Non date le perle ai porci e non fate un letto di rose a un asino.
I sogni sono dei pensieri che ci accompagnano durante il giorno o la notte. L’uomo, pensando a cosa gli piacerebbe fare, grazie alla mente viaggia, quindi immagina ciò che non può essere realizzato, ma che desidera. Si tratta di esperienze vissute ad occhi aperti o chiusi, come il déjà vu.
Mi conoscete e sapete che non smetto mai di farlo perché il sogno è il nutrimento dell’anima, così come il cibo è quello del corpo. Mangio poco ma sogno molto, giacché è necessario continuare a farlo, altrimenti l’anima muore. I sogni utilizzano il linguaggio universale dell’anima. C’è chi pensa che io sia folle, perché sogno sempre, ma sbaglia, perché anche la follia merita applausi.
Mi viene in mente quello di un artista caro a tanti:
Stanotte m’aggio fatto ‘nu suonno: m’aggio sunnato ca stevo cammenanno ‘copp’ ‘a rena, accumpagnato d’ ‘o Signore, e pe’ dinto ‘a nuttata, comm’ ‘a tante stelle, se vedevene passa’ tutt’ ‘e juonrne d’ ‘a vita mia. Aggio guardato arreto e m’aggio addunat ca p’ogni ghiurnata comm’ a’ nu cinematografo, ‘ncopp ‘a rena cumparevene ddoie scarpesate: ‘a mia e chella d’ ‘o Signore.
Rendendomi conto della presenza accanto a me del Signore, gli chiedo lumi, di dirmi da dove provengo, chi sono e dove sono diretto. Le sue labbra abbozzano un sorriso ma non emettono alcuna parola. Il suo pensiero, invece, mi suggerisce di chiamare Fabio e di percorrere l’itinerario poiché dobbiamo assistere ad un’iniziazione che, ai più, appare come matrimonio regale.
Chiamo Fabio per invitarlo ad intraprendere con me il viaggio esoterico che lui, prontamente accetta assieme a sua nonna, Madame Carmen. Mi raggiunge per avviarci in quel paese che tanto somiglia al mio amico, dove i soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il suo spirito l’incanto degli occhi quando brillano offuscati dalla calma e dalla voluttà, dall’armonia e dalla calda e infinita Luce.
Grazie a Madame Carmen, come per incanto ci ritroviamo in un meraviglioso castello tedesco.
Ci rendiamo immediatamente conto che l’esperienza nel maniero durerà alcuni giorni, poiché ci assegnano due camere logisticamente attrezzate per una lunga permanenza.
La nostra missione è di osservatori intenti a comprendere le esperienze iniziatiche di un ottantunenne eremita, protagonista di un intrigante testo esoterico.
Sappiamo che il libro andrebbe letto su almeno tre livelli. In superficie, come un vero e proprio romanzo immaginario, di qualità e gradevole da sfogliare.
Il secondo livello, leggermente più in basso, come un trattato alchemico, scritto per quelli che bramano la realizzazione della pietra filosofale e dell’elisir, ma che non possiedono ancora tutti gli strumenti atti a comprendere il significato dei concetti ivi espressi.
Il terzo livello, invece, oltre a essere più profondo, può essere definito come un vero e proprio “manuale di ascesi pratica”, capace di insegnare, a chi possiede gli strumenti per capirlo, tutto ciò che riguarda le operazioni iniziatiche e che può essere divulgato per iscritto.
Giunti in anticipo rispetto al protagonista, notiamo che la rocca di Heidelberg è piena di effigi di leoni e che i cortigiani sono studiosi di Platone. Il romanzo, oltre ad essere assimilabile ad un trattato religioso che attiene l’edificazione, l’escatologia ed il misticismo, racchiude i fondamenti della dottrina rosicruciana.
Esaminando la storia dall’interno, ci rendiamo conto che le nozze tra il Re e la Regina rappresentano un tema alchemico e sul piano spirituale, simbolizzano l’unione fra il Cielo e la Terra, il legame tra differenti Mondi, le relazioni dell’uomo con l’Universo e la connessione tra il principio maschile e quello femminile che realizza l’essere androgino primordiale.
Christian è conscio che l’anima, pur separata dal corpo, perfezionandosi, può entrare in rapporto con il mondo spirituale, nello stesso modo in cui egli stesso, mediante i sensi, entra in connessione con la natura. Guardandolo, percepiamo che è consapevole, mediante la “visione corporea”, di essere in procinto di riunificarsi con lo spirito, tramite la partecipazione a ‘Le nozze chimiche’.
