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Pulcinella e Joseph Rudyard Kipling

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Se riuscirai a non perdere la testa quando tutti la perdono intorno a te, dandone a te la colpa; se riuscirai ad aver fede in te quando tutti dubitano, e mettendo in conto anche il loro dubitare; se riuscirai ad attendere senza stancarti nell’attesa, se, calunniato, non perderai tempo con le calunnie, o se, odiato, non ti farai prendere dall’odio, senza apparir però troppo buono o troppo saggio;

se riuscirai a sognare senza che il sogno sia il padrone; se riuscirai a pensare senza che pensare sia il tuo scopo, se riuscirai ad affrontare il Successo e l’Insuccesso trattando quei due impostori allo stesso modo se riuscirai ad ascoltare la verità da te espressa distorta da furfanti per intrappolarvi gli ingenui, o a veder crollare le cose per cui dai la tua vita e a chinarti per rimetterle insieme con mezzi di ripiego;

se riuscirai ad ammucchiare tutte le tue vincite e a giocartele in un sol colpo a testa-e-croce, a perdere e a ricominciar tutto daccapo, senza mai fiatare e dir nulla delle perdite; se riuscirai a costringere cuore, nervi e muscoli, benché sfiniti da un pezzo, a servire ai tuoi scopi, e a tener duro quando niente più resta in te tranne la volontà che ingiunge: “tieni duro!”;

se riuscirai a parlare alle folle serbando le tue virtù, o a passeggiar coi Re e non perdere il tuo fare ordinario; se né i nemici né i cari amici riusciranno a colpirti, se tutti contano per te, ma nessuno mai troppo; se riuscirai a riempire l’attimo inesorabile e a dar valore ad ognuno dei suoi sessanta secondi, il mondo sarà tuo allora, con quanto contiene, e – quel che è più – tu sarai un Uomo, ragazzo mio!
Joseph Rudyard Kipling

La recente lettura della celeberrima poesia ‘Se’ dello scrittore e poeta Joseph Rudyard Kipling, porta me, Pulcinella, a fare ulteriori considerazioni sui sogni, che contribuiscono alla realizzazione dell’individuo. I valori, la libertà, la volontà di interpretare ogni passo dell’esistenza come un cammino verso l’Uomo nuovo, sono ben esplicitati dall’inno alla vita che l’intellettuale britannico dedica al figlio e a chiunque ambisca a migliorarsi.

Chi desidera intraprendere il percorso di crescita non può ignorarne i versi, poiché in essi sembrano essere incluse le qualità fondamentali e necessarie affinché il tragitto possa essere effettuato nella sua interezza. Doti che possono essere implementate e portate alla luce seguendo l’indottrinamento che i maestri, in base alle conoscenze acquisite, sono in grado di trasmettere.

I maestri possono essere spirituali – Gesù, i santi, il Dalai Lama, Osho, gli sciamani – naturali – i genitori – sociali – la scuola e le religioni – intellettuali – i pensatori, gli scienziati e gli uomini pregni di conoscenze umanistiche.

A loro volta, gli apprendisti, in modo soggettivo, perseguono una strada, operano le loro decisioni, portano a termine le speculazioni personali e il perfezionamento pianificato. In altre parole, viaggiano all’interno di sé e passano, con profitto, dalla visione di meta esteriore a quella di condizione interiore.

Il componimento ‘Se’, oltre ad avere uno scopo educativo e pedagogico, ha la funzione di memento nei confronti di se stessi ed è lo strumento di misura che fa comprendere quando si diviene effettivamente maturi. È il metro di valutazione che permette di sperimentare la capacità di mantenere saldi i propri ideali, in qualsiasi condizione emotiva, affinché si consolidino l’essenza personale, la custodia dei valori individuali e un contesto fatto di progresso e umanità.

In tale lirica, Kipling sembra enfatizzare il profilo ideale dell’illuminato, la definizione rivelatrice dell’iniziato e alcune peculiarità necessarie affinché si attui il mondo migliore. Ritiene che, giunti ad un bivio, utilizzando il Libero Arbitrio, ci si debba assumere la responsabilità della propria scelta e, di conseguenza, proseguire lungo la strada selezionata, restare calmi, controllare le proprie azioni ed evitare di addossare ad altri la colpa per eventuali errori.

