Secondo alcuni la maschera di Pulcinella risalirebbe al contadino di Acerra, Puccio D’Aniello, che incontrando una compagnia teatrale itinerante composta di artisti francesi si unì a loro e, in Francia, acquisì il nome di Pollichinelle.
Altri lo identificano con il vignaiolo di Acerra Paoluccio della Cerra, Paolo Cinella, che, deriso da commedianti francesi, rispose con motti buffoneschi così brillanti da indurli a scritturarlo.
Silvio Fiorillo, ispirandosi a un’effigie realizzata dal pittore bolognese Ludovico Carracci di Paoluccio della Cerra, detto comunemente Pulcinella, ne indossò la maschera e la diffuse ampiamente.
Tali versioni, però, lo circoscrivono solamente nell’alveo della commedia dell’arte, lo racchiudono, cioè, in un solo ambito antropologico e, forse, ciò appare riduttivo per una maschera internazionale.
Anziché descrivere un solo personaggio, ne esprime un insieme e il suo sviluppo è il frutto di un percorso iniziato in epoca preromana. Un archetipo con un bagaglio culturale ed esoterico di oltre duemila anni che, per le sue peculiarità, potrebbe far parte, a pieno titolo, di quel mondo misterioso che ha sempre caratterizzato la città di Napoli.
Nato nelle campagne dell’entroterra partenopeo, diviene, nel corso dei secoli, un simbolo alchemico, esoterico e carnevalesco del capoluogo campano.
Si associa la sua nascita al Maccus, saltimbanco delle farse popolari in lingua osca, le Fabulae Atellane, molto diffuse nelle vicinanze di Acerra, con cui aveva in comune il naso protuberante e il pancione.
Un’altra teoria lo accosta, invece, a Kikirrus delle Fabulae Atellane, maschera teriomorfa che ricorda il verso del gallo. I romani apprezzavano così tanto le maschere atellane che le importarono per combattere la carestia e il dolore dei cittadini. Il ritrovamento, nel 1727, a Roma, di un’antichissima statua bronzea raffigurante una maschera molto simile a quella di Pulcinella, apporta un altro mattoncino a favore della tesi che lo accomuna alle tradizioni osche ed atellane.
Indossa le vesti di Horus del popolo per la predisposizione a combattere i soprusi e per la somiglianza all’arcaico personaggio alessandrino, ritratto come un falco o come un uomo con la testa di falco. Le affinità e le attitudini tra i due, il coppolone bianco, che gli osci chiamavano tutulus, il volto simile a quello dell’animale, la capacità di varcare l’oltretomba e la predisposizione a combattere il male, rendono Pulcinella meritevole di essere associato all’esoterismo egizio della città di Napoli.
Un’ipotesi affascinante collegherebbe, infatti, la sua origine al dio buono, tra le divinità più venerate e potenti dell’arcaica civiltà egizia. Horus era figlio di Osiride, signore dell’universo, immagine della potenza generativa, e di Iside, dea della vita, simbolo di morte e di rinascita, oltre che sposa e madre ideale, e nipote di Seth, dio del caos.
Con l’inganno Seth aveva ucciso il fratello e, Iside, vedova innamorata, dopo averne ritrovate le spoglie, lo aveva riportato temporaneamente in vita per concepire con lui un figlio, Horus appunto, che, sfidando lo zio, divenne il sovrano d’Egitto.
La scomposizione di Osiride descrive la disgregazione dell’Uno nel multiplo, mentre la riunificazione dei resti indica il ripristino del molteplice nell’Uno. Dove il “Tutto è Uno e Uno è Tutto”, così come insegna l’ermetismo, è la rappresentazione dell’unità, dove questa non esiste.
Il suo nome ha molta assonanza con Pulluchenus e con i Pullus, civette, barbagianni, sparvieri e galli silvestri, animali sacri per il popolo etrusco – italico. Il gallo annunciando, con il suo canto, il sorgere del sole, è considerato un emblema di rinascita e, per la tradizione cabalistica, rappresenta il simbolo del risveglio. Leopardi, che era dedito alla lettura cabalistica, se ne occupò nella stesura dell’operetta il ‘Cantico del Gallo Silvestre’.
Pulcinella nasce come uovo, come pulcino, come galletto e non può riprodursi. Racchiude in sé la figura dell’animale, dell’uomo e della donna perché androgino. Nell’uovo alchemico riproduce il cosmo, l’anima, lo spirito e, trasformando la sua interiorità, influenza il mondo circostante divenendo la luce illuminante del cambiamento altrui.
Indossa tante maschere, simboleggianti diversi stati d’animo, ma tutte coprono lo stesso volto, quello dell’uno che raccoglie il tutto nell’unità in conformità a quanto affermato da Ermete Trismegisto e cioè che molte sono le forme mentre una è l’essenza. Riflettendo su quest’affermazione possiamo dire che Pulcinella porta parecchie vesti, ma incarna la sapienza mediante le sue molteplici rappresentazioni.
Giambattista Tiepolo dipinse un Pulcinella tenebroso e misero, mentre il figlio Giandomenico lo ritrasse in modo equivoco, inafferrabile, burlesco, raddoppiato e ne disegnò fanciullezza, giovinezza, peripezie, lavoro, amorevolezza, figli, malattia e morte.
Nell’affresco ‘La partenza di Pulcinella’, Giandomenico Tiepolo intese, forse, mettere assieme diverse simbologie esoteriche.