Da spettatori privilegiati di tutto il percorso, constatiamo che l’anziano pellegrino entra nella fortezza solo dopo aver superato l’ostacolo rappresentato da un leone ruggente, che riteniamo simbolizzi Federico V del Palatinato-Simmern che, con l’elezione a re di Boemia, si oppone agli Asburgo e al Papa.
Il viandante segue quindi le tracce di una vergine che, incarnando la divinità che sconfigge le tenebre e le inviluppa entro i suoi limiti, prima accende le lampade che illuminano il cammino del protagonista e poi lo guida dagli invitati ed in prossimità degli sposi.
La visione della sposa è indescrivibile: bellissima, adorna di una corona d’oro sottile, resa imperiale da perle e diamanti incastonati. Le gemme sono talmente abbondanti da risplendere sui capelli color ambra, che, dalle spalle, si diramano fino alla vita. Impersona quella Vergine che svolge il ruolo di mediatrice tra l’uomo e Dio e non è altro che Elisabetta Stuart, che, oltre ad essere innocente, è dotata di grande fascino.
‘Le nozze chimiche’ prosegue su questo stile in un continuo susseguirsi di simboli ed allegorie, molte delle quali sembrano essere di tipo alchemico, tant’è che il libro è ritenuto una sorta di manuale di ascesi destinato ai conoscitori delle dottrine esoteriche ed iniziatiche.
Nel testo i sogni del protagonista si combinano con la prova iniziatica, l’illusione si fonde con l’utopia e l’insegnamento mistico si congiunge con il viaggio alchemico. Viene descritto il cammino del vecchio eremita verso l’illuminazione finale che giunge dopo che, per sette giorni, ha vissuto terribili prove fisiche e spirituali necessarie a proseguire verso la strada che conduce alla salvezza, a trovare la parola perduta e a realizzare la Grande Opera.
Io e Fabio percepiamo, inoltre, la distinzione esistente tra ciò che involontariamente appare al protagonista e quello che, invece, è suscitato dalla sua volontà. La volontà personale del pellegrino, non influendo sulla prima esperienza, pur non permettendogli di comprenderne pienamente il significato, gli consente, comunque, di accedere al mondo spirituale.
Quella che Christian vive sia il primo giorno, che nei successivi, è una percezione su cui lo sguardo spirituale si eleva e il cui contenuto appare all’anima così reale da poter essere paragonato a quella dell’occhio umano. Egli vive l’esperienza del primo giorno perché la sua anima ha superato la generica conoscenza umana e fa suo il concetto di anima che vive separatamente dal corpo e che conosce il mondo reale anche in questa situazione.
All’inizio del primo giorno sia il protagonista che la sua anima attraversano delle immaginarie esperienze che gli fanno maturare la decisione d’intraprendere un intrigante viaggio esoterico. Da subito ci appare evidente la distinzione tra gli aspetti della «visione» che riesce a decifrare e quelli che, invece, restano celati.
È profondamente agitato poiché nonostante l’invito ricevuto attenga la celebrazione delle nozze, assiste, inaspettatamente, prima al taglio della testa della coppia regale, poi al loro grandioso funerale e, successivamente, alla deposizione dei loro corpi nella Torre dell’Olimpo.
L’opera prosegue con la descrizione di un processo mediante il quale gli invitati alla cerimonia, ascendendo i sette piani dell’edificio, partecipano ad una vera e propria trasformazione alchemica.
Anche noi siamo turbati dagli invitati, in quanto essi, dalle spoglie reali, ottengono un liquido che origina un uovo da cui nasce un uccello, che, prima cresce, poi subisce la stessa sorte del re e della regina, ovvero, la recisione della testa, e, infine, è ridotto in cenere. Dai suoi resti vengono create due statuine che crescono fino a raggiungere l’età adulta quando vengono vivificate dalla fiamma rigeneratrice. La vivificazione, oltre a corrispondere al ritorno in vita dei reali, richiama alla mente il soffio divino già descritto nella Genesi, che dona la vita ad Adamo.
La decapitazione dei sovrani ci intriga per più ragioni. Il simbolismo della testa allude a quella di Osiride, quindi al ciclo di morte e resurrezione; staccare le due parti del corpo implica la scissione degli opposti che conduce alla rinascita e alla trasformazione; simbolicamente, equivale a quella putrefazione che, oltre a sancire l’inizio dell’opera, rappresenta la separazione del principio animato della coscienza dalla preesistente materia.
