astrologia, medicina, misticismo e religione. Altri pensano che sia un antico sistema filosofico – esoterico che affonda le sue origini nell’antichità, mentre altri ancora credono che sia qualcosa di più spirituale.

Per me si tratta di un percorso di conoscenza della natura, una cultura onnicomprensiva che prefigura una visione olistica della stessa. La differenza tra la Scienza e l’alchimia consiste nel fatto che mentre la prima mira alla mera e sistematica analisi di tutto, la seconda, oltre ad avere il grande merito di semplificare ciò che è complesso, ricomporre mediante il ‘Solve et Coagula’, ovvero l’operazione di sciogliere e coagulare, ha anche la facoltà, grazie alla sintesi di ciò che si sta facendo, di condurre al miglioramento individuale.

L’Alchimia ha per scopo principale la conquista dell’onniscienza, si prefigge d’apprendere la prassi che permette di trasmutare i metalli in oro. È, inoltre, probabile che nasca anche come ricerca di una panacea, che, mediante un elemento capace di fare ciò, ovvero la Pietra Filosofale, sia capace di debellare qualsiasi male che affligge l’umanità. Pietra Filosofale che alcuni reputino una polvere, un liquido o addirittura la moscatella, la pianta erbacea tipica del sottobosco di faggio.

Degli studiosi di Alchimia sostengono che sia corretta l’idea pregevolmente descritta da Nicholas Flamel nel testo ‘Il Segreto della Polvere di Proiezione’, in cui si assegna alla polvere il ruolo di Pietra Filosofale. Costoro, inoltre, pensano che chi sia capace di decifrare i simboli descritti nel trattato di Flamel, riesca a raggiungere quanto fermamente ambito dagli alchimisti: la Grande Opera. 

Secondo gli alchimisti, quest’Opera si realizza tramite la pratica spirituale, un percorso di coscienza e maturazione di se stessi. Come dice la tradizione “specchio della verità” sulla materia, riflettendo la propria evoluzione e il percorso individuale sulla materia, si giunge alla realizzazione, a quella Grande Opera, quel processo che per l’alchimista rappresenta il traguardo della trasformazione.   

Per ben comprendere l’insegnamento dell’Alchimia è opportuno parlare di Rudolf Steiner che insegna che il male non è alternativo al bene, anzi, è al suo servizio affinché si realizzi un bene superiore. Ciò che si chiama Nigredo, la putrefazione della materia, nell’ambito dell’elaborazione della Pietra Filosofale, della Quintessenza, nonostante sembri rappresentare il male, in realtà è la prima di tre o più fasi atte a perfezionare la materia, a giungere al bene massimo.  

Alla Nigredo segue prima l’Albedo e poi la Rubedo, cioè, le due fasi che consentono di vedere il bianco dell’alba e il rosso del Sole trionfante. La materia, prima di resuscitare, deve essere debellata, la discesa agli inferi è propedeutica all’acquisizione di un livello di coscienza superiore, ad un perfezionamento del proprio essere.

Il male, quindi, è preparatorio e funzionale alla realizzazione di un bene maggiore. I due poteri non si contrastano, il male non equivale al bene, il demone non ha lo stesso potere di Dio. Il Demone è demandato dal bene a contrapporsi perché facendo ciò è utile al raggiungimento del nuovo traguardo.

Il ciclista, sembrando inarrestabile, continua:

Per realizzare l’elisir, la pietra, bisogna trovare la prima materia di tutte le cose, la sostanza che compone tutto quello che è il mondo visibile, che può essere genericamente definita sale, infatti, l’accezione comune dell’Alchimia consiste in soluzione o cottura del sale. Lo spirito universale, il sale dell’aria, si riversa in modo consistente sulla terra.

Distillando il sale dell’aria, definito anche mercurio del filosofo della natura, o semplicemente del filosofo, si ottiene l’acqua di vite.
Il mercurio dei filosofi può essere definito come il menstruum, il liquido o solvente, quella sostanza capace di sciogliere qualsiasi metallo, rubargli l’anima e trasmutarla in quella del metallo nobile, l’oro.

Oggi l’Alchimia rappresenta la riscoperta di quell’antico messaggio che l’uomo non è comunemente abituato ad apprendere. Le sue manipolazioni rispetto a quelle della chimica sono diverse, sia perché suppongono tempi differenti, sia perché prevedono la maturazione, il rispetto e una conoscenza più profonda della materia stessa.
In altre parole, in Alchimia, la natura opera su di sé senza forzature e si lascia osservare e, al contempo, l’alchimista la vede in modo olistico e complessivo e, una volta appreso il modo in cui farlo, collabora alla realizzazione del processo.