Oltre a suggerire di non permettere a nessuno di farci sentire indegni o inferiori e a non prendere in considerazione i dubbi altrui se non sono ritenuti utili per la propria crescita, incita a non consentire mai che questi influenzino le scelte individuali.

Nei suoi splendidi versi Kipling si occupa anche del coraggio di sognare, infatti, invita a perseverare affinché i desideri si realizzino. Esorta, però, a non permettere che ciò influenzi la quotidianità perché, in questo caso, si sarebbe distolti da fini diversi ma ugualmente importanti. Anziché suggerire di calpestare gli altri, solo per vedere concretizzate le proprie aspirazioni, spinge a considerare che il prossimo potrebbe aver bisogno di aiuto.

Si interessa anche del perdono, consigliando di non soffermarsi sui torti subiti, di non rispondere alle calunnie con altre menzogne e di non nutrire odio verso chi prova rancore e, nei momenti di disfatta, trovare la forza di ricominciare, anche se si è stanchi.
A tal proposito rammenta che le vittorie e le sconfitte, facce della stessa medaglia, devono essere trattate allo stesso modo in quanto rappresentano un nuovo inizio da cui imparare una nuova lezione.

Anche l’umiltà è utile per il miglioramento di sé, infatti raccomanda di elevarsi, di non massificarsi, di non permettere che il successo prenda il sopravvento sulla quotidianità e renda schiavi di una falsa realtà. Sollecita, quindi, a restare sempre umili, a non ostentare saggezza e qualità al solo fine di mortificare gli altri.

Allo stesso modo, la semplicità e la positività sono utili per arricchirsi; propone di assegnare il giusto valore ad ogni istante della vita, godere delle gioie che essa riserva e cercare di esaltare sempre l’aspetto favorevole delle situazioni, invece di farsi imprigionare dalle cose materiali e dalle fortune.

Oltre a essere interessato ai temi del mito, nella sua accezione esoterica, è affascinato dall’idea di obbedienza, strumento per realizzare quei fini e quei valori su cui influisce la coscienza che non ammette tentennamenti.

Il senso del dovere, nella sua piena accezione, è inteso come virtù da esercitare nei confronti di sé, degli altri, del Cosmo e del Creatore. Qualità incalcolabile che dipende soltanto da principi spirituali, che permettono la pratica della remissività, che, se al servizio delle buone cause, reprime gli stimoli dei sensi e i desideri egoici, se al servizio di norme malvagie rappresenta uno strumento volto al male.

Essa nasce dall’impulso interiore che spinge alla fedeltà per la propria missione e che porta sia a conoscere e rispettare il ruolo che si occupa nella società, sia a bramare l’unità, la completezza e l’armonia che fa sentire il richiamo della vita e dell’Assoluto e che, insieme alla legge e alla libertà, riveste un ruolo focale nelle sue opere.

Non a caso, ‘Il Libro della Giungla’ è il racconto di storie che, trattando degli archetipi umani sotto forma di animali, insegnano appunto la disciplina, il rispetto per l’autorità, per le cariche e le norme che regolano la comunità.

Oltre ciò, nello stesso libro al protagonista, Mowgli, è garantita la libertà di movimento tra il mondo della giungla e quello degli uomini. Se da un lato essa rappresenta l’adattabilità in diversi tipi di società, allo stesso tempo simbolizzare la scelta e la capacità di passare da una realtà all’altra, dal mondo dei sensi a quello non dei sensi.

Infatti, Mowgli non può sopravvivere, crescere e maturare se non apprende la legge della giungla e non può dimorare tra i suoi simili se non impara i segreti che ordinano la vita del mondo umano, ambiente che, pur appartenendogli, non è in grado di comprendere appieno, poiché regolamentato da leggi e costumi che fondano le radici su modelli diversi da quelli della foresta indiana.

La lettura del libro, inoltre, sembra richiedere il possesso di un codice in grado di decifrare, in chiave esoterica, alcuni elementi della sua struttura; i lupi, ad esempio, evidenziano le qualità del popolo libero che, in modo consapevole e volontario, rispetta le leggi della collettività.