La putrefazione, inoltre, corrisponde, al cambiamento, alla morte, alla distruzione dell’essenza da cui provengono le manifestazioni. Il pensiero ci riporta a Paracelso quando afferma che tale processo permette alle cose di rinascere meglio di prima; prevede sempre la morte della sostanza originaria a favore di un processo di trasformazione.
La morte, metaforicamente, permette ai due coniugi di abbandonare il vecchio stato, ovvero liberare la psiche dalla schiavitù dell’ego.
Inizialmente io e Fabio siamo sorpresi dell’assenza della cerimonia matrimoniale nel tessuto narrativo del manifesto, poi, riflettendoci, capiamo che il tema della morte è importante nella tradizione iniziatico – alchemica perché rappresenta la fine dell’esperienza legata ai piaceri della vita materiale e l’inizio della rinascita “spirituale” caratterizzata dall’acquisizione di un sapere superiore.
Illustri studiosi di spiritualità ed esoterismo ritengono, infatti, che l’archetipo d’iniziazione sia innescato per garantire una transizione così significativa da offrire qualcosa di spiritualmente soddisfacente. Il pellegrino, sapendo di non poter nutrire alcuna speranza di successo materiale, affrontando il viaggio, dunque l’iniziazione, rinuncia ai desideri, all’ego e all’ambizione, e, nel sottomettersi a diverse prove, vive la rinascita mediante un iniziale stato d’animo della morte che apre le porte al successivo stato d’animo della vita.
Ne ‘Le nozze chimiche’ la rinascita dei due monarchi rievoca la costruzione di un edificio, partendo da elementi minimi quali i mattoni e la calcina. Osservando dettagliatamente quanto accade attorno a noi, pensiamo che la simbologia che attiene la morte e la rinascita, sia rilevante.
Rudolf Steiner, che assiste assieme a noi alle nozze, concorda e aggiunge che, contemplando alcuni particolari processi di corpi inanimati, si può comprendere l’attività creativa della natura e, quindi, le manifestazioni dell’elemento spirituale agente nei fenomeni che la riguardano.
Rudolf continua dicendoci che il simbolo della materia inanimata è la «Pietra d’Oro», giacché questo tipo di materia è manifestazione dello spirito. Chi esplora un cadavere nella sua realtà immediata, si rende conto di come ciò che è morto sia inserito nel processo generale della natura, ma, poiché cadavere, è in contraddizione con lo stesso processo, il quale distrugge ciò cui la vita, penetrata dallo spirito, ha dato forma.
L’alchimista ritiene che, in genere, la conoscenza umana della natura non sia superiore a quella che si acquisisce quando si studia una salma. Una conoscenza superiore, invece, deve scoprire nei fenomeni della natura un elemento che si rapporti ad essi alla stessa stregua in cui la vita penetrata dallo spirito si rapporta alle spoglie. È questa l’aspirazione che spinge verso la «Pietra d’Oro». Rompendo poi gli argini, Rudolf ci dice che per comprendere il modo in cui è necessario operare, bisogna vivere le esperienze delle sei giornate.
Mentre in tanti, in modo delirante e senza averne titolo, parlano di conoscenza superiore, Rosenkreutz può parlarne a ragion veduta.
Christian e i suoi compagni, dopo essere diventati dei veri artigiani della «Pietra d’Oro», ricevono una medaglia commemorativa con le due iscrizioni: «L’arte è il ministro della natura» e «La natura è figlia del tempo». Con questo riconoscimento si impegnano ad agire sempre secondo i principi che sintetizzano le esperienze delle sei giornate.
Ascoltate le parole di Rudolf, sia io che Fabio ritorniamo a occuparci di quanto accade durante ‘Le nozze chimiche’ e deduciamo che questo sia un manifesto pregno di simbolismo esoterico, che, oltre ad essere inteso al risveglio dell’animo di chi è pronto a ricevere rivelazioni particolari, suscita in loro la curiosità e l’attrazione verso un senso che sfugge ai più ma che compare assiduamente tra le righe del testo. Senso che andrebbe cercato, mediante sia il Solve, ovvero, la separazione dei singoli significati e il loro frazionamento, sia il Coagula, cioè, la loro riunificazione, osservata sotto una nuova veste.
Lo studio dei simboli presenti nello scritto richiede un’analisi attenta e accurata, giacché la simbologia che balza immediatamente all’occhio anche dei meno attenti, formando l’intelaiatura dell’intero discorso, rappresenta un buon punto di partenza per chi si accinge ad elaborare i contenuti dell’opera.
Ci rendiamo poi conto che il pellegrino ottantunenne, che vive le esperienze descritte, suddivise in sette giornate di lavoro spirituale, sia realmente Rosenkreutz.