Tenendo presente che oggigiorno, in laboratorio, applicando fortissime energie, per un tempo adeguato si riesce scientificamente a realizzare la trasformazione del piombo in oro, vien da sé la condivisione della tesi che sostiene che l’Alchimia consenta tale processo. Giacché l’Ingegner Corentin Louis Kevran, alla luce delle pratiche, sconfessando chi ritiene che le trasmutazioni si verifichino necessariamente a grandi energie, afferma che esiste la seria possibilità che avvengano a deboli energie, che l’alchimista, applicando, forse per un tempo più lungo, forze più morbide e rispettose della natura delle cose, riesca a realizzarle.    

Il processo, pur sembrando facile, non lo è affatto, perché la difficoltà iniziale consiste nel compiere il primo passo e perseverare. Il percorso può durare molti anni, la strada è pregna di ostacoli e l’alchimia è criptica e pedagogica, perché prevede apprendimento, studio intenso, sforzo, elaborazione interna e decifrazione del codice ermetico.

Il termine Alchimia, nonostante rievochi l’immagine di un laboratorio medievale e un po’ sinistro, in cui uno stregone rimugina su crogioli ed alambicchi che devono condurlo alla scoperta della Pietra Filosofale, alla formula dell’elisir di lunga vita, alla trasmutazione dei metalli, è un insieme di procedimenti complessi che stanno alla base della chimica moderna ed è qualcosa di molto più profondo ed articolato.

Paracelso afferma: “I magi nella loro saggezza, asserivano che tutte le creature potevano essere portate ad una sostanza unificata, sostanza che essi affermano, può per purificazione e purgazione, raggiungere un così alto grado di sottigliezza, una tale divina natura e occulte proprietà, come risultati di un’opera meravigliosa. Poiché essi considerano che tramite il ritorno alla terra, e per mezzo di una suprema e magica separazione, nasca una sostanza perfetta, che alla fine, grazie a preparazioni molto industriose e prolungate, è esaltata e portata su dal livello delle sostanze vegetali in quello minerale, e più su dal minerale al metallico, e al di sopra delle sostanze metalliche perfette alla quintessenza perpetua e divina, che include in se stessa l’essenza di tutte le creature celestiali e terrestri”.

Terminato il suo intervento mi rivolgo al ciclista:

Abramo, in merito alla trasmutazione cosa pensi di ciò che postula uno dei padri dell’Alchimia, Ermete Trismegisto, il grande adepto Egizio, il tre volte grandissimo? Nel leggere alcuni suoi scritti si comprende che l’uomo, assimilabile ad un metallo, sia suscettibile di evoluzione, quindi, qualora riuscisse a liberarsi della pesantezza della materia, spogliarsi dell’ego ed incamminarsi verso la conquista della Pietra Filosofale, potrebbe ambire a trasmutarsi in oro.  

È corretto ritenere che la Pietra debba essere intesa come traguardo in cui qualità psichiche e fisiche siano spiritualizzate in meglio? È giusto assimilare l’individuo alla Fenice che, rinascendo dalle sue ceneri, nonostante i suoi limiti, aspiri ad una conoscenza perfetta, universale?

Come d’incanto, prima che Abramo riesca a rispondere, una voce ferma e possente, proveniente dalla corteccia di un ulivo, vicinissimo a noi, dice:

Caro Pulcinella, l’obiettivo della mia risposta è porre, dinanzi a te, in un linguaggio che sia il più semplice possibile, la risposta alla tua domanda.

Figlio della mia Saggezza Ermetica, prima di rispondere ai tuoi quesiti e dipanare i tuoi dubbi, ti ammonisco a temere quel Dio in cui si fonda la forza della tua sete di sapere, della tua intraprendenza e dal quale puoi trarre l’energia per sciogliere ciò che ritieni vada sciolto. Nel percorrere questa strada, qualunque cosa tu senta, considerala alla tua portata.  

Il significato profondo dell’alchimia consiste nel saper apprendere, dai testi storico – ermetici, la sua prassi. Le difficoltà che tale lettura presenta, pur essendo sostanziali, perché il linguaggio si compone di allegorie, metafore e sensi reconditi, non rappresentano ostacoli tali da scoraggiare chi ha intelletto.