Nel periodo degli accoppiamenti si può scegliere di vivere isolati dal branco, però, non appena i cuccioli sono in grado di camminare, per un meccanismo perfetto di organizzazione sociale, rientrano nel gruppo e fanno apprendistato con i mammiferi capaci di ammaestrarli. Appreso poi, il funzionamento del branco, i piccoli, entrano, a pieno titolo, nei meccanismi della comunità. In altre parole, il discepolo, il giovane carnivoro, in una sorta di microcosmo, assume dignità propria ed opera per il progresso singolo e per quello comune.

Affinché ogni lupo adulto riconosca ed accetti nel gruppo il praticante e lo ammetta al godimento delle salvaguardie e dei privilegi delle norme statuite, per decisione o insita natura, questi è introdotto nell’ambiente e accettato come membro. Iniziazione che, subita e vissuta da Mowgli, con desiderio e volontà, funge da viatico per la sua formazione e per la sua educazione esoterica con quegli animali che incarnano, a pieno titolo, la bellezza, la saggezza e la forza: Akela, il lupo grigio, Baloo, l’orso, e Bagheera, la pantera nera, che, con grande dedizione, supportano il processo evolutivo del “cucciolo d’uomo”.

I tre maestri gli insegnano come vivere nella selva ed adeguarsi ai ferrei precetti che la legge della natura richiede, affinché le specie si conservino. Supportato dal dubbio e dalla curiosità, il ragazzo apprende da Baloo, depositario della saggezza antica, il linguaggio degli animali, quindi, comprende ed acquisisce il diritto, in caso di necessità, a ricevere aiuto e solidarietà. Il giovane, allo stesso tempo, accanto ai lupi, maestri di maturità civile, alla pantera nera, emblema della forza coordinata dall’intelligenza, e all’orso, depositario della tradizione antica, intraprende un percorso di adattamento e crescita individuale e sociale.

Beneficia anche dell’aiuto di Hathi, il silenzioso elefante selvatico, personificazione della resistenza, della forza e della possanza unite all’intelligenza. Il pachiderma, oltre ad avere, aspetti archetipici nei sogni, è icona di giustizia, pazienza, onestà e obbedienza, ossia, le qualità di cui necessita chi pratica apprendistato esoterico. Riveste, inoltre, una grande rilevanza, giacché, nel mito, le sue le zampe rappresentano le colonne su cui si regge il mondo, mentre la proboscide incarna la fertilità e le grandi orecchie indicano la saggezza. Inoltre, tale animale immacolato sembrerebbe ricorrente nei sogni delle future madri dei grandi iniziati; a riprova di ciò, secondo la tradizione, la madre del Buddha, avrebbe sognato di avere nel grembo proprio un elefante bianco.

Per rappresentare gli opposti complementari nella loro interezza, il bene in antitesi al male, Kypling colloca nell’alveo del male gli animali che richiamano alla mente, con chiarezza, il decadimento umano, mentre in quello del bene quelli che si pregiano di possedere le qualità degli illuminati che si adoperano per il progresso dell’umanità.

Tra le fiere che raffigurano il decadimento umano colloca ed assegna un ruolo importante alla violenta tigre Shere Khan, che, oltre ad essere succube delle entità negative, è vittima degli istinti, delle sue stesse paure, delle pulsioni, della forza bruta, dei risentimenti che, debellando le sue facoltà raziocinanti, permettono al male di prevalere sul bene; rendono schiava la belva sembrano essere quelle che Giuliano Kremmerz denomina Geni, che provengono da dimensioni diverse da quelle visibili e che possono essere anche positive.

Mentre il protagonista umano e gli animali che si prodigano affinché questi prosegua lungo il suo percorso di crescita individuale, risentono dell’influenza dei Geni positivi, gli altri personaggi subiscono il potere di quelli negativi. Questi ultimi, oltre ad essere incapaci di elevarsi al di sopra dell’istinto, incuranti delle norme che garantiscono la convivenza tra specie diverse, non sono in grado di afferrarne il significato morale.

Tra di essi vi sono Tabaqui, lo sciacallo, detto il leccapiatti, ingordo, pauroso, ruffiano, adulatore e capace solamente di servire il potente di turno per nutrirsi dei suoi avanzi; Mao, il pavone, tutto coda e schiamazzi; Chil, l’avvoltoio, spietato e macabro; i Bandar Log, le scimmie, che si trovano sul gradino più basso della scala di valori.