Iniziando la narrazione la sera prima del giorno di Pasqua, le prove che vive Christian sono da circoscrivere nell’alveo della natura cristiana dei misteri e che tra questi, forse, quello più profondo, riguarda la vita, la morte e la resurrezione, che appare come il fulcro di tutto il viaggio interiore di Rosenkreutz, anzi, la intendiamo come una manifestazione della trasformazione interiore, quindi la percepiamo come un’iniziazione.
L’apparizione di una donna giusta, bellissima, con due ali piene di occhi e con un vestito che, costellato di stelle dorate, implementa il suo già evidente splendore, riveste anch’essa una notevole valenza perché all’interno di questa percezione, ancora vaga, prende forma la rivelazione di una considerevole entità spirituale. Siamo alla presenza di un’esperienza sovrasensibile e chi la vive cerca di esprimerla, per sé e per gli altri, in forma d’immagine, ossia, d’irradiazione luminosa del corpo etereo.
Riflettendo, poi, sull’età del pellegrino, ci rendiamo conto che i numeri rivestono per l’autore del testo una rilevante importanza, dato che ricorrono spesso il sette e il nove. L’età dell’eremita simbolizza il nove, ovvero, la perfezione al quadrato, la completezza, la generazione, la reincarnazione, poiché 8+1=9, mentre il sette fa riferimento alla ricerca mistica, che Goethe definisce “anastomosi spirituale”, perché rappresenta, nel mondo dei sensi, ciò che si eleva e che si affina da una polarità all’altra.
Il sette è un numero che ricorre a caratterizzare l’intera opera Rosicruciana; sette sono i giorni dell’avventura del pellegrino, sette i pesi, sette i battelli, sette le vergini e sette i piani della Torre del palazzo reale dove si compie la resurrezione del Re e della Regina.
Il sette, oltre ad essere un numero importantissimo nella tradizione esoterico – alchemica, ha proprietà particolari: è indivisibile, è un numero spirituale ed è considerato dai pitagorici un simbolo di santità.
Sette sono i giorni della settimana e il settimo, nella tradizione religiosa, è quello dedicato al riposo. I gradi della perfezione, i cieli, le gerarchie angeliche, i peccati capitali e le virtù, sono sette. Nell’alfabeto ebraico il numero sette corrisponde alla Zàin che rappresenta il numero perfetto dell’androgino ermetico, quindi, dell’iniziato che, giungendo al termine dell’esperienza iniziatica, nella sua perfezione si fonde nell’accoppiamento degli opposti.
In sette anni Re Salomone costruisce il suo Tempio. Sette sono le braccia della Menorah, il candeliere ebraico che si accende con olio consacrato nel Tempio di Gerusalemme.
Il numero sette ne ‘Le nozze chimiche’ rappresenta un numero d’iniziazione e ascesa a quella conoscenza considerata superiore e accessibile solo ai pochi e meritevoli eletti, perché queste sono ardue, pregne di ostacoli e di sacrifici.
Il racconto, prima di terminare, vede la nomina di Christian Rosenkreutz e dei suoi compagni a Cavalieri dell’Ordine della Pietra d’Oro, titolo rilevante poiché chi se ne fregia è alla ricerca di un elemento che permetta di contemplare la natura inanimata nel suo rapporto con il divenire vivente.
Il racconto, prima di terminare, vede la nomina di Christian Rosenkreutz e dei suoi compagni a Cavalieri dell’Ordine della Pietra d’Oro, titolo rilevante poiché chi se ne fregia è alla ricerca di un elemento che permetta di contemplare la natura inanimata nel suo rapporto con il divenire vivente.
Dopo la designazione alla carica, si giunge alla conclusione dell’opera con il ritorno del pellegrino alla propria casa senza che le esperienze vissute abbiano modificato la sua realtà quotidiana. La sua situazione esistenziale differisce da quella precedente solo per il fatto che è destinato a portare con sé il proprio “uomo superiore”, come facoltà di scelta della sua coscienza, come ispiratore di ogni sua azione futura, senza intaccare però il suo libero arbitrio.
Io e Fabio, costatando che nell’opera si legge: «A questo punto mancano due fogli in quanto», pensiamo che l’autore intenda dire che la conoscenza è riservata a chi, sperimentando personalmente la natura della metamorfosi dell’anima, ottiene un risultato positivo. Rudolf Steiner, che si intrattiene ancora con noi, ci conferma la nostra analisi.