L’uomo, per essere figlio della saggezza e giungere all’oro, deve guadagnarsi il processo che conduce alla meta; per praticare l’Alchimia e scoprirne i segreti, bisogna essere carichi di energia spirituale ed avere un cospicuo fuoco dentro di sé. La pratica, inoltre, richiede che ci si procuri un ambiente in cui operare e ci si munisca di un paio di fornelli. Bisogna, però, tener conto che non è affatto un gioco, ma una cosa serissima e può essere pericolosa, non fosse altro per le sostanze e gli strumenti con cui si lavora.      

Oltre ad essere una disciplina fisica è, per certi versi, la progenitrice della chimica di oggi, non a caso, il chimico studia l’interazione tra gli elementi, mentre l’alchimista, utilizzando sostanze meno complesse, ne indaga la reciprocità, riuscendo a trasmutare i propri elementi, trasfigurare se stesso, raffigurarsi in quell’immagine superiore e universale del Sé, aggiungendo un’esperienza di crescita, liberazione e salvezza individuale.

Il suo fine non è trasformare l’oro, ma compiere la trasmutazione e la Grande Opera. L’oro, quindi, potrebbe simbolizzare una sorta di specchio, o meglio, la testimonianza della realizzazione dell’evoluzione dell’alchimista.

Come un fiume che rompendo gli argini corre verso valle, la voce, continuando esclama:

Cari miei, l’alchimista, realizzando l’oro dentro di sé, conferma che questo nobile metallo rappresenta un’iniziazione di carattere solare, che, oltre a manifestarne l’elevazione, mediante una serie di elaborazioni, distillazioni e sublimazioni, palesa profonda conoscenza e rispetto della natura.

Questo processo è confermato da Paracelso con la frase: “Nulla trasmuta se prima non è stato trasmutato”. Il filosofo sembra voler intendere che la conditio sine qua non affinché si realizzi la trasmutazione della materia, consiste nell’evoluzione interiore dell’alchimista. Il risultato concerne la realizzazione della Pietra Minerale, della Polvere di Proiezione Minerale, la trasformazione del piombo in oro e nella Pietra Filosofale, ossia, nell’elisir di eterna giovinezza.

La voce, illuminate le nostre menti, con tali concetti, non sembra voler continuare nella sua disquisizione e questo dispiace a tutti noi.

Abramo, nonostante sia rammaricato, ancora non domo, interviene:

Cari miei, la Pietra Filosofale è un’elaborazione di origine animale o vegetale, che produce una pietra o una polvere rossa, che, se ingerita, funge da elisir di lunga vita e consente all’individuo di vivere per diverse centinaia di anni in perfetta salute.  

In quanto arte iniziatica, cabalistica, misteriosa e segreta, ha bisogno, inevitabilmente, di un linguaggio tecnico, cifrato, da trasmettersi solo oralmente ed incomprensibile ai non addetti ai lavori. Laddove questi cercassero di leggere in modo letterale ciò che scrivono i Filosofi Ermetici, ben presto si impantanerebbero in un labirinto da cui, senza l’ausilio del filo di Arianna, è impossibile uscire.

Riproduce un mondo spirituale ben lontano dalla mentalità moderna e dalla quotidianità. Mentre l’uomo contemporaneo agisce da spettatore esterno delle cose e valutando dà luogo a ragionamenti logici, l’alchimista si pone nella realtà, ne diviene parte integrante e le comprende tramite l’analogia per cognitum a incognitum, cioè, dal noto all’ignoto, e concepisce la realtà così com’è realmente.

Mentre il sogno mi abbandona e l’alba inizia ad imprigionarmi tra le ali della ragione, pensando all’Alchimia, considero l’uomo e il cosmo facce della stessa medaglia, formazioni di quella materia eterna che contribuisce al medesimo modo nei confronti sia dell’infinitamente piccolo che dell’infinitamente grande.

Il compito dell’individuo, dunque, non è solamente quello di esistere sulla terra, raschiarne la superficie dell’ignoranza o mutilare la natura in ogni modo possibile, ma anche sviluppare le potenze che lo circondano, per manipolare quelle forze che egli può giustamente rivendicare assieme all’eredità della terra.

Un giardino che è stato trascurato per anni e che è ormai pieno di erbacce, se preso in mano da un illuminato, capace di operare insieme alla natura, può tornare ad essere pieno di bellezza e gioia. Così la terra, che è il giardino dell’uomo, può essere da costui seminata, coltivata e perfezionata dalla sua arte regia.

Giandomenico Tiepolo, La partenza di Pulcinella, 1797, affresco. Ca' Rezzonico, Venezia

Autore Domenico Esposito

Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.