Qualunquisti, bugiardi, presuntuosi, vanitosi, intriganti ed anarchici poiché non hanno né un capo né un grido di caccia che, per Kipling, simbolizzano lo spirito di gruppo. I Bandar Log non hanno nemmeno memoria, iniziativa e linguaggio compiuto, ma solamente la capacità di emettere suoni incomprensibili e la scaltrezza di rubare quanta più roba possibile.

Lo scrittore, inoltre, li raffigura come schiavi di Kaa, l’ipnotico e violento pitone, e li paragona agli uomini del passato, privi di memoria, di interesse per i problemi della collettività, di voglia di evolvere, di ideali e di qualsiasi filosofia. Essi, infatti, sono privi di associazionismo, inteso come contributo collettivo all’opera comune, capace di manifestare potenza fisica e morale.

Kypling, al contrario, sottolinea il suo attaccamento allo spirito di gruppo quando si sofferma sul tentativo di conquista operato da parte dei cani rossi del Dekkan. Nonostante Mowgli e i suoi, siano numericamente inferiori, riescono a vincere la battaglia contro i feltri grazie all’ausilio di strategia, coraggio, valori individuali, coesione morale e difesa collettiva.

La loro forza risiede appunto nel branco e quella del branco nel singolo, inteso come potenziamento collettivo di vigori individuali che, per far fronte al pericolo comune, calmano le singole paure che danno luogo a quell’uguaglianza e tolleranza che sedano gli istinti soggettivi. Uguaglianza che non prescinde dalle necessità, che non nasce da spinte morali, da ideali e da amore reciproco, ma che risente di necessità così impellenti da dare origine a risposte unitarie che rappresentano il giusto viatico affinché si riesca ad edificare una nuova umanità.

Affascinante è anche la costatazione che ‘Il Libro della Giungla’ presenti l’evidente contraddizione tra archetipi. Baloo e Bagheera sono prototipi del bene, del viandante e del guerriero per necessità allo stesso modo di Mowgli, che, in più, personifica l’orfano, l’innocente, il mago; Shere Khan, invece, è espressione del male.

Kipling può essere annoverato come uno di quei maestri in grado di guidare, con suggerimenti, il lettore verso un miglioramento che fonda le sue origini sui principi dell’Amore Fraterno, del Conforto e della Verità.

Lascia traccia dei suoi insegnamenti anche in altre opere, quali il romanzo ‘L’uomo che volle farsi re’ e il racconto ‘La Gran Guardia’, in cui, oltre a manifestare spirito universalistico, dimostra un’ampia conoscenza del simbolismo e dell’uso di segni e comportamenti di forte valenza iniziatica.

Nella poesia ‘La Sera dell’Agape’ riesce ad evidenziare lo spirito fraternalistico, fiducia, tolleranza, solidarietà e mutuo soccorso, del qui ed ora, ossia, dell’immergersi completamente nell’attimo presente senza lasciarsi intrappolare dal passato e dal futuro, invitando l’uomo, nei momenti di condivisione sacralizzata, a godere e bearsi della compagnia di chi lo circonda, dal punto di vista esoterico, spirituale e pratico.

Condivisione sacralizzata che, oltre a realizzarsi tra partecipanti di differente ceto sociale e culturale, fonda probabilmente le sue radici su diverse tradizioni spirituali tra cui è possibile annoverare: l’ultima cena, in cui Gesù trasmette i suoi insegnamenti; le cerimonie cristiane dei primi secoli incentrate sulla pratica caritatevole della mensa eucaristica; i banchetti rituali del culto di Mitra; la coesione dovuta all’arricchimento ottenuto dagli indiani d’America mediante la spartizione del bisonte cacciato.

Di quando in quando, disse Re Salomone
Osservando i suoi cavatori estrarre la pietra,
Metteremo assieme il nostro aglio e il vino e il pane
E banchetteremo ai piedi del Trono.
Joseph Rudyard Kipling – La Sera dell’Agape

Egli affronta la tematica dell’Agape, che per gli ordini iniziatici, spirituali, ascetici è un’occasione cultuale e magica in cui si concentrano aspetti simbolici e rievocativi dell’Opera Alchemica, perché rappresenta un passo utile verso l’evoluzione del singolo, un modo per avvicinarsi alla trasmutazione alchemica.