La prima, in ordine descrittivo, è quella raffigurata dall’alto cappello che porta, simile a quello indossato dai Dervisci Rotanti che eseguono la danza dell’estasi, dell’ascesa spirituale e che, con i loro movimenti ipnotici, celano una simbologia e una spiritualità molto profonde.
La seconda, sempre in ordine descrittivo, ha come protagonista il vino, divenuto immateriale perché bevuto, emblema del sangue, della vita e della forza, oltre che dimora simbolica dell’anima.
Una simbologia molto espressiva vede come attori un Pulcinella dormiente con altri in posizione seduta, che, oltre a essere stanchi per il troppo divertimento, sembrano anche brilli. Potrebbero aver deciso di sbronzarsi per allontanare le paure della vita mediante un percorso che permette la rigenerazione attraverso il passaggio dalla sobrietà alla sbornia, con l’ausilio dell’Amore Divino, capace di ubriacare l’Anima, risvegliarla e ricreare nuova linfa vitale.
Altra importante e pregnante metafora concerne un Pulcinella in procinto di divenire un viandante che, al posto della bisaccia, indossa la sua protuberanza. Un Pulcinella con i piedi ben saldi nell’universo, che cammina da oriente a occidente, dal meridione al settentrione, alla ricerca della sua evoluzione.
Un’altra figura allegorica presente nel dipinto è quella del cane, emblema del legame con il regno dei defunti, guida delle anime dopo la morte, che, nella tradizione ermetica, indica la purificazione dell’oro mediante l’antimonio.
Ultima immagine, in ordine descrittivo ma non trascurabile per rilevanza, è quella dell’uovo, posto nel quadro, in basso a sinistra, in posizione quasi defilata. Rappresenta la nascita, la morte e la rinascita esoterica. Un uovo primordiale che contiene tutto il creato e che è Spirito di vita.
Oltre al Tiepolo, anche altri ne hanno descritto la veste esoterica. Il nobile alchimista napoletano Severino Scipione nel libro ‘Il Pulcinella Filosofo Chimico’ fa intrattenere un dialogo alchemico tra Graziano di Bologna e il protagonista che, fornendo risposte esaurienti, dimostra, così, di conoscere l’alchimia.
In periodi storici importanti, come ad esempio nel Seicento, è stato usato per denunciare le malefatte dei governanti del tempo. E ancora, durante le Quattro giornate di Napoli, chi si camuffava come lui, scendeva in piazza per donare sorrisi e sollievo ai bambini, ma anche per informare i cittadini sui problemi del momento.
Anche Benedetto Croce se ne occupò, sottolineando che, pur non trattando espressamente di filosofia, sarebbe stato un utile argomento di studio, da preferire alla lettura di libri scolastici redatti da colleghi. Goethe rimarcò che era una maschera sociale e nazionale, indossata da un personaggio puramente umano.
Il bianco e il nero in Pulcinella riproducono le contrapposizioni su cui si regge il Cosmo: il buio e la luce, il pieno e il vuoto, il sopra e il sotto, il bene e il male. Il male, oltre a essere il riflesso del bene, è necessario affinché questo possa esistere, anzi senza il primo non potrebbe sussistere il secondo.
Il nero è l’immagine della morte, del mistero, del male, dell’inspiegabile, del vuoto e della confusione, mentre il bianco esprime la luce, la speranza, la purezza, la verginità, la perfezione.
Due colori non colori che si oppongono, che sono parte attiva di un eterno dualismo, ma che, al contempo, visti assieme, simboleggiano la vita umana e la lotta continua tra bene e male.
Definire Pulcinella maschera alchemica non è errato perché, nelle sue tinte, si celano le tre fasi del processo alchemico.
Il nero della maschera rappresenta l’opera al nero, lo stadio di incenerimento e putrefazione della personalità dei finti Io e la distruzione dell’Ego mediante l’auto osservazione.
Il bianco del vestito raffigura l’opera al bianco, la fase della costruzione del corpo di gloria, del vaso dell’anima, la trasmutazione delle emozioni negative della pancia in quelle del cuore che Pulcinella prima vive interiormente per poi trasmetterle esternamente.
Questi due stati, viaggiando parallelamente, danno luogo ad una sorta di Solve et Coagula necessario affinché si abbia la personale evoluzione di Pulcinella.
Il colore rosso dell’indumento indossato sotto la casacca bianca e visibile in tante sue rappresentazioni grafiche, descrive l’opera al rosso, il momento spiritualizzazione della materia.
Pulcinella smette di sentirsi separato dal resto del mondo, sviluppa autocoscienza, sente che l’anima si estende e vive la presenza dello spirito nel corpo, cioè nella materia.
Solo a questo punto Pulcinella diviene il Rebis, perché, dopo la purificazione, congiunge gli opposti derivati dalla dualità, attraverso una visione unica, riallinea il maschile con il femminile, ricreando, così, l’androgino.
Resta sempre in contatto con se stesso in modo da ottenere uno stato di coscienza consapevole che gli permette di essere presente in quello che si definisce “qui e ora” e gli consente di utilizzare la sua energia per comporre il corpo d’oro, la pietra filosofale.
È un uomo dal libero pensiero, ma, a differenza di Giordano Bruno, non diviene materialmente martire della sua indipendenza mentale. Il suo messaggio, nonostante sia talune volte celato, è essoterico perché rivolto a tutti. Pulcinella, pur vestendo i panni del Cetrulo de la cerra, si prefigge probabilmente il compito d’indurre l’osservatore attento ad ambire alla saggezza, alla conoscenza, al lavoro filosofico, alla pietra filosofale.
Autore Domenico Esposito
Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.