Ritornando dal viaggio compiuto grazie a Madame Carmen, io e Fabio giungiamo alla conclusione che ‘Le nozze chimiche’, attraggono la completa attenzione del lettore di qualsiasi epoca, poiché obbligano sia i personaggi principali che noi stessi, ad assistere e ad immergersi totalmente nelle vicende, negli scenari, nei simboli per comprendere ciò che, sino alla fine del racconto, è coperto dal velame ermetico.
Il testo, alla stessa stregua di tanti libri di alchimia, accompagna il lettore verso la scoperta di verità eterne ed oscure. Mediante un attento approfondimento, ci si può rendere conto che, tramite specifiche allegorie, si occupa sia del male che di ogni aspetto riguardante quell’uomo che, invischiato in eventi tumultuosi, si schiera a favore di un cambiamento sociale e religioso.
L’opera testimonia una chiamata, un’ascesi compiuta con quell’animo fermo e profondo che s’interrompe solo quando la meta è quasi prossima. Le allegorie alchemiche descrivono le diverse fasi della trasformazione spirituale di Christian Rosenkreutz e garantiscono le nozze sacre di Dio con la creazione.
Giunta l’ora di lasciarci, Fabio, afferma:
Caro amico mio, assistendo a ‘Le nozze chimiche’ mi sono chiesto in quale periodo storico si verifichi l’evento matrimoniale e dove si celi la variabile tempo.
Nonostante l’intero romanzo sia caratterizzato da un susseguirsi di eventi, bisogna intendere se il tempo “dinamico” appartenga ad una realtà intrinseca al testo stesso, o sia solo un modo per spingere il lettore a riflettere perché così può comprendere l’azione della trasmutazione che il percorso iniziatico comporta.
Una possibile risposta ci collega alla frase pronunciata da Einstein: la divisione tra passato, presente e futuro è solo un’ostinata illusione. In effetti, ogni azione prodotta nel presente, pur comportando una modifica del futuro, diviene passato nello stesso istante in cui la si compie.
Tenendo conto che il tempo è un’illusione, se creiamo un parallelismo tra la teoria della “realtà assoluta” e l’istruzione che il testo trasmette, si comprende che il viaggio, ossia, lo sposalizio alchemico, prende corpo nell’istante in cui il lettore, leggendo riga dopo riga, tuffandosi nelle dinamiche, discerne il senso profondo del testo.
Nel momento in cui afferra il senso del viaggio, modifica, inesorabilmente, il proprio pensiero e, facendo ciò, innesca il futuro cambiamento.
Caro Pulcinella, prima di lasciarti, per esplicitare meglio il mio pensiero, cito le parole del maestro Gustavo Adolfo Rol:
“Quello dell’uomo è uno spirito intelligente perché l’uomo sovrasta ed è in grado, per quanto lo riguarda, di regolare, se non di dominare, gli istinti che sospingono incessantemente tutto ciò che esiste e si forma.
Questa prerogativa dell’uomo è sublime e tale la riconosce nel preciso istante che egli la percepisce”.
Lo spirito delle cose esiste come legge Universale e risiede nel tutto, perché ogni cosa è proveniente da un’unica origine.
La comprensione di questa legge, oltre ad essere archetipale, è anche simbolica. La chiave di decriptazione di tale realtà sublime dello spirito intelligente risiedente nell’essere umano, diviene visibile nell’attimo in cui l’uomo lo riconosce e lo percepisce.
Detto ciò, sia Fabio che Madame Carmen mi lasciano per tornare alle loro case. Restato solo, ripercorro quanto assistito quotidianamente all’interno del castello e giungo alla conclusione che le nozze debbano essere considerate proficue sia per il Re che per la Regina, poiché entrambi, dopo la profonda trasformazione alchemica, appaiono radiosi e belli.
L’immagine del Re è collegata a quella dell’oro e, assieme, rappresentano lo spirito, vivo, redento e purificato. L’oro vivo è affine alla Pietra Filosofale, incarnata da un essere divino, ovvero, quel Re che impersona il Sé.
La trasformazione spirituale vissuta da Christian Rosenkreutz mi riporta alla mente le parole dette a un degno cittadino di queste terre, da chi permette che nel mondo sensibile vi sia chi scrive e chi legge:
Figliu mio, io te voglio bbene e te dicette ca sarria stato sempe cu tte pe’ tutt’ ‘a cammenata e ca nun t’avvaria lassato sulo, manco pe ‘nu mumento, e maje t’aggio lassato… Chilli juorne ca tu haje visto ‘na scarpesata sola ‘ncopp’ ‘a rena, fuiene justo ‘e juorne ca te purtavo ‘mbraccio.
Autore Domenico Esposito
Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.