La condivisione sacralizzata, inoltre, incarna le peculiarità insite nel percorso di trasformazione che si compenetra nei ritmi naturali, cosmici ed universali, presenti dentro e fuori l’Uomo. L’agape, infatti, riproducendo il banchetto rituale legato ai solstizi e agli equinozi che scandiscono le quattro fasi stagionali dell’anno, fa riferimento al vivere comune che caratterizza le scuole spirituali, iniziatiche ed alcune realtà associative.

Lo stesso termine Àgape, che significa amore disinteressato, fraterno e smisurato, è utilizzato nella teologia cristiana per indicare l’amore di Dio nei confronti dell’umanità.
Si tratta di una pratica che permette la condivisione del sentimento fraterno che scaturisce dall’esperienza che si vive assieme mentre si assimila e si trasforma il cibo, operazioni che rievocano, appunto, il processo alchemico di ogni singolo commensale.

L’Agape ha una valenza rilevante giacché innesca meccanismi tali da coinvolgere l’uomo sia sul piano fisico che spirituale. Livelli che si compenetrano tra loro, che consentono alla materia di permearsi con lo spirito poiché spezzando ritmicamente e correttamente il cibo durante il banchetto si accantona tutto ciò che appesantisce la essenza umana e ci si ricongiunge alla vera natura fisica e animica. In questo modo, Tutto diventa Unità, perché, scomponendo ciò che si ingerisce, questo torna a essere Unità con il Tutto.

L’Agape di cui parla Kipling sembra essere assimilabile ad un processo che, conducendo la forma e il cibo, al sacrificio nell’Atanor, il grogiolo dell’uomo, fa sì che questo anziché morire si trasmuti, passando dallo stato mortale a quello eterno. In altre parole, mediante l’ingestione, la separazione, la putrefazione, la digestione e l’eliminazione delle impurità, la materia si trasforma in energia, quindi diviene per l’uomo Luce.

Nel leggere tra le righe della poesia, appare evidente che l’illuminato, l’iniziato o ricercatore di sé, vivendo l’inizio e la fine di ogni singola fase della propria trasmutazione, si avvicini, mediante un ulteriore passo in avanti, al Tutto, alla Luce o Sorgente.

Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne, per la vita del mondo!
Giovanni 6,35-59

Il componimento porta, inoltre, alla mente ciò che pensa l’esoterista vesuviano Giuliano Kremmerz, il quale ritiene che il banchetto non confà agli ermetisti e suggerisce un processo chiamato Agape del Sol Leone, in cui il convivio è solo l’ultima parte del rito.
Il suo inno del sole è legato al significato dell’Agape, che svolgendosi nel primo giorno del plenilunio del Sol Leone, spiega il significato profondo di tale incontro plenario.

Il porticese considera l’Agape un cerimoniale apparentemente silenzioso e mesto, esperito in tono smorzato, con le vesti e i fianchi cinti, con i calzari ai piedi, il bastone in mano, mentre si è pronti per il lungo viaggio iniziatico verso l’Universo, il Tutto. Terra promessa che si raggiunge percorrendo la strada e onorando i defunti che, reduci dello stesso itinerario ermetico, accompagnano il viandante nel percorso.

Un cammino che chi si lega all’altro, mediante un vero legame d’amore, nel giorno del sole che divora le tenebre e le illusorietà della vita, rinnova, in comunione con gli altri, il giuramento di non tradire mai la propria arte ermetica.

In conclusione, Joseph Rudyard Kipling, attraverso le sue opere, mira alla realizzazione, mediante il Libero Arbitrio, di un uomo nuovo che, pregiandosi di qualità come coraggio, generosità, fedeltà, onore, obbedienza, rispetto per gli anziani, rigore, etica, concretizzi il progresso dell’Umanità e il ricongiungimento con la Luce, la Sorgente, Dio.

Cosa significa essere un uomo? Significa avere coraggio, avere dignità. Significa credere nell’umanità. Significa amare senza permettere a un amore di diventare un’àncora. Significa lottare. E vincere. Guarda, più o meno quel che dice Kypling in quella poesia intitolata ‘Se’.
Oriana Fallaci

Giandomenico Tiepolo, La partenza di Pulcinella, 1797, affresco. Ca' Rezzonico, Venezia

 

Autore Domenico Esposito

Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.